CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne
www.cesnur.org
www.cesnur.org
Nell’udienza generale del 12 settembre 2012, continuando la sua «scuola della preghiera» sull’Apocalisse, Benedetto XVI ha esaminato la seconda parte del libro sacro, ricavandone preziose indicazioni per una teologia della storia. Secondo il Pontefice, «mentre nella prima parte la preghiera è orientata verso l’interno della vita ecclesiale, l'attenzione nella seconda è rivolta al mondo intero». Come nella prima parte, l’assemblea dei primi cristiani ascolta un messaggio dell’apostolo Giovanni proposto da un lettore. Ma nella seconda parte la visione del mondo e della storia che emerge dai messaggi è drammatica e alternativa. Emergono due mondi «in rapporto dialettico tra loro: il primo lo potremmo definire il “sistema di Cristo”, a cui l’assemblea è felice di appartenere, e il secondo il “sistema terrestre anti-Regno e anti-alleanza messo in atto dall’influsso del Maligno”, il quale, ingannando gli uomini, vuole realizzare un mondo opposto a quello voluto da Cristo e da Dio». L’assemblea è chiamata a «leggere in profondità la storia» in preghiera, cogliendo il drammatico scontro fra il «sistema» di Cristo e quello del diavolo.
Nella seconda parte dell’Apocalisse sono proposti «tre simboli, punti di riferimento da cui partire per leggere la storia: il trono di Dio, l’Agnello e il libro».
Il primo simbolo è il trono, su cui siede qualcuno «che Giovanni non descrive, perché supera qualsiasi rappresentazione umana; può solo accennare al senso di bellezza e gioia che prova trovandosi davanti a Lui». Si tratta dello stesso «Dio onnipotente che non è rimasto chiuso nel suo Cielo, ma si è fatto vicino all’uomo, entrando in alleanza con lui; Dio che fa sentire nella storia, in modo misterioso ma reale, la sua voce simboleggiata dai lampi e dai tuoni». I ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi stanno intorno al trono e «rendono lode incessantemente all’unico Signore della storia».
Il secondo simbolo è il libro, «che contiene il piano di Dio sugli avvenimenti e sugli uomini; è chiuso ermeticamente da sette sigilli e nessuno è in grado di leggerlo». Consapevole di questa «incapacità dell’uomo di scrutare il progetto di Dio», Giovanni «sente una profonda tristezza che lo porta al pianto». Ma «c’è un rimedio allo smarrimento dell’uomo di fronte al mistero della storia: qualcuno è in grado di aprire il libro e di illuminarlo».
Questo qualcuno si rivela nel terzo simbolo: l’Agnello, cioè Gesù Cristo immolato sulla croce, che qui però appare «in piedi, segno della sua Risurrezione. Ed è proprio l’Agnello, il Cristo morto e risorto, che progressivamente apre i sigilli e svela il piano di Dio, il senso profondo della storia».
Questi simboli sono molto importanti anche per noi oggi, in quanto «ci ricordano qual è la strada per saper leggere i fatti della storia e della nostra stessa vita». Il senso della storia si capisce solo nella preghiera, che è «come una finestra aperta che ci permette di tenere lo sguardo rivolto verso Dio». Ma, per andare più in profondità, dobbiamo chiederci: «in che modo il Signore guida la comunità cristiana ad una lettura più profonda della storia?». Anzitutto, risponde il Pontefice, «invitandola a considerare con realismo il presente». È questo il significato del gesto dell’Agnello, che apre i primi quattro sigilli del libro e mostra così alla Chiesa «il mondo in cui è inserita, un mondo in cui vi sono vari elementi negativi. Vi sono i mali che l’uomo compie, come la violenza, che nasce dal desiderio di possedere, di prevalere gli uni sugli altri, tanto da giungere ad uccidersi (secondo sigillo); oppure l’ingiustizia, perché gli uomini non rispettano le leggi che si sono date (terzo sigillo). A questi si aggiungono i mali che l’uomo deve subire, come la morte, la fame, la malattia (quarto sigillo)». Quanto al primo sigillo, offre la chiave di lettura per gli altri tre, e invita a porsi di fronte al male con realismo senza però mai perdere la speranza: «E vidi: ecco, un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli fu data una corona ed egli uscì vittorioso per vincere ancora» (Ap 6,2). «Nella storia dell’uomo – commenta il Papa – è entrata la forza di Dio, che non solo è in grado di bilanciare il male, ma addirittura di vincerlo; il colore bianco richiama la Risurrezione: Dio si è fatto così vicino da scendere nell’oscurità della morte per illuminarla con lo splendore della sua vita divina; ha preso su di sé il male del mondo per purificarlo col fuoco del suo amore».
Ed è ancora nella preghiera che la Chiesa si convince e annuncia al mondo che «il male in definitiva non vince il bene, il buio non offusca lo splendore di Dio». Il male è presente nella storia, ma «come cristiani non possiamo mai essere pessimisti; sappiamo bene che nel cammino della nostra vita incontriamo spesso violenza, menzogna, odio, persecuzione, ma questo non ci scoraggia».
Ecco allora che, dopo una visione estremamente realistica del male presente nella storia umana, s’innalza una preghiera di lode: i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi cantano un «cantico nuovo», celebrando l’Agnello che farà «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Ma attenzione: «questo rinnovamento è anzitutto un dono da chiedere». Dobbiamo chiedere al Signore «con insistenza che il suo Regno venga, che l’uomo abbia il cuore docile alla signoria di Dio, che sia la sua volontà ad orientare la nostra vita e quella del mondo». I ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi hanno in mano, oltre alla cetra con cui accompagnano il loro canto, «delle coppe d’oro piene di incenso» (5,8a) che rappresentano «le preghiere dei santi» (5,8b). Nello stesso tempo un angelo tiene in mano un turibolo d’oro in cui pone continuamente i grani d’incenso, «cioè le nostre preghiere, il cui soave odore viene offerto insieme alle preghiere che salgono al cospetto di Dio» (cfr Ap 8,1-4). La visione c’insegna che «non esistono preghiere superflue, inutili; nessuna va perduta. Ed esse trovano risposta, anche se a volte misteriosa, perché Dio è Amore e Misericordia infinita».
L’angelo – continua il testo dell’Apocalisse – «prese l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono tuoni, rumori, fulmini e scosse di terremoto» (Ap 8,5). Questa immagine ci riporta alla visione drammatica della storia; «Dio non è insensibile alle nostre suppliche, interviene e fa sentire la sua potenza e la sua voce sulla terra, fa tremare e sconvolge il sistema del Maligno».
Infine, Gesù ripete diverse volte: «Ecco, io vengo presto» (Ap 22,7.12). Secondo il Pontefice, qui non è indicata «solo la prospettiva futura alla fine dei tempi, ma anche quella presente: Gesù viene, pone la sua dimora in chi crede in Lui e lo accoglie». «L’assemblea, allora, guidata dallo Spirito Santo, ripete a Gesù l’invito pressante a rendersi sempre più vicino: “Vieni” (Ap 22,17a). È come la “sposa” (22,17) che aspira ardentemente alla pienezza della nuzialità. Per la terza volta ricorre l’invocazione: “Amen. Vieni, Signore Gesù” (22,20b); e il lettore conclude con un’espressione che manifesta il senso di questa presenza: “La grazia del Signore Gesù sia con tutti” (22,21)».
Il Papa ribadisce che «pur nella complessità dei simboli» l’Apocalisse è una «grande preghiera liturgica comunitaria », la cui ricchezza «fa pensare a un diamante, che ha una serie affascinante di sfaccettature, ma la cui preziosità risiede nella purezza dell’unico nucleo centrale»: Gesù Cristo, Signore della storia e Signore della preghiera, il cui sistema si contrappone senza posa a quello «anti-Regno» del Maligno.