Professor Introvigne, come nasce questo suo ultimo libro?
«Nasce da due radici. La prima è l'interesse per i fondamentalismi religiosi come dimensione essenziale del quadro geopolitico contemporaneo e dalla convinzione che le cause religiose di fenomeni che si presentano come religiosi siano impropriamente trascurate. Siamo ancora tutti un po' influenzati da Marx secondo cui la "sovrastruttura" religiosa era sempre e necessariamente la maschera dell'unica vera "struttura" che è quella economica. In questa chiave, ho già dedicato una monografia a Bin Laden e Al-Qa'ida sostenendo che anche in questo caso le motivazioni dei militanti sono anzitutto e primariamente religiose. La seconda radice è stata la possibilità di svolgere nel 1999 un'attività di ricerca sul campo sia in Israele sia in Cisgiordania, nel quadro di una collaborazione fra il Cesnur e forze di polizia e sicurezza locali in collegamento con possibili problemi collegati all'anno 2000».
I venti di guerra che spirano verso l'Iraq possono pregiudicare il processo di pace tra Israeliani e palestinesi?
Credo ci si debba anzitutto interrogare sullo stato di salute di questo processo. In Palestina si riproduce lo scontro fra due componenti sempre più chiaramente antagoniste nel mondo islamico: quella laicista che fa capo ad Arafat e quella religiosa, dove la forza maggiore è Hamas. Non è chiarissimo chi comandi in Palestina e i rapporti, sia di Arafat sia di Hamas con il regime di Saddam Hussein (e viceversa) sembrano modificarsi nel tempo, anche rapidamente, a seconda delle convenienze. La scommessa dell'Occidente sulla possibilità che in società a maggioranza islamica vincessero le forze laiciste e secolarizzatrici è stata persa quasi ovunque. Tradizionalmente, Saddam rappresenta l'epitome dell'arabismo laicista in lotta contro le forze religiose (e di uno Stato costituito, contro la propria società civile, dove una parte della minoranza sunnita opprime la maggioranza sciita), anche se negli ultimi anni usa, del tutto strumentalmente, un linguaggio islamico e cerca alleati nel mondo religioso per una comune jihad antioccidentale.
Quanto pesa in questo processo il fattore religioso rispetto a quello politico-economico?
Pesa molto. Non è certamente lunico fattore, ma solo un pregiudizio radicato di antica impronta marxista pensa che la religione sia sempre un "pretesto" che nasconde i "veri" motivi del contendere. Per i musulmani ortodossi Gerusalemme è la terza città santa, il luogo cui si rivolgeva la preghiera prima che iniziasse a rivolgersi alla Mecca; e il punto di partenza del viaggio estatico del profeta. Il riconoscimento di questo status è una condizione non negoziabile per le forze religiose. Daltro canto, anche nel mondo israeliano c'è una forte componente religiosa che considera Gerusalemme anzitutto come città santa».
La sempre crescente immigrazione rischia di far prevalere, anche nel nostro paese, il peso degli integralismi religiosi?
«Anche in Italia si riproduce la composizione del mondo islamico distinto fra "laici" e religiosi. Peraltro, la profezia di una generale secolarizzazione e passaggio alla prospettiva laicista dei musulmani a contatto con la società occidentale non si è verificata. Al contrario, vi sono casi di marocchini e di altri che, ben poco religiosi nel paese di origine, si riaccostano a forme anche fondamentaliste e radicali di religione in Italia, per affermare la loro identità in relazione allOccidente. Naturalmente, occorre anche considerare che un laicista arabo e un laicista italiano non parlano lo stesso linguaggio. Con poche eccezioni, anche il più laico dei laici in terra d'islam conserva un linguaggio a suo modo religioso e non si dichiara ateo».In Veneto recentemente si sono verificati episodi che hanno visto islamici integralisti contrapposti con violenza ad estremisti di destra. Qual'è la sua opinione?
«Se ci riferiamo al caso Smith, credo che si tratti di fenomeni che denotano scarsa intelligenza politica da parte di chi li promuove: contribuiscono a fare esistere, almeno sui media, Smith, che è un "cavaliere inesistente" che ha una mezza dozzina di seguaci, certo non le migliaia che vanta».
A Torino che peso ha il fondamentalismo islamico?
«Quando si parla di "fondamentalismo" bisogna sempre distinguere fra una componente radicale, dove pesca anche il terrorismo e che comunque in linea di principio non esclude l'azione violenta, e una "neo-tradizionalista", che intende perseguire i suoi fini con mezzi non violenti. La maggior parte dei dirigenti di moschee e sale di preghiera torinesi si rifanno alle varie sfumature dell'area fondamentalista neo-tradizionalista: sarebbe sbagliato non tenere conto della difficile compatibilità fra gli ideali dei fondamentalisti e i valori condivisi dalla maggior parte degli italiani, ma sarebbe altrettanto sbagliato considerare tutti i fondamentalismi come violenti o terroristi. Certamente c'è anche qualche moschea dove le porte sono aperte alla predicazione di tipo radicale, come quella dell'imam Bouchta».
Ci sono rischi perché questi fermenti possano sfociare in azioni terroristiche anche nella nostra città?
«Per quanto se ne sa, Torino per la sua posizione geografica è sempre stata considerata un grande centro logistico per le reti del fondamentalismo radicale e violento: un luogo dove si trova riparo, si falsificano documenti e banconote, si reclutano nuovi adepti, ci si inserisce in una rete di mille traffici di cui anche il terrorismo ha bisogno. Paradossalmente l'importanza logistica di Torino per il terrorismo la ha preservata dagli attentati: non si fanno attentati dove c'è una rete di appoggio importante su cui non si deve attirare troppo l'attenzione. Ma le reti sono tante (non c'è solo al-Qa'ida) e non si deve stare troppo tranquilli, perché non tutti ragionano secondo logiche ragionevoli e prevedibili».
Che contromisure deve prendere uno stato democratico come il nostro per evitare che ciò possa accadere?
Il lavoro di intelligence mi sembra più importante dei proclami urlati. Più ampiamente, su scala anche internazionale, mi sembra essenziale un paziente lavoro diplomatico e culturale per identificare interlocutori anche nell'islam "religioso" e non solo in quello laicista, il cui tempo sembra scaduto e che riesce a controllare alcuni paesi solo con la forza della dittatura militare. Sulla scia degli Stati Uniti, anche il governo Berlusconi mi sembra si stia muovendo bene in questo campo, per esempio con la cauta apertura di credito alle forze più filo-occidentali nella coalizione che ha preso il potere in Turchia con le ultime elezioni.
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Massimo Introvigne, Hamas. Fondamentalismo islamico e terrorismo suicida in Palestina Elledici, Leumann (Torino) 2003 |
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