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Tolkien: ecco tutti i cristiani di Frodo
di Roberto Beretta (Agorà - Domenica 13 Gennaio 2002)
Cristiani di Frodo, cattolici per hobbit... Come si chiamerà il «partito» dei praticanti che, sempre più numerosi, recitano il loro credo al Signore degli anelli?
Si parla di Tolkien, sì, la cui saga in versione grande schermo è d'imminente sbarco (il 18 gennaio) nella Penisola. Ma, a differenza di quanto è successo recentemente al suo affine Harry Potter (anche lui d'origine britannica, anche lui di proporzioni monumentali, anche lui kolossal cinematografico, anche lui imparentato con la magia...), l'evento non sembra suscitare dissensi tra i cattolici. Difficile infatti trovarne uno avverso all'epica di Gandalf e Bilbo, vergata un cinquantennio fa da un filologo medievale oxfordiano di solidissima conversione alla Chiesa di Roma. Anzi: s'allargano a macchia anche in Italia interpretazioni sempre più «religiose» del capolavoro di John Ronald Reuel Tolkien: tant'è vero che certi critici sono insorti contro tale pretesa «annessione» cristiana dello scrittore.
Come ai bei tempi, ovvero negli anni Settanta: quando Il Signore fu tradotto da noi e subito divise le schiere. «È di destra», fu bollato, e anche «fascista», proprio mentre nei campus americani lo adottavano gli hippies. Negli Usa, del resto, pure la critica cattolica era stata entusiastica; mentre in Gran Bretagna la stessa aveva ignorato l'opera del concittadino. E il medesimo, ancipite atteggiamento sembra ripetersi in Italia: importato chez Rusconi da due cattolici addirittura «tradizionali» - come il responsabile editoriale Alfredo Cattabiani e il curatore Quirino Principe - e battezzato da un'introduzione di Elémire Zolla che ne accentua i toni «mistici», infatti, Il Signore degli anelli non riuscì a mietere recensioni negli ambienti cristiani.
«La cultura cattolica ufficiale aveva paura ad appoggiarlo troppo - argomenta ora l'esperto Paolo Gulisano -, visto che l'autore era considerato di destra. E allora in Italia dominavano gli intellettuali di sinistra. Ma bisogna dire pure che, all'epoca, la cultura cristiana gravitava su Parigi, della letteratura inglese conosceva a malapena Chesterton e Bruce Marshall». Anche Cattabiani rammenta le «pochissime recensioni cattoliche. Fu un'opera praticamente ignorata. Ricordo un articolo di Fausto Gianfranceschi sul Tempo, abbastanza favorevole. Del resto neppure ci furono reazioni negative: il libro fu accolto dai credenti come una "favola". Allo stesso filosofo Augusto Del Noce, ad esempio, non gliene importava nulla: ricordo che ne ridevamo insieme, proprio non gli interessava quella letteratura fantastica».
Il primo ad accorgersi di Tolkien fu il gesuita Guido Sommavilla, che coniò per lui la categoria di «epica cristologica» e poi recensì sempre gli altri lavori dell'autore d'Oltremanica, a mano a mano che apparivano da noi: «Il suo mito, anche se di contenuto pagano, avvia al sentimento religioso - dichiara -. Fa vedere che la vita, interpretata religiosamente, è una bella avventura. Invoglia a credere. All'epoca la mia posizione suscitò consensi, soprattutto tra i ciellini».
Anche lo storico Franco Cardini si annovera fra i precoci estimatori: «Conoscevo già Tolkien come medievista, editore critico del Beowulf, a tutt'oggi un classico. Ricordo che, all'inizio, i cattolici tradizionalisti apprezzavano nel Signore alcuni elementi anti-borghesi che non potevano non piacere alla galassia dei gruppi insofferenti di certe novità del concilio Vaticano II. L'"evasione" di Tolkien insomma fu la fuga di un prigioniero, non la diserzione del soldato; ovvero venne presa come un necessario ritorno alle grandi verità cosmiche ed eterne che la modernità sembrava mettere da parte, nonché ad un sacro "eroico" e gerarchico nella religione, almeno a livello di fantasia. Oggi, magari, certe sintonie le ritroveremmo piuttosto con un certo mondo ecologista e anti-globalizzazione».
Già: ma Tolkien esaltava - resuscitandola - pure una certa mitologia «pagana», che certo non poteva risultare gradita in ambienti religiosamente conservatori... Marco Respinti, giornalista e dirigente di «Alleanza Cattolica» oltre che profondo conoscitore di Tolkien, precisa: «Sì, forse i tradizionalisti sono critici sul "paganesimo" del Signore degli anelli; però non mi risulta che abbiano mai protestato. Anche negli Stati Uniti, del resto, le stesse Chiese battiste che attaccano Harry Potter per i suoi sconfinamenti magici, difendono invece Tolkien».
Carlo Climati, responsabile dell'ufficio stampa al Pontificio ateneo «Regina Apostolorum» di Roma, si trova nella medesima situazione: si era pronunciato severamente sui rischi esoterici dei maghetti della Rowlings, e invece è più indulgente verso Gandalf e soci: «Nel mondo di Tolkien la magia esiste, però è sempre sottomessa al volere divino. Frodo è il contrario di Harry: lui la vittoria sul male la ottiene con la potenza esoterica (il che è gnosticismo), mentre gli hobbit sconfiggono il nemico col sacrificio, con l'umiltà e l'obbedienza. Potter inoltre propone un'ambientazione moderna, in cui l'atmosfera magica è più strisciante e subdola, invece si capisce subito che la Terra di Mezzo è un contesto immaginario».
Di fatto, una delle rarissime voci cattoliche «contro» si è levata 7 anni or sono sulla rivista Studi cattolici per la firma di Alessandro Massobrio. «Presenze pagane nella narrativa», s'intitolava l'articolo, e si chiedeva: «Sono davvero buoni, innocenti, sempre e comunque buontemponi tali esseri a metà strada tra uomini e demoni?». Però l'opinione di Massobrio, secondo il quale nelle opere di fantasy si dipana «un culto per così dire panteistico delle forze naturali, che è antitetico al cristianesimo», veniva recisamente capovolta sulle medesime colonne, tre mesi più tardi, da José Miguel Ibanez Langlois: ««Più che un panteismo anticristiano, vedo nella letteratura meravigliosa una vera propedeutica cristiana», scriveva il teologo. Nel 1999 sullo stesso periodico (vicino all'Opus Dei) Alberto Valenti sembra chiudere la discussione con un'ardita analogia tra Frodo e Cristo: «Il Signore degli anelli ha un chiaro significato cattolico... Riecheggia caratteri, gesta, virtù - umane e divine - di Cristo».
Ma neppure più «a sinistra» - se ci si passa lo schematismo - i toni sono molto differenti. Davide Frasnelli, già redattore del settimanale dell'Azione cattolica Segno Sette nel mondo ed ora autore Rai, appassionatissimo tolkieniano, testimonia: «Tra i progressisti c'è sempre stato un po' di snobismo verso l'inventore del Silmarillion, e il dibattito cattolico ufficiale è andato di riflesso. Ciò non ha impedito però a parecchi scout italiani di usare il Signore degli anelli nei loro campi, per esempio; addirittura nell'Agesci ci fu chi propose di sostituirlo al canonico Libro della giungla di Kipling...».
Due pareri critici vengono da un fronte forse inatteso. L'antropologa e studiosa d'esoterismo Cecilia Gatto Trocchi sottolinea che «Tolkien si inserisce nel filone neo-romantico: e l'Ottocento è tutto anti-cristiano. Il Signore recupera una tradizione finta e arcaica contro quella vera, greco-romana e cristiana. Per carità: è un romanzo piacevole, ripropone una contrapposizione chiara tra bene e male, non offre miti nichilisti come Roberto Calasso; e questo è già qualcosa. Però non andrei oltre il passatempo letterario». Infine lo scrittore Vittorio Messori, pur ammettendo di «incontrare spesso persone che dal Signore degli anelli trovano stimoli per la loro fede», confessa: «A me gli gnomi non interessano. Sono incapace di credere a qualcosa che non sia storicamente avvenuto, nemmeno da bambino sopportavo le favole. So bene che i miti hanno la loro importanza; però io sono un volterriano pentito, di formazione razionalista: e questo mi ha sempre impedito di entrare nella dimensione del simbolo. Ma è solo un giudizio personale: la vocazione della Chiesa è cattolica, dunque è bene che ogni carisma vi abbia la sua tana». Perché no? Magari proprio «il buco sottoterra dove viveva un hobbit».
Biffi: quella saga di orchi è un'avventura dello spirito
(Agorà - Domenica 13 Gennaio 2002)
Nel 1992 il cardinale Giacomo Biffi introdusse un convegno organizzato a Bologna per il centenario della nascita di Tolkien dal Centro culturale Manfredini su «Realtà e mistero nell'opera di J.R.R.». Pubblichiamo una parte di quella relazione.
Credo fossero gli ultimi giorni del 1971. Una febbre fastidiosa e irriducibile mi aveva costretto a letto per qualche tempo. Uno dei miei giovani venne a darmi da leggere un grosso volume: una sua recente scoperta, mi disse. Era «Il Signore degli anelli». Cominciai la lettura senza entusiasmo e la proseguii, vincendo una certa istintiva repulsione, più che altro perché non avevo sottomano niente di alternativo. Devo confessare che tutta quella folla di orchi, di nani, di stregoni, di elfi, me la sentivo estranea e lontana, e francamente mi infastidiva.
Il nostro popolo ignora le saghe: i racconti della nostra tradizione sono le "novelle", dove compaiono mercantesse e studenti, ingordi signori e furbi popolani, ingenue devote e pittori scanzonati: uomini e donne, tutti, quotidianamente verificabili. La mia anima italiana dunque mal sopportava sulle prime quel mondo di creature fantastiche e senza alcuna plausibilità. Ma, con mia meraviglia, a mano a mano che mi addentravo nella vicenda, ne ero sempre più conquistato, fino ad arrivare all'ultima pagina con la persuasione che mi era stata offerta un'esperienza culturale tra le più gratificanti, e anche con un certo rammarico che quella straordinaria avventura dello spirito fosse ormai alla conclusione. (...)
Se adesso voglio arrischiarmi a riconoscere e a manifestare le ragioni del fascino che Tolkien esercita tuttora su di me, credo di poter dire che all'origine c'è la mia propensione per quelli che cantano fuori dal coro e la mia connaturale affinità con coloro che non si adeguano ai gusti prevalenti e alle mode. (...) Dove il non conformismo di Tolkien mi pareva addirittura deliziosamente provocatorio era nella sua evidente risoluzione di infischiarsene completamente di quell'ossessivo pansessualismo che negli autori contemporanei sembrava essere diventato una specie di professione di fede. Non che mancassero nella sua narrazione i temi dell'amore e della donna; mancavano però le prevaricazioni minuziosamente descritte, le morbosità, le fissazioni libidinose, senza delle quali pare che oggi non sia più possibile farsi accogliere dagli editori e dalle programmazioni televisive.
Più profondamente Tolkien si imponeva alla mia attenzione per la sua robusta certezza che il bene e il male sono tra loro incompatibili; che nella storia umana è in atto un assalto tremendo da parte delle forze della perversione; che l'esistenza è drammatica e non ci si può cullare in un irenismo zuccheroso. In una cultura dove tutto è mescolato e grigiastro, dove pare che la vita sia un gioco insulso senza scopo e senza regole, dove c'è molta comprensione per tutto tranne che per le ragioni della verità, l'universo presentatomi da Tolkien mi appariva come un forte e provvidenziale richiamo all'autenticità degli esseri, dei principi, delle intrinseche finalità».
Credenti all'assalto della «Terra di mezzo»
Libri e siti internet riscattano decenni di silenzio
(Agorà - Domenica 13 Gennaio 2002)
Offensiva cattolica sulla «Terra di mezzo»? C'è qualcuno che comincia a sospettarlo e - da sinistra - ammonisce a non lasciarsi scippare, come già negli anni Settanta, un autore di tanto immaginifico appeal. In effetti, dopo un disinteresse pluridecennale, i cattolici si presentano agguerriti all'appuntamento col film degli anelli.
Alfiere della riscossa è Paolo Gulisano, che col suo recente Tolkien, il mito e la grazia (Àncora) appare tra i più decisi sostenitori del recupero religioso dello scrittore inglese. Gulisano si è replicato sulla rivista Communio, dove ha presentato la teologia della storia di Tolkien. Anche Marco Respinti è attivissimo: oltre ad aver tradotto Tolkien e il Signore degli anelli di Colin Duriez, una guida di lettura in uscita presso l'editore cattolico Gribaudi, cura sul sito del Cesnur di Torino una nuovissima pagina sull'autore britannico e nell'ultimo numero del settimanale Tempi saluta in un articolo «Il grande John»: «Finalmente un cattolico né anonimo, né patetico... Un tizio che dice il contrario di quello che i "maestri del dubbio" e i moralisti vanno da tempo insegnando». Proprio Respinti, del resto, aveva firmato la voce «Tolkien» nel Dizionario del pensiero forte stampato da Cristianità.
Mentre la cattolica Ares riedita La vita di J.R.R. Tolkien di Humphrey Carpenter, unica biografia autorizzata dell'inventore degli hobbit, Saverio Simonelli (giornalista di Sat 2000) e Andrea Monda (insegnante di religione) pubblicano da Frassinelli Tolkien, il signore della fantasia: studio filologico che sgombra il campo dalle interpretazioni gnostiche e junghiane del capolavoro. Infine il carmelitano Paolo Barbiano di Belgioioso, «esperto di linguistica elfica», legge una relazione al convegno organizzato a Brescia dall'associazione di tolkieniani «Endòre» il 23 e 24 febbraio. Titolo «Tolkien: scrittore cattolico?». Difficile rispondere di no... (R. Be)
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