Le Assemblee di Dio in Italia: una presenza che cresce
Le Assemblee di Dio in Italia (ADI), una denominazione evangelica pentecostale, costituiscono - con oltre centomila fedeli - la terza presenza religiosa organizzata italiana, dopo la Chiesa cattolica e i testimoni di Geova (lislam è una presenza certamente più grande, ma non è organizzata, o meglio è divisa in un buon numero di organizzazioni diverse). Molti italiani conoscono le Assemblee di Dio in Italia soltanto perché ne trovano il nome sulla dichiarazione dei redditi (la denominazione partecipa infatti allotto per mille, dopo lIntesa stipulata con lo Stato italiano il 29 dicembre 1986): ma la letteratura sullargomento è veramente scarsa. Colma in questo senso una lacuna lopera del pastore valdese di Siena Eugenio Stretti Il Movimento pentecostale. Le Assemblee di Dio in Italia, pubblicata dallEditrice Claudiana di Torino (1999).
Il volume offre anzitutto una rapida sintesi (pp. 13-18) sulle origini del movimento pentecostale, per cui rinvia allopera da me curata per la Elle Di Ci La sfida pentecostale, del 1996. La parte centrale del volume (pp. 19-66) ripercorre dapprima la storia del movimento pentecostale in Italia, prima dal 1908 al 1947, poi dalla costituzione formale delle Assemblee di Dio in Italia (22 maggio 1948) fino allintesa con lo Stato del 1986 e alla situazione attuale. Benché lattuale presidente delle ADI, il pastore Francesco Toppi - che firma la presentazione del volume - avesse offerto diverse informazioni utili nellopera Le radici del Movimento pentecostale in Italia (con D.A. Womack: ADI Media, Roma 1989), lo studio di Eugenio Stretti è in effetti il primo e non potrà che costituire, dora in poi, un punto di riferimento imprescindibile per futuri studi. Stretti racconta anzitutto la nascita di un pentecostalismo di lingua italiana negli Stati Uniti allinterno della Chiesa presbiteriana italiana (che era in rapporto con la Chiesa valdese), e tratteggia la figura di Luigi Francescon (1866-1964). Francescon conobbe nel 1907 William H. Durham (1863-1912), che è alle origini delle Assemblee di Dio americane, anche se morì prima della loro fondazione nel 1914. In seguito a questo incontro una prima Chiesa pentecostale di lingua italiana fu fondata a Chicago il 15 settembre 1907, con successive missioni a Los Angeles e St. Louis. Nel 1927 a Niagara Falls (New York) si tenne il primo Convegno delle Chiese cristiane pentecostali italiane degli Stati Uniti, con la stesura di dodici articoli di fede. Nel frattempo - fin dal 1908, e grazie soprattutto a Giacomo Lombardi (1862-1934) - i pentecostali italo-americani avevano promosso missioni in Italia (oltre che in Brasile e Argentina, dove i risultati sarebbero stati spettacolari). Allo scoppio della Prima guerra mondiale esistevano in Italia una decina di comunità pentecostali, e nel 1928 (quando le comunità erano salite a novanta) si tenne a Roma unAssemblea nazionale costitutiva delle Chiese pentecostali italiane, presieduta da un rappresentante delle comunità italo-americane. Francescon insistette per unorganizzazione radicalmente congregazionalista e per la completa autonomia delle Chiese locali. Secondo Stretti, questa decisione si rivelò "un grave errore" (p. 28), soprattutto quando il fascismo - dopo un primo momento di tolleranza - avviò la repressione delle comunità pentecostali, i cui riti entusiastici considerava dannosi all"equilibrio psichico" e alla "integrità psichica" dei partecipanti. Con la circolare del sottosegretario Guido Buffarini-Guidi del 9 aprile 1935 il culto pentecostale era vietato. Riprendendo tesi di autori valdesi precedenti (in particolare Giorgio Peyrot e Giorgio Rochat), Stretti sottolinea in modo particolare il ruolo di esponenti della gerarchia cattolica nel denunciare al regime la presunta pericolosità dei pentecostali.
Con la caduta del fascismo cessano - per la verità lentamente, perché Stretti parla di una "persecuzione democristiana" (p. 50) fino alla revoca della circolare Buffarini-Guidi nel 1955 - i problemi esterni, ma sorgono problemi interni. Memori degli errori precedenti, una buona parte dei pentecostali italiani dopo il Convegno siciliano di Raffadali (Agrigento) del 1944, costituiscono una struttura centralizzata, appunto le Assemblee di Dio in Italia, e accettano lofferta di affiliazione di una grande denominazione come le Assemblee di Dio americane (che contano oggi ventidue milioni di membri nel mondo). Non tutti i pentecostali sono daccordo. Alcuni rimangono affezionati al congregazionalismo radicale, e mantengono il nome di Congregazioni cristiane pentecostali (dal 1958 riunite da una struttura di collegamento), oggi in buoni rapporti con le ADI. Sorge però anche tutto un pentecostalismo indipendente, talora con più marcate differenze di organizzazione e anche di dottrina rispetto alle ADI. Queste ultime - cresciute fino a contare oltre quattrocento comunità - radicano la dottrina dello Spirito Santo (cui fa cenno il quarto capitolo del volume di Stretti) su un rigoroso fondamento biblico, anche se - come la maggioranza dei pentecostali - sono persuasi che (nelle parole dell'attuale presidente Francesco Toppi) "il battesimo dello Spirito Santo non si manifesta con un qualsiasi carisma, ma solo e sempre con il sempre con il segno del parlare in lingue" (p. 69). Oggi con le ADI coesiste in Italia unarea neo-pentecostale e carismatica, sulle cui differenze con le ADI insistono sia Stretti sia Toppi, in due articoli che si proponevano di aprire un dibattito rispetto a miei scritti sullargomento e che sono ripubblicati in appendice al volume (pp. 79-95). E certamente giusto sottolineare queste differenze, spesso profonde, come del resto è comprensibile la critica del pastore Toppi alla mia classificazione di tutti i pentecostali in un "quarto protestantesimo" diverso dal terzo protestantesimo che comprende (secondo laccezione corrente negli studi di lingua inglese) i movimenti di risveglio di origine ottocentesca e si distingue dal primo protestantesimo (delle origini) e dal secondo (riferito a movimenti di risveglio più antichi, come i battisti e i metodisti). E certamente vero che i pilastri della teologia e della spiritualità di denominazioni come le ADI sono molto simili al terzo protestantesimo. Una classificazione diversa potrebbe essere a mio avviso giustificata dallimportanza attribuita al segno del parlare in lingue, che dalle denominazioni più tipiche del terzo protestantesimo (gruppi "di santità" e fondamentalismo evangelico) è normalmente rifiutata, spesso con vigore. Non si deve peraltro dimenticare che ogni tipo di classificazione è soltanto uno strumento di lavoro, e verrebbe meno al suo scopo se ostacolasse lanalisi rigorosa delle dottrine e delle fonti.
Si può rimanere più perplessi quando Stretti distingue in modo rigido fra "pentecostali" e "carismatici" affermando che "i linguaggi paiono simili, ma la sostanza è diversa"; che "il movimento carismatico pone laccento sullesperienza del soggetto, meno sul testo biblico" e che "unaltra differenza fondamentale è costituita dalla partecipazione, da parte dei carismatici, ad iniziative di tipo interconfessionale" (pp. 77-78). Certo - come sottolinea anche Toppi - il movimento carismatico cattolico (e quello anglicano, che pure ha dimensioni notevoli) sono fenomeni dotati di una loro specificità cattolica (o anglicana), per cui una chiara distinzione con il pentecostalismo protestante non può che essere opportuna. Esistono tuttavia nuove forme di pentecostalismo allinterno del protestantesimo che preferiscono definirsi "carismatiche" piuttosto che "pentecostali": è il caso di una parte importante del Latter Rain Movement (che risale al 1948), di comunità indipendenti che hanno talora notevole importanza come la Calvary Chapel Church, e della più recente Vineyard Christian Fellowship, a lungo animata da John Wimber (1934-1997). Questi gruppi hanno certamente differenze di carattere ecclesiologico rispetto a denominazioni come le ADI, e un orientamento di tipo più congregazionalista, ma obietterebbero fortemente a chi volesse caratterizzare la loro testimonianza come non radicata nelle Scritture. Quanto alle "iniziative di tipo interconfessionale", è vero - ancora - che alcuni gruppi dellultima "ondata" pentecostale (in genere piccoli) si caratterizzano per una particolare apertura nei confronti della Chiesa cattolica. Quello che ho presentato in un volume del 1996, con cui Stretti e Toppi aprono qui un interessante dibattito, come "quarto ecumenismo" è tuttavia - più in generale - l'insieme dei tentativi di dialogo fra i cattolici e le denominazioni evangeliche che non fanno parte del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), e criticano quest'ultimo da un punto di vista conservatore. Non si tratta solo di pentecostali ma - per esempio - dei battisti del Sud, la denominazione di maggioranza relativa allinterno del protestantesimo americano. A questo dialogo - iniziato negli Stati Uniti con il controverso ma interessante documento "Evangelici e cattolici insieme" del 1994, sottoscritto da esponenti dellepiscopato cattolico e da rappresentanti di quel mondo protestante conservatore che non si riconosce nel CEC - hanno partecipato, insieme a battisti del Sud , esponenti del "terzo protestantesimo" e pentecostali indipendenti, anche pentecostali "classici". Il dottor Jesse Miranda, dirigente delle Assemblee di Dio americane, è tra i firmatari del documento del 1994. "Quarto ecumenismo" non significa, in questo senso, ricerca da parte di cattolici carismatici di un dialogo che privilegi i pentecostali indipendenti rispetto alle denominazioni pentecostali storiche, ma presa datto - secondo una linea che anche Stretti suggerisce - della ricchezza e diversità del vasto mondo protestante che non fa parte del CEC (né, in Italia, della Federazione delle Chiese evangeliche). Si tratta di una realtà - grazie, in particolare, allapporto di denominazioni come le ADI - ormai maggioritaria allinterno del protestantesimo in diversi paesi, fra cui lItalia, che è certamente necessario per i cattolici conoscere e con cui, superando innegabili difficoltà e sospetti, un dialogo fra credenti nellunico Signore non può non essere almeno tentato.
Massimo Introvigne
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