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CESNUR - center for studies on new religions

Tolkien and The Lord of the Rings Saga

In Nuova Zelanda sulle tracce degli hobbit

di Moscula Liontu (Il Nuovo, 14 gennaio 2002)

Lo splendido Paese dell'emisfero australe è stato scelto come location per il film Il Signore degli Anelli. In Nuova Zelanda il paesaggio ideale per ricreare atmosfere magiche popolate da elfi, nani e orchi
La Terra di Mezzo è finita in capo al mondo. La Terra di Mordor «dove l'Ombra nera scende» è scivolata nell'altro emisfero, quello australe, dove anche l'astronomia sta a testa in giù: per la precisione in Nuova Zelanda.
Perfetto il paesaggio vulcanico delle due isole, grandi insieme come l'Italia, per fare da set alla versione cinematografica  della trilogia de Il Signore degli anelli, il best seller di J.R.R. Tolkien. In anteprima in Italia al Future Film festival di Bologna il 16 gennaio (il 18 nei cinema) verrà proiettato il primo episodio, La compagnia dell'anello, girato nella  patria del regista Peter Jackson, il Paese dei maori appunto, così come  le due puntate successive, Le due torri e Il ritorno del re.

Rotta dunque sull'isola settentrionale della Nuova Zelanda, dove ha inizio il film e il viaggio nella Terra di Mezzo. Punto di partenza la ridente località collinare di Matamata, Hobbiton nel racconto, la città dei cugini Frodo e Bilbo Baggins, da cui il primo muove per andare a distruggere l'anello (ricevuto dal secondo), su suggerimento dello stregone Gandalf, prima che ne rientri in possesso l'Oscuro Sire, il perfido Saruman.

Ai piedi delle Kaimai-Mamaku Ranges, Matamata, poco più di 5.000 abitanti, è uno dei principali centri di allevamento di cavalli di razza al mondo, la quintessenza della campagna nazionale. Casa Baggins, ambientata in una fattoria fuori città di proprietà privata, è naturalmente già meta dei cacciatori di Hobbit (i pacifici esserini dai piedi nudi e pelosi della storia), una specie di Mulino Bianco neozelandese. Prima di
procedere con il racconto e la strada si può visitare il vicino complesso di grotte di Waitomo dove ci si aggira tra migliaia di lucciole, si superano cascate sotterranee e si fa rafting nel cosiddetto Mondo Perduto. Dove si avventura invece Frodo per far fuori il gioiello magico e annientare il pericoloso Saruman? Nella Voragine del fato, sul monte Orodruin, in piena terra di Mordor; nella geografia del regista il vulcano Ruapehu, nel cuore del Tongariro National Park e dell'isola settentrionale, frequentata stazione invernale. Una scelta difficile perchè la montagna è sacra ai Maori, dunque non può essere fotografata; Peter Jackson ha potuto inserirla nelle riprese solo grazie a effetti digitali, in modo da renderla irriconoscibile. La lava (l'ultima volta è scorsa davvero nel 1996) è stata aggiunta in studio; il lago craterico esiste davvero e si può ammirare con un'escursione organizzata, possibile tra dicembre e aprile.

Per trovare Isengard, la fortezza sul fiume Isen, dove trama il mago Saruman, bisogna visitare i dintorni a nord della capitale Wellington, la città del regista dove è stata girata gran parte del film. La macchina da presa ha indugiato su Harcourt Park, dove il Poet's Corner è diventato un tratto del fiume Anduin e il Dry Creek Quarry l'Helm's Deep, la cresta montuosa disseminata di caverne del romanzo. Una quindicina di chilometri a nord di Upper Hutt si estende il Kaitoke Regional Park che, nella fiction cinematografica, è diventato Rivendell, il rifugio di montagna della Compagnia dell'Anello. In realtà nell'area verde si nuota, si fa rafting e kayak nei torrenti, si cammina lungo i sentieri di ogni tempo di percorrenza, da 20 minuti a sei ore. Sempre nei dintorni della capitale sono stati ambientati il villaggio di Bree dove gli Hobbit passano la notte nella Prancing Pony Inn e Minas Tirith, la fortezza da cui gli Uomini tengono d'occhio Saruman. Nell'isola meridionale della Nuova Zelanda, Queenstown, stretta tra il lago Wakatipu e i monti Remarkables (Notevoli, un nome e un programma) è la mecca per sportivi e amanti della natura. Sulle pendici dei rilevi "degni di nota" i più arditi possono cimentarsi nello sci, d'inverno e, d'estate, nel rafting, lo sledging (la discesa dei torrenti a bordo di "slitte", plancette, di plastica) e soprattutto nella specialità nata proprio in Nuova Zelanda, il bungee jumping, il salto nel vuoto con la caviglia assicurata a un cavo elastico. L'emozionante avventura sulle barche a getto d'acqua nel fiume Dart è invece l'attrazione di Glenorchy una quarantina di minuti d'auto a nord di Queenstown. Dove il borgo di Paradise ha prestato casette e atmosfera per ricostruire il magico mondo di Lorien,
la terra a nord della foresta di Fangorn dove, tendendo l'orecchio, si sentono bisbigliare gli Elfi.

Il signore degli anelli, film epico degno di Omero

di Natalino Bruzzone (Il Nuovo, 17 gennaio 2002)

Peter Jackson è riuscito dove ha fallito George Lucas con Star Wars: realizzare un film lontano da Hollywood ed estremamente visionario. In cui lo spirito di Tolkien è rispettato con fedeltà.
Sì, Il Signore degli Anelli è un film memorabile che ha nella composizione figurativa e nel protagonismo cangiante del paesaggio l'energia di un delirio visuale che risponde allo stile poemico di Tolkien.
Tre ore di immersione che soggiogano per la fedeltà allo spirito del romanzo (alcune cesure ed elissi di sceneggiatura erano inevitabili), per la capacità di gestire l'arcana drammaturgia, per un tocco ironico e comico che non viene meno e per la prova degli interpreti .
Un saccheggiatore e banalizzatore del para e meta Tolkien come George Lucas diventava schiavo,  in Guerre Stellari, dell'anello hollywoodiano degli effetti speciali, soffocando i rigurgiti filosofici della "forza" in una fiera del digitale computerizzato. Peter Jackson, no.

MILANO- La Terra di Mezzo come la Selva Oscura, nel senso che J. R.R. Tolkien ha trovato il suo Gustavo Dorè. Un Dorè che conosce (e metabolizza) Akira Kurosawa e John Ford oltre a potersi esprimere attraverso le immagini in movimento, secondo il linguaggio di un cinema che resta l'arte nuova (e divina) del Novecento, il secolo in cui un professore di filologia di Oxford volle farsi Omero regalando alla tradizione e alla cultura inglese una cosmogonia inedita, creata in forma globale e monumentale. La mistica tolkeiana di una cerca alla rovescia si riserva sullo schermo nella metrica dello sguardo di Peter Jackson che imprime alle sue inquadrature la medesima forza evocativa dell'illustratore della Commedia.
Sì, Il Signore degli Anelli è un film memorabile che ha nella composizione figurativa e nel protagonismo cangiante del paesaggio l'energia di un delirio visuale che risponde allo stile poemico di Tolkien con la folgorazione della visionarietà al lavoro. L'emozione dell'epica è scandita da alberi scheletrici e da prati in fiore, da montagne innevate e dal ritmo degli zoccoli al galoppo, dalla mostruosità esibita e clonata, dal  candore stupefatto del portatore del Ring, dalla minacciosa claustrofobia di antri sotterranei, dalla magia dolce di una Dama e dall'esoterismo spaventoso degli stregoni. E, sempre e comunque, resta incombente la minaccia dell'Occhio Oscuro pronto a scatenare l'Apocalisse per riprendersi il suo simbolo del comando, quel cerchietto di metallo che permette il dominio assoluto, appaga la libidine del Potere e che, come il diavolo nel deserto, ha la malia del contagio insinuante della tentazione.
Tre ore di immersione in un universo tolkeniano che soggiogano per la maestria dell'allestimento narrativo, per la fedeltà allo spirito del romanzo (alcune cesure ed elissi di sceneggiatura erano inevitabili), per la capacità di gestire l'arcana drammaturgia , per un tocco ironico e comico che non viene mai meno, per la prova degli interpreti (Ian Olm, Ian Mckellen e Christopher Lee strepitosi)  ai quali sono affidati personaggi che spesso sono soltanto le tessere di un mosaico che tende non alle motivazioni psicologiche ma alla purezza di una suggestione primordiale.
Un saccheggiatore e banalizzatore del para e meta Tolkien come George Lucas diventava schiavo,  in Guerre Stellari, dell'anello hollywoodiano degli effetti speciali, soffocando i rigurgiti filosofici della "forza" in una fiera del digitale computerizzato. Jackson no: i suoi trucchi e il suo tocco immaginativo, barocco e corrusco, hanno lo stigma della vecchia maniera dove il prodigio della cinecamera si nutre della discrezione dell'invenzione (la riduzione della statura degli attori che incarnano gli hobbit, per esempio) e mai della voglia di balzare sullo schermo a meraviglia sfoderata. Jackson ha anche il coraggio di lasciare tempo e spazio ai dialoghi, aprendo alla lingua elfica  che, almeno nella scena d'amore tra Arwen e Aragorn, argina, con il sua esotico distacco, la stucchevolezza della parentesi rosa.
La macchina da presa tracima dalle sue ardite  traiettorie, precipita e si rialza, penetra nelle fucine delle nefandezze, tratteggia "tavole" sontuose e allucinate dell'eterna lotta del Bene contro il Male, carica battaglie di violenza inaudita nel nome di un Maledetto Graal che deve essere distrutto. Il Signore degli Anelli non è un'allegoria (Tolkien aveva in disprezzo una simile struttura narrativa) che si spalanca sulla contemporaneità delle guerre di religione o sulle esigenze di una civiltà multietnica: è semplicemente il trionfo di una fantasy che ha nella propria genesi (letteraria) gli slittamenti progressivi tra Storia e Mito. E, come nel West di Ford, nella Terra di Mezzo di Jackson la migliore leggenda possibile è il cinema. Vero ed eroico, dantesco ed omerico.

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