CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne
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- Qual è stata la sua esperienza personale con Papa Giovanni Paolo II?
La mia esperienza più personale con Papa Giovanni Paolo
II risale al 1974. In quell’anno cadeva il settimo centenario della morte di
san Tommaso d’Aquino, nato nel 1225 e morto appunto nel 1274. A Roma si tennero
varie iniziative per il centenario e ci fu anche un seminario sui rapporti fra
san Tommaso e la filosofia tedesca detta fenomenologia, che risale a Edmund
Husserl (1859-1938) e Max Scheler (1874-1928). Io ero studente universitario a
Roma, ero interessato a Husserl e andai a seguire quel seminario. Husserl non è
molto popolare in Italia ed eravamo solo una decina di persone. Bene, quel
seminario era tenuto dal filosofo svizzero André de Muralt, tuttora vivente, e
da un certo cardinale Karol Wojtyla, che allora quasi nessuno conosceva in
Italia ma che era specialista di Scheler e aveva studiato in modo approfondito
anche Husserl. In quel seminario potemmo dunque stabilire un rapporto personale
con il cardinale Wojtyla, di cui apprezzai la grande affabilità ma anche la
finezza filosofica. Da quell’evento ricavo dunque un’impressione di Giovanni
Paolo II diversa da quella di molte altre persone, che contrappongono il Papa
“popolare” Giovanni Paolo II a quello “colto” Benedetto XVI. Certamente
rispetto a Benedetto XVI il Papa Giovanni Paolo II era più appassionato di
filosofia che di teologia. Ma la sua cultura filosofica era vasta e molto
raffinata. In seguito quando è diventato Papa ho visto diverse volte Giovanni
Paolo II nel corso di udienze generali, con gruppi più o meno vasti di persone.
Non ho più avuto un rapporto così diretto e personale come quello del seminario
del 1974.
- Come ricorda Lei il Papa come persona?
Oltre all’esperienza personale del 197 4 posso fondarmi
su quella dei miei due figli più grandi che sono cresciuti durante il
pontificato di Giovanni Paolo II. La sua grande umanità e capacità di
comunicazione non sono sufficienti a spiegare l’entusiasmo che hanno sempre
avuto per Papa Wojtyla e che rimane una caratteristica della loro fede
cattolica. Si tratta qui davvero di “carisma” nel senso del sociologo Max Weber
(1864-1920), qualche cosa che è molto difficile da definire ma i cui effetti
sono subito evidenti.
- Come descriverebbe il pontificato di Giovanni Paolo II?
Sono vice-responsabile nazionale in Italia di una piccola
associazione di laici, Alleanza Cattolica, fondata nel 1960. È un’associazione
che in termini semplici si potrebbe definire conservatrice, e che ha condiviso
il turbamento di molti fedeli per la crisi che ha colpito la Chiesa dopo il
Concilio Vaticano II, una crisi esplosa soprattutto con le contestazioni contro
il Papa Paolo VI (1897-1978) in occasione della pubblicazione dell’enciclica Humanae Vitae nel 1968 e anche dopo.
Giovanni Paolo II ci ha offerto una profonda spiegazione di questa crisi e
delle sue cause, ma soprattutto ci ha spiegato che la crisi non veniva dai
documenti del Concilio ma dalla loro cattiva applicazione. In questo senso
Giovanni Paolo II è stato davvero, come si dice, il Papa del Concilio, ma nel
senso che ha cercato di rimettere la sua applicazione sulla retta via –
un compito proseguito da Benedetto XVI – facendone nel contempo conoscere
e anche amare i documenti, rettamente interpretati. Alleanza Cattolica è stata
molto aiutata da un libro che il cardinale Wojtyla scrisse quando era
arcivescovo di Cracovia sul Concilio, Alle
fonti del rinnovamento, un libro che però fu tradotto in italiano solo dopo
la sua elezione a Pontefice. È anche importante sottolineare che Giovanni Paolo
II è stato il Papa della vita e che, con i documenti e con il suo stesso
esempio, ha fatto più di chiunque altro nel secolo XX per la battaglia contro
l’aborto, l’eutanasia e ogni altra forma di quella che chiamava “cultura della
morte”.
- Come il fatto che Giovanni Paolo II sia venuto da un Paese comunista
ha influito sulle attività del Papa finalizzate alla caduta del comunismo e al
ritorno della libertà religiosa in tutto il territorio ex sovietico?
Gli storici stanno ancora dibattendo sulle ragioni della
caduta dell’impero comunista sovietico. Certamente non si può trascurare il
ruolo politico del presidente americano Ronald Reagan (1911-2004), né quello
degli insorti musulmani in Afghanistan, la cui invasione fu un errore fatale da
parte dell’Unione Sovietica. L’implosione aveva anche cause economiche. Io
penso tuttavia che la causa principale della caduta dell’impero sovietico sia
stata proprio il pontificato di Giovanni Paolo II, che ha dato alle popolazioni
cristiane di quell’impero la consapevolezza della propria dignità, della
propria forza e della capacità di cambiare. I servizi segreti sovietici non si
sono sbagliati quando hanno compreso il pericolo rappresentato da Giovanni
Paolo II e hanno organizzato – come sembra ora certo – l’attentato
di Piazza San Pietro del 1981. Quell’attentato avvenne il 13 maggio, giorno
della festa della Madonna di Fatima, e certamente il ruolo di Giovanni Paolo II
nella caduta del comunismo sovietico è anche misteriosamente collegato al
messaggio della Madonna a Fatima.
- Quale, secondo Lei, è stato il motivo per cui molti
cristiani non hanno avuto dubbi sulla santità di Giovanni Paolo II. Anche
durante il funerale molti partecipanti cantavano: "Santo subito!"…
Si possono dire molte cose della santità, ma alla fine è
qualche cosa che si percepisce e si vede. Molti cattolici hanno percepito
immediatamente di trovarsi di fronte a un santo. Che la Chiesa tenga conto
della fama di santità e della “vox populi” nelle cause di beatificazione non è
una cosa inconsueta, anzi è espressamente prevista dalle procedure che regolano
tali cause.
- Recentemente in una intervista Lei ha detto che molti
cristiani non leggono i testi della dottrina sociale della Chiesa. La beatificazione
del Papa che ha pubblicato molti testi ed encicliche sulla dottrina sociale
potrebbe diventare la causa di una più attiva partecipazione dei laici nella vita della
Chiesa che passi per lo studio della dottrina sociale?
Nel programma di attuazione dei documenti del Concilio
Ecumenico Vaticano II, che ha caratterizzato il suo pontificato, Giovanni Paolo
II ha insistito molto sul ruolo dei laici, sulla loro libertà di associazione,
sui diversi compiti che possono svolgere nella Chiesa e nella società così come
li delinea il decreto Apostolicam
actuositatem del Concilio, di cui ha offerto nella sostanza
un’interpretazione e un commento nella sua esortazione apostolica postsinodale Christifideles laici del 1988. Che siano
impegnati nell’instaurazione dell’ordine temporale, loro compito proprio, o
nella collaborazione all’evangelizzazione i laici devono certamente conoscere
il Magistero della Chiesa e in particolare la sua dottrina sociale. Giovanni
Paolo II ha richiamato costantemente questo dovere. Ma c’è bisogno di
richiamarlo ancora, perché molti laici – e per la verità anche molti
sacerdoti – non conoscono sufficientemente il Magistero.
- Giovanni Paolo II ha parlato del terzo millennio come di
una nuova era nella storia della Chiesa, con l´aggiornamento
della Chiesa e la Nuova Evangelizzazione. A
che punto è, secondo Lei,
questo processo oggi?
Il programma della nuova evangelizzazione – e della
corretta applicazione dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II –
è tutto intero contenuto nel corpus degli insegnamenti di Giovanni Paolo II. Semmai, possiamo dire che questi
insegnamenti non sono stati seguiti e messi in pratica, almeno in modo
sistematico. Per questo Benedetto XVI ha creato il Pontificio Consiglio per la
Promozione della Nuova Evangelizzazione, che dovrebbe organizzare e dare nuovo
impulso a questo processo.
- Ogni cristiano è chiamato alla santità, ma anche la vita
di ogni santo è un esempio di come la si possa realizzare. Qual è l’esempio
speciale, secondo Lei, che ci dà Giovanni Paolo II come santo?
C’è un insegnamento di Giovanni Paolo II che è sottolineato molto spesso da Benedetto XVI e cioè che la santità è per tutti, non riguarda solo una piccola élite di santi canonizzati. Naturalmente la chiamata universale alla santità è anche un importante insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II. Credo che Giovanni Paolo II dica a ognuno di noi: “Sì, se lo vuoi, anche tu puoi essere santo”. Nello stesso tempo gli ultimi anni della sua vita sono una straordinaria lezione sul fatto che nessuna malattia, nessuna sofferenza impedisce di essere santi. Anzi la malattia e la sofferenza possono diventare occasione di santità.