Massimo Introvigne, sociologo e direttore del Cesnur (Centro studi nuove religioni), ha recentemente pubblicato un nuovo libro: “La nuova guerra mondiale. Scontro di civiltà o guerra civile islamica?” (edizioni Sugarco). Alla presentazione del volume, curata da Alleanza cattolica, lo studioso ci ha rilasciato questa intervista.
Dottor Introvigne, cosa sta succedendo tra Occidente e Islam?
Innanzitutto è bene precisare che il mondo islamico è un insieme molto eterogeneo. Vi è un Islam ultrafondamentalista, che è quello che fomenta il terrorismo, ma vi sono anche altre famiglie: quella fondamentalista (legata alla tradizione, ma contraria alla violenza), quella laico-nazionalista, quella conservatrice. Il campo islamico è poi ulteriormente suddiviso tra sciiti e sunniti. Oggi viviamo una fase attraversata da una sorta di scontro tra le democrazie occidentali e l’universo musulmano, accompagnata da una guerra civile intraislamica. Quest’ultimo conflitto nasce dalla volontà dei gruppi radicali ultrafondamentalisti di impadronirsi del potere, cacciando le classi dirigenti islamiche moderate ritenute corrotte e asservite all’Occidente. A loro giudizio va colpito l’Occidente per indebolire il sostegno che questo fornisce ai governi fantoccio dei Paesi islamici.
Nel libro propone diversi atteggiamenti dell’Occidente rispetto all’Islam…
Si rilevano almeno quattro posizioni della cultura occidentale verso l’Islam. Vi è quella islamofoba che considera l’Islam un blocco compatto schierato contro di noi. Questa logica, pur segnalando un problema, ovvero l’ostilità dei gruppi islamici radicali verso l’Occidente, non individua alcuna soluzione in vista di una pacifica convivenza con l’universo musulmano. La seconda corrente è rappresentata dal neofondamentalismo islamico, che tenta un finto dialogo con l’Occidente. In realtà si tratta di una seria minaccia culturale, poiché questo integralismo annacquato, pur escludendo la violenza, non rinuncia ad alcuna tradizione (poligamia, ecc…) anche in netto contrasto con la nostra società. Con questi settori occorre la massima chiarezza. Bisogna che condannino senza indugi il terrorismo e si impegnino sul terreno dei diritti umani. Non dimentichiamo, infatti, che in buona parte dei Paesi musulmani la libertà religiosa è inesistente, l’azione missionaria è vietata, convertirsi è pericoloso e a professare la fede cristiana si rischia spesso la vita.
C’è poi una lobby filo-islamica di sinistra, che intravede nelle masse islamiche il ferro di lancia per l’assalto al fortino capitalista. Infine c’è una lobby filo-islamica di destra, che punta alla mobilitazione musulmana contro gli Stati Uniti e Israele, considerato il male assoluto. Qui troviamo anche dei cattolici che considerano l’attuale Europa, materialista e secolarizzata, ormai estranea alla civiltà occidentale cristiana. Anzi, in caso di scontro, bisogna stare con l’Islam, ancora depositario di una cultura ricca di valori. Costoro non sembrano capire che l’odierna società europea, pur tra mille difficoltà, è l’erede di quella cristianità e pertanto merita di esser difesa davanti alle aggressioni.
Di cosa soffre l’Occidente?
Il problema di fondo è che siamo un continente economicamente ricco, ma che ha perso fiducia in se stesso. L’Europa si sta esaurendo dal punto di vista demografico e questo è di fatto lo specchio di una crisi di valori che rischia di far implodere la nostra società. Il male più insidioso è il diffondersi di una logica relativistica, che ingenera confusione in campo etico e morale.
Spostandoci sul terreno politico, come giudica l’attuale situazione in Iraq?
Oggi il problema non è se andare via dall’Iraq, ma quando. E’ una questione cruciale, che investe non solo l’Italia, ma anche gli Stati Uniti. Occorre capire quando il governo iracheno sarà in grado di camminare sulle proprie gambe. Affrettare la partenza significa lasciarlo in balìa del terrorismo, ritardarla rischia di delegittimare le nuove istituzioni. Credo che i primi mesi del 2006, una volta approvata la Costituzione ed eletta la nuova classe dirigente, siano il periodo più idoneo per lasciare Baghdad. La minaccia terroristica potrebbe subire qualche battuta di arresto nel momento in cui l’Iraq avrà un accettabile assetto democratico. Immagino una struttura a tendenza federale, con una certa autonomia dei tre gruppi che costituiscono il Paese: sciiti, sunniti e curdi. Ritengo peraltro che per almeno un decennio rimarranno in loco delle basi militari americane.
E cosa pensa dell’Iran?
L’Iran è un’autentica polveriera, con un’autocrazia religiosa al comando e una società attraversata da forti tensioni. Temo che Teheran stia realizzando l’arma nucleare, anche se non ritengo immaginabile che gli Usa, dovendo ancora chiudere la partita irachena, imboccheranno la via militare. Piuttosto vi saranno forse azioni mirate contro depositi radioattivi nello stile dei blitz israeliani.
Che idea si è fatto dell’attuale evoluzione in Medio Oriente?
Nella Grande Israele (Gaza e Cisgiordania) entro dieci anni i palestinesi sarebbero una schiacciante maggioranza. Il ritiro israeliano da Gaza è dunque influenzato da fattori demografici. In ogni caso, sarebbe opportuno concertare il ritiro con la dirigenza Anp, assecondando il percorso democratico che ha visto l’ascesa di Abu Mazen. Elemento decisivo di stabilizzazione resta però la partecipazione di Hamas, forza troppo radicata nella società palestinese per poterne prescindere.
Come valuta l’ingresso della Turchia nell’Unione europea?
Mi pare condivisibile un percorso decennale con una serie di tappe intermedie di verifica. E’ peraltro interessante l’emergere ad Ankara di un Islam politico democratico, come quello guidato dal premier Erdogan. C’è qualche similitudine con le democrazie cristiane europee.
Quali prospettive per l’Europa?
L’Unione europea deve darsi una precisa identità, altrimenti rischia di ridursi a un gigantesco spazio economico, estraneo e lontano dalla vita della sua popolazione.
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La nuova guerra mondiale. Scontro di civiltà o guerra civile islamica? Sugarco, Milano 2005 |