Sono 15.000 gli italiani convertiti all'induismo, ma il numero potrebbe arrivare anche a 25.000, se si considerano anche gli immigrati e "chi in Italia dà qualche segnale di contatto con un centro induista". E' uno dei dati contenuti nel primo "Rapporto sull'induismo e sui movimenti di origine induista in Italia", che è stato presentato l'11 dicembre a Torino dal Cesnur (Centro Studi sulle Nuove Religioni).
Nel volume curato da Massimo Introvigne, PierLuigi Zoccatelli e Federico Squarcini è discussa, tra l'altro, la storia dei 45 centri induisti di rilievo nazionale, che ammontano a 15 mila fedeli ed i cui movimenti più numerosi sono quelli che fanno capo a Sathya Sai Baba (quattromila) e alla meno nota maestra Amma (duemila). "Il convegno torinese si legge in una nota - , oltre a presentare il rapporto, mette a fuoco la tradizione non più diffusa per numero di membri, ma culturalmente più influente in Italia: quella che si esprime negli Hare Krishna, duecento iniziati che vivono in comunità in Italia, e una cerchia più ampia di fedeli esterni allacomunità". Secondo Eugenio Fizzotti, direttore dell'Istituto di Psicologia della Pontificia Università Salesiana di Roma, e Federico Squarcini, specialista di induismo, "le difficoltà incontrate dagli Hare Krishna negli ultimi anni, in cui il movimento è stato scosso da polemiche e controversie, spiegano l'arrivo in Italia anche di una certa concorrenza". "Tra gli italiani dice Massimo Introvigne, direttore del Cesnur i 15 mila induisti si trovano di fronte a oltre 60 mila buddisti: il fascino è diverso: il buddismo si presenta spesso come incontro di religione, modernità e scienza; l'induismo insiste sul suo carattere di saggezza millenaria".
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