spacer
CESNUR - center for studies on new religions

Tolkien and The Lord of the Rings Saga

Il grande John di Marco Respinti

(Tempi, 10 gennaio 2002)

Finalmente un cattolico né anonimo, né patetico. John Ronald Reuel Tolkien è così veramente cattolico (nello scrivere, nel vivere, nell’agire) da essere un laico vero. Qualche nota in margine all’autore de “Il Signore degli Anelli” (da cui è tratto il film che dal 16 gennaio sarà nei cinema italiani e che è stato giudicato dall’American Film Institute la migliore pellicola del 2001)

Aveva davvero ragione Friedrich Nietzche: se il segno della risurrezione non si vede scintillare sul volto dei cristiani, allora è una fola.
Possibile, dunque, che non si possa uscire dalla Scilla del laicismo più stucchevole (e tale soprattutto perché, di norma, semplicemente brutto e insulso) e la Cariddi del buonismo didascalico nel senso più deteriore del termine - e di solito mal didascalico - dei catto-pietisti? È un dato di fatto che, soprattutto nel Novecento, il cattolicesimo abbia perso sapore: soprattutto lo hanno perso la cultura cattolica e il modo cattolico di vedere le cose, anche se forte e aggressiva è la Weltanshauung clericale. Che però è tutt’altra cosa.
Possibile, insomma, che in libreria si debba scegliere solo tra Eugenio Scalfari, Norberto Bobbio, Gianni Vattimo ed Emanuele Severino da un lato, o Edmondo De Amicis e Susanna Tamaro dall’altro? Nietzsche scapperebbe, e con lui i veri cattolici e i veri laici.
In aiuto viene però un grande del secolo XX; un grandissimo, anche se la cultura paludata l’ha sempre relegato in un cantone come una “cosetta” per ragazzi. L’occasione per ricordarci di lui ce la sta (ri)dando ovviamente l’uscita del primo dei tre film realizzati dal regista Peter Jackson attorno alla sua opera più nota, Il Signore degli Anelli.

Apologia dell’homo faber. Vero

Tolkien scrisse cose cattoliche senza saperlo, o senza accorgersene, o senza volerlo. Nel senso che, cattolico sul serio e tutto di un pezzo, la sua più grande preoccupazione è stata per tutta la vita quella di studiare, di scrivere e di fare entrambe le cose nel modo migliore possibile. Anzitutto, però, ha avuto la preoccupazione di creare e di sviluppare in sé la capacità creativa, il tutto cominciando da una parola o (com’è fattualmente successo) dalla foglia di un albero di cui voleva descrivere l’esistenza, raccontare il contesto, sondare la bellezza.
Era un filologo - e fra i più rinomati del proprio tempo, oltre che uno scienziato che davvero ha fatto, nel suo campo, scuola - e il suo primo amore, la sua scintilla prima è stata un verbum. Dalla parola, dall’invenzione delle parole, ha creato poi una lingua intera, anzi un complesso sistema linguistico. Quindi ha creato, con l’immaginazione, persone che quelle lingue parlassero, e dunque luoghi che quelle persone abitassero, e ancora tempi che quei luoghi narrassero. Un mondo intero, insomma: colossale, grandioso, preciso e internamente coerentissimo.
Un’allegoria? Al solo sentire questa parola Tolkien avrebbe imprecato in lingua elfica o in gotico antico. L’allegoria, infatti, proprio non l’amava: troppo “telefonata” e finta (e moralistica, avrebbe certamente detto, sottolinenando di questa espressione la valenza esattamante contraria rispetto a “morale”); un voler dire per forza delle cose, magari cristianucce. La sua è invece una grande metafora solo alla condizione d’inderla come l’intendeva lui: la creazione, quasi naturale ex corde hominis, di mondi, cioè di modi che raccontino la verità. La verità vera, la verità reale anche se narrata immaginativamente.
Per Tolkien, il bandolo della matassa è tutto qui: l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, la cui grandiosa divinità si esprime anzitutto e soprattutto nella potenza (libera e stra-ordinaria) di essere il Creatore. L’uomo creato a Sua immagine somiglia dunque in primis al Creatore, e quindi, in sedicesimo, è creatore pure lui, “creatore secondario” o «sub-creatore» dice testualmente Tolkien. Tutta la vita, allora, è creare a immagine e somiglinza di Dio, là dove all’uomo è dato vivere, abitare, muoversi, lavorare, agire. Questo è l’“unico”, supremo diritto dell’essere umano, la “sola” sua grande nobiltà: imitare, essere immagine di Dio nell’opera che si compie, qualunque essa sia. Creare è proprio dell’uomo, anzi esalta e dice tutta la grandezza dell’uomo, la sua scintilla divina. Creare bene, coerentemente, credibilmente, metaforicamente, è la libertà della potenza umana, il modo per tornare, imitandolo, al Creatore primario; il modo per ringraziarlo, celebrarlo, adorarlo, non con le lebbra (riptendo vanamente il Suo nome), ma facendo, agendo, intervenendo.

Imago Dei

Tolkien vive, respira da cattolico, e così la sua scrittura è naturaliter christiana, anzi chatolica. Per lui è naturale il farlo: non conosce altro, non può altro. Ecco allora il suo corpus: un capolavoro ch’è certo cristiano, così com’è certo naturale (cioè per tutti coloro che non siano maliziosamente, malevolmente volti contro la natura dell’umano), e che quindi è cattolico.
Tolkien, insomma, è un grande uomo di lettere (se solo se ne volessero leggere gli scritti teoretici, l’epistolario, i risvolti profondi della sua narrativa in gran parte non tradotta…): tale perché pienamente uomo e strutturalmente cattolico.
Ma il bello è che un Tolkien così affascina, piace, attrae e parla a tutti: non solo ai cattolici, anzi. Pure ai (neo)pagani, alla Destra e alla Sinistra, ai verdi e ai protestanti fondamentalisti, ai libertarian statunitesi e pure all’italico il Manifesto. No, non è un uomo per tutte le stagioni (anche perché Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson e Il racconto dell’Anticristo di Vladimir Solv’ëv mettono sin troppo bene in guardia da chi viene osannato da tutto il “mondo”). Gli è invece che Tolkien arriva a tutti pur essendo radicalmente, innamovibilmente, autenticamente se stesso. Milioni di persone si consumano su dei libri e altri milioni stanno affollando le sale cinematografiche per un tizio che dice il contrario - ma bene e in modo bello e in positivo - di quello che i “maestri del dubbio” e i moralisti vanno invece da tempo insegnando. Allora forse significa davvero che, nonostante il Novecento, non tutto è proprio perduto…

Buongiorno Tolkien, buonanotte Eco

di Marco Respinti (Tempi, 10 gennaio 2002)

Rieccolo. Rieccheggia. Il Terzo Millennio è iniziato da una manciata di giorni e Umberto Eco suggella il vademecum letterario del Novecento. Dal 16 gennaio, la Repubblica uscirà per un anno allegando i 50 classici del secolo appena concluso. Il primo è il Nome della rosa e subito una vocina - simile a quella che Tom Selleck sente dentro di sé nel vecchio serial “Magnum P.I.” - si chiede “Ma chi l’ha stilata ’sta lista?”, che peraltro brilla per gli assenti: uno per tutti, T.S. Eliot (Kerouac, Márquez, Siddharta, Isabel Allende, Lolita, Saramago e Sepúlveda ci sono invece tutti). La reprimo subito e subito però mi viene in mente una battuta di The Hell-La vera storia di Jack lo squartatore, dove il serial killer dice che un giorno gli uomini prenderanno a considerarlo come il precursore del Novecento. Proprio Il nome della rosa, che se fosse un romanzo sul secolo XX (fra sangue e incredulità) sarebbe un capolavoro, è un campionario di sgozzamenti, nefandezze e intrighi torbidi. Ma gli è, invece, che pretende di essere una rappresentazione della società medioevale, peraltro vergato da uno che un po’ di storia dei “secoli bui” e un po’ di filosofia scolastica se l’è sciroppate (l’understatement è tutto voluto). Possibile che l’aggiornato e progressista semiologo non sappia che la scienza storica ha da tempo smentito la “leggenda nera”? Consigliata è la lettura dell’opera omnia di Régine Pernoud, ma anche di Jean Gimpel e di Léo Moulin, e addirittura degli “illuminati” Jacques Le Goff e Georges Duby. Così, giusto per capire (come diceva la Pernoud nel 1984) «l’unica epoca di sottosviluppo che ci abbia lasciato delle cattedrali». Ma se ciò dovesse far venire il mal di capo, “basta” allora ricorrere a Tolkien. Sì, proprio e ancora a lui, l’uomo che di fronte alla tracotanza di questo secolo avrebbe voluto parlare solo l’inglese dialettale della Mercia medioevale, che davanti a certe facce (di bronzo) sussurrava «Mordor è fra noi», che dopo Geoffrey Chaucer ha letto ben poco. Fuggiva? Per nulla. Parlava solo (e con lui il suo grande amico Clive Staples Lewis) di un “Antico Occidente”, diverso non cronologicamente (quantitativamente), ma qualitativamente: il “Medioevo”, fantastico e fattuale, che Tolkien canta e descrive a partire dal capolavoro Beowulf - scritto da un cristiano anonimo (no, non quelli di Karl Rahner, solo uno di cui non è stato tramandato il nome) che immagina, da cristiano, il passato pagano -, peraltro recentemente (e magnificamente, e significativamente) ritradotto dal premio Nobel irlandese Seamus Heaney (un altro grande assente fra i campioni letterari del Novecento di la Repubblica). Un “Medioevo” che non è (solo) un nebuloso periodo storico, ma una condizione. «Definire la civiltà cristiana romano-germanica “Medioevo” è senz’altro malizioso - afferma del resto il saggista Giovanni Cantoni, riprendendo un concetto espresso al Meeting di Rimini del 2000 proprio in merito a Régine Pernoud -, giacché significa voler legare un’esperienza comunitaria a un tempo storico, così denunciandone implicitamente l’irripetibilità (“non si torna indietro”, si dice). Chi ha inventato questa “defnizione balistica” di “Medioevo” lo ha fatto contro la civiltà cristiana, ma ha dimenticato che accanto al kronos, esiste il kayros: il “tempo significativo”, non solo il panta rei. E ciò allora significa che davvero esiste un “tempo medio” - intermedio - fra l’incarnazione di Cristo e la Parusia; un vero “medio evo”, di cui tutte le realtà storiche che s’ispirano alla visione del mondo cattolica costituiscono incarnazione, ossia altrettanti “medi evi”». Per questo nel 2000 Thomas A. Shippey, succeduto alla cattedra oxoniense di Anglosassone che già fu del grande filologo, ha scritto un libro dal titolo J.R.R. Tolkien: Author of the Century. Ma la Repubblica non l’ha letto.

back
[Home Page] [Cos'è il CESNUR] [Biblioteca del CESNUR] [Testi e documenti] [Libri] [Convegni]

[Home Page] [About CESNUR] [CESNUR Library] [Texts & Documents] [Book Reviews] [Conferences]