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Gli evangelisti non ci hanno ingannato. «L'infanzia di Gesù» di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI

di Massimo Introvigne

imgParafrasando il titolo del recente best seller di Vittorio Messori relativo a Lourdes e a santa Bernadette Soubirous (1844-1879), possiamo riassumere il libro di Benedetto XVI «L'infanzia di Gesù» (Rizzoli, Milano, e Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2012) in una semplice frase: gli evangelisti Luca e Matteo non ci hanno ingannato. Tutto quanto ci raccontano sull'annunciazione, la nascita miracolosa da una Vergine in una grotta che fungeva da stalla a Betlemme, la visita dei Magi, la fuga in Egitto, la disputa a dodici anni fra i dottori del Tempio è veramente accaduto. Non si tratta di una favola o di un semplice simbolo. Gli evangelisti intendevano trasmettere fedelmente una verità storica.

Il Papa - in quello che, è bene precisare,  non è un testo di Magistero, benché sia evidentemente tanto autorevole quanto lo è il suo autore - ci spiega che il genere storico dei Vangeli che trattano dell'infanzia di Gesù è quello delle «tradizioni di famiglia». Queste erano particolarmente importanti per un popolo che aveva subito persecuzioni ed era stato costretto a tanti esili e ritorni. Preservare e trasmettere oralmente la storia della propria famiglia era allora un compito fondamentale per gli Ebrei. Qui la trasmissione e la messa per iscritto sarebbe potuta avvenire, inoltre, solo dopo che Maria non fosse più stata su questa Terra. I Vangeli dell'infanzia comprendono infatti particolari molto delicati, per esempio sulla sua verginità - un tema estraneo alla tradizione d'Israele, che certamente la Madonna non avrebbe potuto inventare - i quali «non potevano diventare tradizione pubblica finché lei stessa era ancora in vita». Ma era stata certamente lei a riferire agli evangelisti, in particolare a san Luca, dettagli che nessun altro poteva conoscere.

Il Pontefice prosegue la sua garbata polemica - iniziata negli altri due mirabili volumi sulla vita pubblica di Gesù - con gli esegeti razionalisti, i quali hanno liquidato come ingenua l'ipotesi che i Vangeli dell'infanzia riferiscano fatti realmente accaduti e appresi dalla viva voce di Maria. «Ma - si chiede il Papa - perché Luca dovrebbe avere inventato l'affermazione circa il custodire delle parole e degli eventi nel cuore di Maria se per questo non c'era alcun riferimento concreto? Perché avrebbe dovuto parlare del suo "meditare" sulle parole (2,19; cfr. 1,29) se al riguardo non si sapeva nulla?». Benedetto XVI ritiene che pensare che gli evangelisti abbiano mentito o abbiano inventato avventure inverosimili senza fondamento storico - tra l'altro, adottando un modo di narrare che al tempo era quello tipico della storia e non delle favole o delle leggende - è una tesi che non ha alcun serio fondamento di tipo propriamente esegetico o storiografico. Deriva solo da un pregiudizio ideologico tipicamente moderno.

Naturalmente, questo non significa che gli evangelisti non abbiano aggiunto del loro a quanto Maria aveva riferito. Questo consiste principalmente nella costante preoccupazione - in un clima di polemica intorno al cristianesimo nascente - di mostrare come la vita di Gesù realizzava precisamente le profezie del Vecchio Testamento sul Messia che doveva venire. Quelle dell'Antico Testamento erano - afferma, con una bella espressione, il Papa - «parole in attesa», spesso molto misteriose. Da una parte gli evangelisti leggono gli eventi dell'infanzia di Gesù con riferimento a queste parole profetiche. Ma dall'altra il significato delle profezie si capisce chiaramente solo con riferimento alla vita di Gesù.

Non si deve commettere l'errore di pensare che il collegamento con le antiche profezie trasformi il resoconto dell'infanzia del Signore in una narrativa puramente simbolica. I due livelli di lettura coesistono, e anzi ognuno è credibile solo perché richiama costantemente l'altro. Un caso esemplare è la questione molto dibattuta sul luogo di nascita di Gesù. Per gli esegeti progressisti è diventato quasi un luogo comune sostenere che Gesù è nato a Nazaret, ma i Vangeli dell'infanzia hanno spostato la nascita a Betlemme perché la nascita corrispondesse alle profezie. Il Pontefice mostra che questa tesi progressista non è sostenuta da nulla, se non dalla tenace volontà di negare che la narrazione evangelica dell'infanzia abbia carattere storico.

Certamente, non mancano problemi. Benedetto XVI studia in profondità uno dei maggiori, un vero rompicapo per generazioni di esegeti. Continuando ad applicare il metodo che consiste nel mostrare ai suoi lettori che la vita di Gesù corrisponde alle profezie, a un certo punto san Matteo afferma che la Sacra Famiglia andò ad abitare a Nazaret «perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: "Sarà chiamato Nazoreo"» (Mt 2,23). Questo brano non fa difficoltà per il lettore ordinario, abituato appunto al rimando costante all'Antico Testamento nei Vangeli. Ma mette in difficoltà gli esegeti, i quali scrutando l'Antico Testamento non trovano nessuna profezia dove si affermi che il Messia sarà nazareno. 

Le soluzioni avanzate dagli esegeti più affidabili, spiega il Papa, sono due. Secondo la prima Matteo fa riferimento a un testo relativo a Sansone (Gdc 13,5-7) dove «nazireo» identifica una categoria di israeliti consacrati totalmente al Signore, fin dalla più tenera infanzia e anzi fin dal seno materno. Certamente nessuno più di Gesù è stato totalmente consacrato al Signore, e questa verità secondo il Pontefice potrebbe prevalere sul fatto che - a differenza dei nazirei - Gesù non si asteneva dall'alcol. Tuttavia, manca qui il collegamento con Nazaret. Questo collegamento invece è presente nella seconda spiegazione, che il Papa preferisce: il riferimento che Matteo vuole proporre è alla profezia di Isaia (11,1) secondo cui «un germoglio spunterà dal tronco di Iesse». Ora la parola «germoglio» (in ebraico «nezer») si trova anche nell'etimologia del nome Nazaret: e non è tanto importante se l'etimologia sia scientificamente fondata o sia stata solo creduta vera da Matteo. Il fatto che questo evangelista citi spesso Isaia rende particolarmente credibile questa ipotesi, anche se non tutte le difficoltà sono risolte.

I singoli capitoli del libro riprendono tutti lo schema generale, affrontando varie obiezioni dell'esegesi razionalista e riaffermando la verità insieme storica e teologica dei diversi episodi. Di particolare rilevanza è il commento all'episodio dei Magi, astrologi venuti dalla Persia a cercare un misterioso re nato a Betlemme, spinti sia da un fenomeno celeste molto particolare rilevato dagli astronomi da Roma alla lontana Cina - che sta alla base della stella di cui parlano i Vangeli, il che non esclude il suo significato simbolico -, sia da profezie che circolavano in un'area molto vasta e di cui un'eco misteriosa si trova pure nella quarta egloga di Virgilio nelle «Bucoliche», su cui molto rifletterà la cristianità medievale. A proposito di questo episodio il Papa riprende quanto aveva già affermato in un documento del suo Magistero, l'enciclica «Spe salvi» del 2007: l'episodio dei Magi segna la fine dell'astrologia - non, evidentemente, di fatto, posto che mai come oggi tante persone ci credono, ma di diritto - perché a Betlemme è stata la potenza del Bambino a guidare la stella, non viceversa, e ormai gli astri girano intorno al Signore che si è incarnato nella storia.

L'episodio dei Magi, con la strage degli innocenti - insiste Benedetto XVI -, è storico, anche se la tradizione ha aggiunto particolari extra-biblici, peraltro densi di significato, come le differenti provenienze ed etnie dei Magi, che dovevano rappresentare tutto il mondo conosciuto, e la loro qualità di re - venuti a rendere omaggio al Re del cosmo e della storia - con tanto di corteo reale ricco di cavalli e cammelli. A proposito di animali, molti recensori hanno affermato che il libro del Papa manderebbe in pensione dal presepe il bue e l'asinello, negando la verità storica di questo dettaglio. In realtà non è proprio così: il Pontefice ribadisce il dato noto secondo cui dei due animali non c'è traccia nei Vangeli, ma essi - simbolo degli ebrei e dei pagani - compaiono molto presto nell'iconografia, anche in quanto menzionati in un brano di Isaia (1,3). Il libro conferma pure che le grotte come quella dove nacque Gesù erano spesso usate come stalle: dunque non è impossibile che gli animali ci fossero, anche se nulla nei Vangeli lo attesta.

È impossibile dare conto in una breve recensione di tutta la ricchezza di particolari e commenti del libro. Non si può che consigliare di leggerlo. Si deve però almeno aggiungere che il Papa non ci propone un semplice insieme di curiosità. Da ogni episodio ricava un insegnamento per noi. In tempi di crisi della politica, vale la pena di fare cenno alla sua insistenza su un contesto che è quello della «pax Augusti», la pace dell'imperatore Augusto (63 a.C.-14 d.C.), che è insieme implicitamente dagli evangelisti paragonata e messa in contrasto con la «pax Christi». Gli evangelisti non contestano che la pace di Augusto abbia portato grandi benefici. Né lo contesta il Pontefice, il quale cita l'affermazione dell'esegeta e storico Marius Reiser secondo cui Augusto aveva portato «per duecentocinquanta anni pace, sicurezza giuridica e un benessere, che oggi molti Paesi dell'antico Impero romano possono ormai soltanto sognare». Dunque va dato ad Augusto quello che è di Augusto, e il confronto non dev'essere «unilateralmente polemico». 

E tuttavia nella pace di Augusto, pure grande, c'è qualcosa che non va. A un certo punto l'imperatore pretende di essere adorato come Dio. Andando al di là dei limiti della politica, anche la pace comincia a scricchiolare. «Dove l'imperatore si divinizza e rivendica qualità divine, la politica oltrepassa i propri limiti e promette ciò che non può compiere». Seguono contestazioni e rivolte. Si tratta di un sobrio monito sui limiti della politica, contro ogni totalitarismo. Soltanto riconoscendo che solo Cristo regna sulla storia come Signore e Dio, la politica - anche quella che si dice cristiana,  ma che talora rischia di strumentalizzare e manipolare il Vangelo - potrà rendere il suo autentico e legittimo servizio alla verità e alla pace.