Intervista all'autore, di Roberto Beretta ("Avvenire", 5 ottobre 1999)
PSICOANALISI L'opera del sacerdote-terapeuta tedesco al vaglio della scienza: cosa resta? Parla lo psichiatra Pavesi Drewermann giù dal lettino
Metodo poco rigoroso, campione insufficiente, casistica mutuata da Hermann Hesse o da «Uccelli di rovo»... Un esperto svizzero critica dal punto di vista medico la diagnosi del clero cattolico tracciata nei suoi libri dal discusso teologo di Paderborn «Il celibato e l'obbedienza creano nevrosi? In realtà i pastori protestanti sposati sono più stressati dei preti» Roberto Beretta
Ha messo lo psicanalista sul lettino e gli ha fatto una brutta diagnosi: metodo poco scientifico, uso di un campione insufficiente, casistica mutuata da romanzi e da film...
Ce n'è quanto basta per bocciare qualunque principiante di Freud. Se però il soggetto dell'analisi è - per una volta - colui che più spietatamente ha voluto psicanalizzare la Chiesa cattolica e i suoi ministri, ovvero il teologo tedesco Eugen Drewermann, allora la curiosità aumenta. Perché Drewermann, in questi giorni in Italia per presentare il suo ultimo lavoro su Guerra e cristianesimo. La spirale dell'angoscia, è sì un personaggio - oltre che molto applaudito, come dicono i milioni di copie delle sue opere - anche molto contestato: da teologi, esegeti e gerarchie. Ma finora non risulta che nessuno, almeno in Italia, lo abbia attaccato sul suo stesso campo: ovvero quello della psicoanalisi che egli pretende di aver applicato alle scienze sacre.
Lo fa ora, con precisione e understatement tutti svizzeri, il dottor Ermanno Pavesi, savonese di origini ma attualmente medico psichiatra nella clinica cantonale di Argovia nonché docente in un paio di università tra Elvezia e Germania. Pavesi ha appena stampato, per l'editrice Cristianità (c.p. 185, Piacenza), il volume Follia della croce o nevrosi? in cui riprende un suo studio già apparso in tedesco e critica minuziosamente (ma senza acrimonia e usando solo argomenti scientifici) il più famoso libro di Drewermann, Funzionari di Dio. Psicogramma di un ideale: quello in cui il sacerdote tedesco, già interdetto dall'insegnamento dalle autorità cattoliche, configura la religione come fattore psicogeno permanente e la Chiesa come una grande macchina repressiva.
Dottor Pavesi, lei accusa Drewermann di numerosi errori metodologici. Ci dica quali.
«Dal punto di vista scientifico esiste un problema di sicurezza della diagnosi psicanalitica: negli ultimi anni si fatti molti progressi per formulare criteri oggettivi nella psichiatria, ma Drewermann non ne tiene assolutamente conto. Per esempio, nelle 900 pagine dei Funzionari di Dio, il materiale clinico esposto è molto scarso, i casi citati pochissimi e poco significativi. Per contro, ci sono esempi presi dalla letteratura (Zola, Hesse, persino Uccelli di rovo o il film L'ultima tentazione di Cristo), ma trattati in modo non sistematico. E su questo materiale Drewermann pretende di costruire uno "psicogramma", ovvero il modello autentico dell'inconscio del clero: come fare un libro storico sui pellerossa basandosi sui film di John Wayne... Il valore scientifico dell'opera è pertanto estremamente basso».
Lei vi individua anche numerose contraddizioni. Per esempio l'esaltazione dell'esempio protestante, con Lutero «psico-igiene del cristianesimo».
«Drewermann parte dalla concezione della religione come patologia e dà per scontato che certi elementi tradizionali debbano avere necessariamente un effetto negativo. Ma - mentre lui sostiene che nel clero cattolico i problemi psichici sono dati dall'obbedienza al Papa e dal celibato come repressione dell'amore -, esistono colleghi protestanti che formulano le stesse diagnosi per la loro Chiesa: in Germania i fedeli protestanti che abbandonano la Chiesa sono il 50% in più dei cattolici e secondo alcuni psichiatri ben il 90% dei pastori sposati avrebbe problemi di nevrosi.
D'altra parte, se davvero ci fosse una relazione tra pratica della religione e disturbi psichici, col processo di secolarizzazione cui assistiamo la salute mentale dovrebbe aumentare; invece, osservando l'uso di psicofarmaci e l'aumento dei disturbi psicosomatici, si deve pensare il contrario».
Ne deriva un'immagine del clero cattolico molto discutibile. Secondo Drewermann, infatti, ci si fa preti per sublimare il complesso edipico, o coprire le tendenze omosessuali, o ancora per paura del mondo.
«Per Drewermann la scissione tra anima e corpo, spirito e materia, è una divisione artificiale che provoca nell'uomo un conflitto ed è alla base della sua ansia. Obiettivo della terapia è dunque recuperare l'unità originaria. Nel caso di un chierico, durante l'adolescenza la cultura e l'etica cattolica non gli permettono di emanciparsi dall'attrazione edipica nei confronti della madre. In sostanza i preti, non essendo in grado di diventare autonomi, hanno bisogno di inserirsi in una società che sostituisca la famiglia e dove non debbano confrontarsi coi problemi del rapporto con l'altro sesso. Tra l'altro, per Drewermann sesso e amore si identificano».
C'è uno strano paradosso: mentre il recupero dei miti e dell'inconscio, operato dal teologo tedesco, voleva reagire all'aridità del metodo esegetico storico-critico, e quindi a una concezione troppo razionalista, ci troviamo alla fine davanti a un caso di «materialismo teologico», in cui ogni salvezza è sempre e solo immanente.
«Sì. Era interessante il tentativo di Drewermann di mettere in relazione certi elementi mitologici col cristianesimo. Ma, mentre per alcuni autori questi elementi prefigurano Cristo e con il Logos se ne ha il compimento, il sacerdote di Paderborn tende a mitologizzare il Logos. Per cui la resurrezione diventa la copia di una mitologia egiziana, e via dicendo». Stupisce in Drewermann anche il terrore della sofferenza e la negazione dell'idea di sacrificio: salvarsi significa liberarsi da stress e nevrosi.
Donde deriva questo rifiuto del dolore?
«Si parte da una concezione di tipo edonistico, per cui la rinuncia a soddisfare i propri bisogni viene considerato come patologico. Ma Drewermann sembra rivolgersi soprattutto a persone giovani e di successo e cerca di giustificare il loro abbandono dei valori morali. La funzione del disadattato, del disabile, dell'anziano non hanno molto spazio nel suo pensiero».
Bisogna comunque dargli atto che lo stress dei preti sembra in aumento.
«Il problema però dev'essere esaminato individualmente. Ci sono fattori di stress nel clero, è vero, e tuttavia si trovano anche in altri gruppi professionali. Tra gli stessi psichiatri esiste un'alta percentuale di suicidi... Insomma, prima di tirare conclusioni bisogna studiare il caso scientificamente, comparando i dati raccolti tra i religiosi con quelli di gruppi di controllo adeguati».
Secondo lei, invece, che cosa potrebbe dire la psicoanalisi alla teologia?
«Anzitutto, una valorizzazione dell'inconscio può ristabilire un certo equilibrio nei confronti del razionalismo. È poi utile la scoperta delle componenti aggressive dell'uomo, che possono contraddire certe visioni ottimistiche della società e del futuro dell'umanità: quasi un riscontro psichico del peccato originale. Anche il lavoro di Jung sull'elaborazione comparata dei miti è un punto di partenza per un'elaborazione interdisciplinare. Altre volte invece la visione della psicoanalisi è contrapposta alla religione».
Che cosa consiglierebbe a un religioso che decide di affidarsi al classico lettino?
«Di scegliere tra le scuole psicoterapeutiche quelle che hanno una visione compatibile con quella cristiana. Altrimenti potrebbe esserci il rischio che la pressione del terapeuta li induca a comportamenti che all'inizio non si sarebbero mai accettati».
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