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Dopo l'11 settembre la luce di Wojtyla sul mondo islamico

di Massimo Introvigne (il Giornale, 9 aprile 2005)

La presenza del presidente iraniano Khatami, del re di Giordania Abdallah e del primo ministro turco Erdogan, leader di uno dei maggiori partiti mondiali dell’islam politico, ai funerali di Roma è un fatto storico. Nessun Pontefice romano è stato così vicino all’islam. Pellegrino in numerosi paesi islamici, ha sempre fatto prevalere – talora sperando contro ogni speranza – le ragioni del dialogo. A queste ragioni ha ritenuto di sacrificare lo stesso eccellente rapporto che aveva sempre intrattenuto con l’amministrazione Bush, lasciando che nelle varie e diverse prese di posizioni vaticane prevalessero, nei giorni dell’attacco all’Irak, le voci più critiche.

Non si è però mai trattato di generico pacifismo. Il Papa che tanto ha contribuito alla vittoria della libertà nella terza guerra mondiale contro il totalitarismo comunista ha sempre compreso che gli ultimi anni della sua vita erano quelli del dopo-11 settembre 2001 e dell’inizio di una quarta guerra mondiale. Tuttavia, Giovanni Paolo II non ha mai voluto credere che la quarta guerra mondiale sia semplicemente uno scontro di civiltà fra l’Occidente e l’islam. Il Papa e la Santa Sede hanno fondato la loro politica islamica sulla premessa che la nuova guerra mondiale è anzitutto una guerra civile all’interno dell’Islam. E che l’atteggiamento degli occidentali e dei cattolici è decisivo perché questa guerra civile sia vinta da quella parte che, prevalendo, può evitare l’apocalisse della guerra mondiale cruenta contro l’Occidente.

Per molti è difficile capire l’esistenza di una guerra civile intra-islamica perché concepiscono le guerre solo come scontro fra due parti. Qui le parti sono di più. Non ci sono “fondamentalisti” da una parte e “moderati” di un “islam illuminista” dall’altra. A fronte di pochi “illuministi” – minoranze quasi ovunque trascurabili – e al vecchio nazionalismo, laico ma corrotto, degli Arafat e dei Saddam c’è una complessa articolazione fra fondamentalisti radicali vicini a Bin Laden e al terrorismo, neo-fondamentalisti che vogliono far prevalere un letteralismo coranico per via elettorale, conservatori che vogliono un islam politico dove il Corano sia fonte ispiratrice più che libro di ricette immediatamente applicabili a ogni problema, tradizionalisti di stile saudita o pakistano interessati soprattutto a lottare contro la corruzione morale.

Il Vaticano di Giovanni Paolo II ha sfidato le critiche di molti mantenendo canali di contatto anche con i tradizionalisti e i neo-fondamentalisti, negoziando pure per garantire un minimo di libertà alle minoranze cristiane nei paesi islamici. Ma, soprattutto, il Papa ha puntato sull’islam centrista e conservatore insieme capace, a differenza di quello “illuminista” ultra-minoritario, di ottenere il consenso di grandi masse e di confrontarsi seriamente con l’Occidente sul piano della lotta al terrorismo e dei diritti umani. Giovanni Paolo II ha personalmente individuato, in questo islam conservatore – né progressista né fondamentalista – un interlocutore privilegiato nelle due monarchie, marocchina e giordana, che rivendicano una discendenza diretta dal profeta Muhammad. Il suo rapporto con il re Hassan II passerà alla storia del dialogo inter-religioso, ed è proseguito con il figlio Mohammed VI e con il re di Giordania Abdallah. Questo dialogo ha voluto facilitare la strada di un islam insieme radicato nella sua tradizione e aperto alla modernità – di cui è diventata il simbolo la coraggiosa riforma del diritto di famiglia di Mohammed VI – e proporre un’alternativa al fondamentalismo capace davvero di batterlo. La luce che il Papa ha acceso nel mondo islamico non deve spegnersi con lui.

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