CESNUR - center for studies on new religions

Il terrorista che amava il calcio. Ritratto dello shaykh Yassin

di Massimo Introvigne

imgChissà se l’ultima serata di Yassin è trascorsa cercando di assistere – la TV satellitare lo trasmetteva anche in Palestina – all’infelice e interrotto derby fra Roma e Lazio. Agli italiani che lo avvicinavano Yassin rivelava un’insospettata conoscenza del nostro campionato, e del resto alla passione per il calcio – che condivideva con Osama bin Laden, per cui pure non aveva simpatia e al cui tentativo di egemonizzare l’intera galassia del terrorismo ultra-fondamentalista islamico resisteva – lo shaykh doveva la sua infermità.

Ahmad Is’mail Yassin (1936-2004), omonimo ma non parente del leader fondamentalista e sufi marocchino Abd as-Salam Yassin – nasce ad al-Jora, un villaggio nei pressi di Ashquelon (Ascalon), nella Striscia di Gaza, nel 1936. A quattordici anni patisce, durante una partita di calcio, un gravissimo incidente che lo lascia semi-paralizzato e lo costringerà per tutto il resto della sua vita a spostarsi su una sedia a rotelle. Mentre frequenta il liceo aderisce nel 1955 ai Fratelli Musulmani, la maggiore organizzazione fondamentalista internazionale, che opera in semi-clandestinità; dal 1958 esercita la professione di insegnante a Gaza. Proprio negli anni 1955-1958 i Fratelli Musulmani di Gaza sono coinvolti in attività politico-militari di rilievo, dal boicottaggio nel 1955 del piano egiziano di trasferimento di rifugiati palestinesi da Gaza alla penisola del Sinai alla lotta armata anti-israeliana nei quattro mesi di occupazione a cavallo fra il 1956 e il 1957 attraverso le cellule militari clandestine Shabab al-Tha’r (“Gioventù per la Vendetta”) e Katibat al-Haq (“Battaglione della Giustizia”). Questa attività militare è peraltro anche alle origini di divisioni all’interno dei Fratelli palestinesi. In Egitto il presidente Gamal Abdel Nasser (1918-1970), che pure era stato affiliato in gioventù ai Fratelli Musulmani, li mette fuorilegge nel 1954, nel quadro del più classico degli scontri arabi fra nazionalisti e fondamentalisti. I Fratelli – tra cui emerge il teorico radicale Sayyid Qutb (1906-1966), che morirà impiccato dal regime – reagiscono con gli attentati, mentre il governo pone in atto una durissima repressione.

Tra i Fratelli palestinesi si determinano, in seguito a questi avvenimenti, due linee. La prima – anticipando quella che sarà la posizione dei Fratelli in Egitto dopo che Qutb sarà stato giustiziato nel 1966 – prospetta un passo indietro rispetto alla lotta armata per l’instaurazione di una società fondata sulla shari’a, e una lunga marcia che islamizzi “dal basso”, pazientemente la società attraverso il risveglio religioso e la creazione di istituzioni islamiche in ambito culturale, educativo ed economico. La seconda posizione “radicale” chiede di rimandare a un momento successivo la lotta esplicita per l’instaurazione della shari’a e di concentrare i propri sforzi del momento sulla lotta armata contro Israele. In un memorandum datato luglio 1957 un esponente di questa seconda linea. Khalil al-Wazir, che diventerà più tardi noto con il nome di battaglia di Abu Jihad (1935-1988), propone di sdoppiare la struttura dei Fratelli Musulmani in Palestina, creando “un’organizzazione speciale parallela che sia priva di una colorazione o di un programma islamico visibile, ma dichiari come unico scopo la liberazione della Palestina tramite la lotta armata”.

La linea “neo-tradizionalista”, cui aderisce all’epoca (con qualche distinguo) Yassin, si afferma, non senza incertezze, tra i Fratelli palestinesi, determinandone però la spaccatura. I sostenitori del memorandum al-Wazir tra il 1958 e il 1959 formano Fatah (“Conquista”, ma anche sigla delle iniziali, lette da destra a sinistra, di “Movimento Nazionale per la Liberazione della Palestina”), più tardi la maggiore componente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), fondata per iniziativa di Fatah e con appoggio egiziano nel 1964.

Negli anni immediatamente successivi alla separazione, Fatah guadagna membri a spese dei Fratelli Musulmani, pure a causa della campagna scatenata contro questi ultimi in Egitto dal presidente Nasser, che non manca di avere ripercussioni anche in Palestina. Nel 1966 Yassin – che sta emergendo come il principale leader dei Fratelli palestinesi – è arrestato dal governo egiziano: sarà rilasciato dopo una breve detenzione. Nel 1967, con la Guerra dei Sei Giorni, la situazione si modifica. I Fratelli Musulmani palestinesi – che pure partecipano negli anni 1968-1970 a operazioni militari lanciate contro Israele dalla Giordania, su pressione dei Fratelli di altri paesi (in particolare, sembra, sudanesi) e in collaborazione con Fatah – possono presentare la disfatta araba come un castigo di Dio che si è abbattuto su governanti a loro ostili, e riproporre con rinnovata convinzione l’idea secondo cui è necessaria – prima di pensare alla rivoluzione armata – una paziente opera di islamizzazione dal basso della società. I movimenti raccolti nell’OLP, al contrario, si convincono della necessità di una lotta armata autenticamente nazionale e palestinese, che non dipenda dal sostegno di eserciti stranieri. Intendersi è pressoché impossibile, dal momento che nell’OLP emergono componenti dichiaratamente marxiste che si proclamano atee e si fanno apertamente beffe della religione, con grande scandalo di Yassin e dei Fratelli. Questi ultimi saranno accusati più tardi di avere sostanzialmente perso vent’anni, dal 1967 al 1987, astenendosi completamente dalla lotta armata.

Si tratta però di anni in cui i Fratelli guidati da Yassin ottengono dei cospicui risultati nel loro progetto di re-islamizzazione della società palestinese. Tra il 1967 e il 1987 le moschee passano da 400 a 750 in Cisgiordania, e da 200 a 600 nella Striscia di Gaza. Dirigenti leali a Yassin controllano anche, fin dalla sua fondazione nel 1978, la maggioranza degli studenti dell’Università Islamica di Gaza (dove hanno sempre vinto le elezioni studentesche); hanno una presenza importante nelle altre università, nei licei, nel mondo sportivo, nelle cliniche private. Questa attività cresce fino ai primi anni 1980 con il tacito consenso di Israele, che inizialmente – con una certa miopia – vede nei Fratelli Musulmani una interessante spina nel fianco di Arafat e dell’OLP, e un’organizzazione che si occupa principalmente di religione e di cultura e non pone pericoli dal punto di vista della resistenza armata.

Anche quando agli inizi degli anni 1980 l’organizzazione fondata da Yassin nel 1973 per coordinare diverse attività dei Fratelli, il Centro Islamico (al-Mujamma al-Islami), si dota di una branca militare più o meno clandestina (al-Mujahadoun al-Falestinioun, i “Guerrieri della Palestina”), i servizi israeliani ritengono inizialmente che si tratti soltanto di una polizia parallela incaricata di reprimere i peccatori pubblici (prostitute, alcolisti, negozianti che vendono materiale pornografico) in nome della shari’a e di saldare qualche conto con organizzazioni rivali. Quando però tra i peccatori da punire l’organizzazione include i collaborazionisti che si schierano apertamente con Israele, e comincia a far circolare documenti che discutono la possibilità di un rilancio della lotta armata, gli israeliani arrestano Yassin nel 1984 e lo condannano a tredici anni di reclusione. È liberato nel 1985 come risultato di uno scambio di prigionieri con il gruppo insurrezionale indipendente di Ahmad Jibril (1935-).

Questi episodi rivelano un rovesciamento di prospettiva rispetto al decennio 1957-1967 e ai quindici anni successivi alla Guerra dei Sei Giorni. I Fratelli Musulmani – e Yassin in particolare –, dopo avere criticato Fatah e l’OLP per essersi avviati prematuramente sulla via delle armi (prima che la società sia stata islamizzata attraverso una paziente opera educativa e culturale), ora passano essi stessi alla lotta armata, pronti anzi a criticare l’OLP da posizioni più radicali. Ma secondo Yassin proprio il successo ottenuto in trent’anni di propaganda e di costruzione di moschee e di strutture educative e culturali permette (in un mutato clima internazionale caratterizzato da una forte ripresa del radicalismo fondamentalista in diversi paesi) di passare (o tornare) alla fase della resistenza armata.

La data dell’8 dicembre 1987 segna l’inizio dell’Intifada (“sollevazione”), e la letteratura di Hamas ne fa anche la data di fondazione di questa organizzazione da parte di Yassin, benché la riunione fondativa sia avvenuta in realtà il 9 dicembre e il relativo comunicato sia stato distribuito l’11 dicembre a Gaza e il 14 dicembre in Cisgiordania. L’implicazione propagandistica è che il passaggio alla lotta armata dei Fratelli Musulmani sia alle origini dell’Intifada, mentre questa scoppia in una forma spontanea che prende di sorpresa tutte le organizzazioni politiche palestinesi. Un comunicato diffuso l’11 dicembre rende per la prima volta nota la nuova sigla: Hamas, una parola che significa “fervore” ed è insieme acronimo di Harakat al-Muqawama al-Islamiyya (“Movimento di resistenza islamico”). Nei mesi successivi Hamas diventa l’organizzazione che gestisce gran parte delle attività dei Fratelli Musulmani in Palestina. Il suo statuto all’art. 2 definisce Hamas “una branca dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani in Palestina”, a sua volta ramo palestinese dell’omonima “organizzazione internazionale”. La scelta per l’espressione “una branca” anziché “la branca” lascia aperta la possibilità di svolgere attività in Palestina sotto la sigla “Fratelli Musulmani” e non “Hamas”; tuttavia, nella sostanza, a partire dal 1988 le attività dei Fratelli Musulmani in Palestina sono coordinate e gestite da Hamas. Nel 1989, quando Hamas si rende responsabile del rapimento e dell’uccisione di due soldati israeliani, Israele capisce la gravità del nuovo pericolo e arresta nuovamente Yassin.

All’inizio degli anni 1990 Yassin promuove dal carcere la fondazione dei Battaglioni ‘Izz-Id-Din al-Qassam, un nuovo strumento militare che dovrebbe rappresentare un salto di qualità nella lotta armata contro Israele. Tra l’altro, la dirigenza di Hamas si rende conto che gli appelli alla lotta armata gli fanno guadagnare popolarità nei Territori, a differenza degli inviti al boicottaggio dei rapporti economici con Israele e agli scioperi, accolti con scetticismo da una popolazione dove per molti le risorse sono già al limite della sopravvivenza fisica.

I Battaglioni al-Qassam operano inizialmente solo a Gaza; tuttavia, nel corso del 1992 ne sono aperte delle branche in Cisgiordania prima a Hebron e in seguito a Nablus. Gradualmente, i Battaglioni spostano il centro della loro attenzione dalla scoperta e successivo assassinio di informatori palestinesi di Israele all’uccisione di coloni e militari israeliani, particolarmente con l’uso di autobomba. La repressione israeliana si sostanzia nel dicembre 1992 nella deportazione di 415 dirigenti palestinesi – con una forte presenza di Hamas – nel Sud del Libano, una decisione che si rivelerà un autogol per Israele. La permanenza di dirigenti di Hamas per un anno nel Libano del Sud favorisce, sotto l’egida di Teheran, i contatti tra i fondamentalisti sunniti palestinesi e i fondamentalisti sciiti libanesi del movimento Hezbollah, che fin dal 1983 avevano lanciato la nuova strategia del terrorismo suicida. L’indignazione popolare per la deportazione offre il quadro politico ed emotivo all’interno del quale Hamas passa – adottando fin nei minimi particolari (la scelta del candidato al martirio, la lettera di saluto, la videocassetta con il messaggio del “martire”) la tecnica degli Hezbollah – dagli attentati ad alto rischio per il terrorista che li compie a quelli che escludono in via di principio la sua sopravvivenza, i veri e propri attentati suicidi.

Il primo tentativo di attentato suicida – casualmente senza vittime (un autobomba guidata da un militante di Hamas esplode fra due autobus israeliani, da cui però i passeggeri erano scesi) – è dell’aprile 1993. Il 13 settembre 1993 l’OLP e Israele firmano gli Accordi di Oslo, che aprono la strada all’autogoverno dell’Autorità Nazionale Palestinese (che si impegna a far cessare gli attentati anti-israeliani) nei Territori. Hamas guida il “fronte del rifiuto” agli accordi di pace, ma deve tenere conto del fatto che una parte importante della popolazione palestinese si mostra stanca della guerra e li approva; Yassin, dal carcere, invita a evitare una guerra civile con l’OLP. Dopo la strage di Hebron, in cui il 25 febbraio 1994 un colono israeliano, Baruch Goldstein (1955-1984), apre il fuoco contro musulmani in preghiera uccidendone 29, le resistenze di Yassin cadono e si scatena una campagna di attentati suicidi che continuerà fino alla morte dello shaykh nel 2004, con brevi interruzioni.

Nel 1996 Khalid Mashaal (1956-) è nominato responsabile dell’ufficio politico di Hamas, nel frattempo stabilito in Giordania. Nel settembre 1997 il Mossad – dopo essere riuscito a eliminare diversi altri responsabili della struttura militare di Hamas – tenta di assassinare anche Mashaal ad Amman. L’attentato non riesce e tre agenti del Mossad sono arrestati dalla polizia giordana. Re Hussein (1935-1999) li restituisce a Israele scambiandoli con la liberazione di diversi detenuti di Hamas, fra cui lo stesso Yassin che, dapprima deportato in Giordania, ritorna trionfalmente a Gaza.

Gli attentati suicidi peraltro continuano e nel 2001, aumentandone l’intensità, Hamas – memore dei suoi successi nella prima Intifada – cerca di inserirsi da protagonista nella seconda Intifada, detta “Intifada al-Aqsa” dal casus belli del 28 settembre 2000 che la origina, la visita dell’allora leader dell’opposizione israeliana (poi primo ministro) Ariel Sharon, accompagnato da un folto nucleo di guardie del corpo, alla Spianata del Tempio di Gerusalemme, sede anche della moschea di al-Aqsa, interpretata dai palestinesi come una provocazione. Il gesto di Sharon offre peraltro solo l’occasione prossima e simbolica a un movimento già in gestazione da diversi mesi, risultante di un concorso di cause in cui giocano un ruolo la propaganda di Yassin e il suo tentativo di scalzare Arafat. Dopo l’11 settembre 2001 le dichiarazioni americane secondo cui un nuovo impulso al processo di pace in Palestina dovrà accompagnare la lotta al terrorismo internazionale determinano, come di consueto, una reazione di Hamas (che nulla teme più di una pace gestita da nazionalisti laici) sul versante degli attentati suicidi: ristoranti e altri luoghi di ritrovo in Israele sono presi sistematicamente di mira soprattutto a partire dal dicembre 2001, con una strategia del terrore senza precedenti guidata dal nuovo responsabile dei Battaglioni al-Qassam, Salah Mustafà Shehada (1953-2002), che sarà ucciso dagli israeliani nel luglio 2002.

Dopo l’uccisione di Shehada nell’intelligence e nel governo israeliano si apre un dibattito su Hamas e su Yassin. Alcuni ritengono che Hamas sia così radicato nella società palestinese – secondo vari sondaggi, sarebbe il primo partito in caso di elezioni davvero libere – da rendere utopistica l’idea di una sua eliminazione fisica, e che Israele debba piuttosto utilizzare a suo profitto l’esistenza in Hamas di “correnti” e la divisione fra la dirigenza “esterna” oggi residente in Qatar e quella “interna” ai Territori, aprendo un dialogo con le componenti di quest’ultima ritenute più pragmatiche (le quali – secondo questi esperti – avrebbero fatto capo allo stesso Yassin). Altri pensano che Hamas sia destinato a integrarsi sempre di più in una rete globale del terrorismo islamico, e che l’unica soluzione del problema Hamas per Israele e gli Stati Uniti sia di tipo militare. Con la guerra in Iraq nel 2003 e gli appelli di Yassin a favore della cosiddetta resistenza irachena e di un terrorismo che colpisca al cuore gli stessi Stati Uniti, questa seconda posizione prevale. Il tempo concesso a Yassin nel 1997 dagli israeliani per coniugare la poesia della retorica islamica con la prosa del realismo scade nel 2003. Da allora, Yassin diventa un obiettivo da eliminare.

La sua morte chiude un’epoca della storia palestinese. Apparentemente, lascia il campo ad Arafat e ai suoi, ma è difficile credere che la dirigenza nazionalista e laica – corrotta, screditata, ambigua sul terrorismo – possa essere accettata ancora sia come interlocutore credibile da Israele o dagli Stati Uniti, sia come guida verso un futuro migliore dalla stessa società civile palestinese. Fra Yassin e Arafat, l’unica vera speranza di pace è che emerga in Palestina una “terza via”: abbastanza radicata nella religione da non perdere il contatto con il “popolo delle moschee” ormai maggioritario, abbastanza pragmatica da resistere alle sirene dell’oltranzismo e del terrorismo.

mormoni
Per approfondire

Collana "Religioni e Movimenti":
Massimo Introvigne, Hamas. Fondamentalismo islamico e terrorismo suicida in Palestina
Elledici, Leumann (Torino) 2003

ordina questo libro

[Home Page] [Cos'» il CESNUR] [Biblioteca del CESNUR] [Testi e documenti] [Libri] [Convegni]

[Home Page] [About CESNUR] [CESNUR Library] [Texts & Documents] [Book Reviews] [Conferences]