Collana Religioni e Movimenti


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Massimo Introvigne, I protestanti

Elle Di Ci, Leumann (TO) 1998, pp. 112, L. 10.000

Recensione di Pier Marco Ferraresi

Il volume I protestanti, di Massimo Introvigne, è diviso, da un punto di vista logico, in due parti. La prima (capp. 1-5) affronta i problemi di ordine generale che si incontrano nello studio del protestantesimo; la seconda, costituita interamente dal sesto capitolo, prende in esame singolarmente le principali denominazioni protestanti.
Il primo capitolo ("È possibile una definizione del protestantesimo?", pp. 5-10), pone in evidenza le difficoltà insite nelle definizioni "per esclusione" (sono protestanti tutti i cristiani che non si definiscono cattolici o ortodossi) e in quelle basate su criteri storici, e questo sia per la presenza di nuovi movimenti religiosi che si dichiarano cristiani, ma sicuramente non sono protestanti, sia per la difficoltà nel rintracciare l’origine storica di talune correnti, sia per l’evoluzione della dottrina, che ha portato molti movimenti a notevole distanza dal loro punto d’origine. Viene quindi approfondita l’interpretazione del sociologo francese Jean-Paul Willaime, che definisce il protestantesimo in opposizione al cattolicesimo, per quanto riguarda il principio epistemologico, che nel protestantesimo è ridotto alla sola scriptura; per quello antropologico, che "privilegia l’esperienza individuale del credente rispetto all’inserimento in una comunità strutturata e gerarchica" (p. 9); per quello sociologico, in base al quale l’autorità "non è istituzionale ma personale; non deriva dal munus gerarchico ma dalla competenza (teologica o carismatica)" (p. 10).
Il secondo capitolo (pp. 11-18) affronta il rapporto del protestantesimo con la modernità, distinguendo fra l’impostazione della scuola cattolica contro-rivoluzionaria e quella weberiana: la prima individua un rapporto fra il principio individualista del primo protestantesimo e l’individualismo moderno; la seconda concentra l’attenzione sul protestantesimo "ascetico" e sull’etica del lavoro e delle professioni della quale individua le "affinità elettive" con lo spirito del capitalismo. Questi due aspetti riflettono due facce relativamente indipendenti della modernità e non è detto che la crisi alla quale l’individualismo va incontro verso la fine di questo secolo debba proporsi anche per l’etica della vocazione e del lavoro; anzi, "quelle componenti del protestantesimo ascetico che riescono a sottrarsi alla forza di attrazione del protestantesimo tradizionale, divenuto spesso protestantesimo liberale, continuano a prosperare" (p. 18).
Il terzo capitolo (pp. 19-30) si propone di tracciare una linea di confine fra protestantesimo mainline e nuovi movimenti religiosi: è necessario seguire un criterio che tenga in considerazione elementi di carattere dottrinale e che adotti una definizione ampia dell’aggettivo "nuovo", intendendo con esso non solamente né esclusivamente "recente" in senso cronologico, ma anche "innovativo", nel senso di "in contrasto con la visone tradizionale della religione"; in questo modo è possibile individuare una certa rottura ecclesiologica fra protestantesimo e quelli che documenti del magistero cattolico chiamano "nuovi movimenti religiosi di origine protestante", per i quali la struttura gerarchica della Chiesa è molto meno rilevante. Se alla rottura ecclesiologica se ne aggiunge una teologica - tendenzialmente trinitaria e cristologica - siamo di fronte a nuovi movimenti religiosi non più di origine protestante, ma di origine più genericamente cristiana.
Una tipologia dei protestantesimi è proposta nel quarto capitolo (pp. 31-44), sulla base di un criterio sociologico (elaborato da Finke e Stark in The Curching of America, 1992) a cui l’autore affianca un criterio dottrinale. Sarebbe così possibile distinguere fra quattro protestantesimi: il primo è l’erede della Riforma storica e ha al suo centro la giustificazione per sola fede; il secondo è una protesta contro la mancanza di fervore (in particolare missionario) del primo e ha al suo centro l’incontro personale con Gesù Cristo; il terzo protestantesimo introduce il concetto di perfezione come uno stato di libertà dal peccato che non potrà più essere perduto; nel quarto protestantesimo, infine, la perfezione diviene "battesimo nello Spirito" ed è collegata al dono delle lingue.
L’uso dei termini "evangelico" e "fondamentalista" all’interno del mondo protestante è discusso nel quinto capitolo (pp. 45-55). Il problema si inquadra nell’ambito dell’importanza, sostenuta da un certo numero di sociologi, delle differenziazioni all’interno di ciascuna denominazione, prima ancora delle differenze fra le diverse denominazioni protestanti. Così il termine "evangelico" è stato usato almeno in quattro accezioni: a) come sinonimo di protestante, in opposizione a cattolico; b) per indicare le denominazioni del secondo protestantesimo; c) particolarmente in America Latina, come sinonimo di "pentecostale"; d) attualmente, nella sociologia del protestantesimo, come sinonimo di "conservatore moderato", contrapposto sia a liberal che a "fondamentalista". Quest’ultimo termine, a sua volta, non manca di ambiguità: nato all’inizio del XX secolo per designare la corrente, all’interno di diverse denominazioni, di chi sosteneva l’inerranza assoluta e letterale della Bibbia, a seguito dei diversi scismi causati da tale posizione, a partire dagli anni 1930 viene usato per descrivere una serie di denominazioni. Successivamente, soprattutto con il diffondersi dei predicatori televisivi, politicamente impegnati, "fondamentalista" è stato usato per indicare un protestante che milita nella destra politica; attualmente, per analogia, e spesso in senso polemico, viene usato per indicare qualsiasi impegno militante su fronti più conservatori o di radicalismo religioso, anche politicamente, e non solo in ambito protestante. Si tratta dunque di un termine da usarsi con cautela: proprio per l’ampiezza dei significati che sta assumendo e per la carica polemica che lo riveste rischia di perdere gran parte della sua capacità descrittiva.
L’ultimo capitolo (pp. 56-107) descrive le principali denominazioni protestanti classificandole in base alla tipologia presentata nel quarto capitolo. Nel primo protestantesimo vengono così fatti rientrare i valdesi, i luterani, i riformati e la Comunione anglicana; nel secondo le correnti pietiste (moravi e Brethren), i battisti, i metodisti, il Movimento di Restaurazione (Discepoli di Cristo, Chiese di Cristo e "Chiese cristiane") e le International Churches of Christ; nel terzo protestantesimo il fondamentalismo indipendente (Assemblee dei Fratelli) e il movimento holiness (Chiesa di Dio di Anderson, nell’Indiana; Chiesa del Nazareno, Esercito della Salvezza); nel quarto protestantesimo i pentecostali, compreso il pentecostalismo oneness. Oltre all’interpretazione sociologica per ciascuna denominazione, viene presentata una descrizione storica e dottrinale.


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