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Giovanni Paolo II - «Massimo Introvigne: “Molti cattolici hanno percepito immediatamente di trovarsi di fronte a un santo”»

di Natalia Gado (L’Osservatore Cattolico [Kiev], 11 aprile 2011)

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- Qual è stata la sua esperienza personale con Papa Giovanni Paolo II?

La mia esperienza più personale con Papa Giovanni Paolo II risale al 1974. In quell’anno cadeva il settimo centenario della morte di san Tommaso d’Aquino, nato nel 1225 e morto appunto nel 1274. A Roma si tennero varie iniziative per il centenario e ci fu anche un seminario sui rapporti fra san Tommaso e la filosofia tedesca detta fenomenologia, che risale a Edmund Husserl (1859-1938) e Max Scheler (1874-1928). Io ero studente universitario a Roma, ero interessato a Husserl e andai a seguire quel seminario. Husserl non è molto popolare in Italia ed eravamo solo una decina di persone. Bene, quel seminario era tenuto dal filosofo svizzero André de Muralt, tuttora vivente, e da un certo cardinale Karol Wojtyla, che allora quasi nessuno conosceva in Italia ma che era specialista di Scheler e aveva studiato in modo approfondito anche Husserl. In quel seminario potemmo dunque stabilire un rapporto personale con il cardinale Wojtyla, di cui apprezzai la grande affabilità ma anche la finezza filosofica. Da quell’evento ricavo dunque un’impressione di Giovanni Paolo II diversa da quella di molte altre persone, che contrappongono il Papa “popolare” Giovanni Paolo II a quello “colto” Benedetto XVI. Certamente rispetto a Benedetto XVI il Papa Giovanni Paolo II era più appassionato di filosofia che di teologia. Ma la sua cultura filosofica era vasta e molto raffinata. In seguito quando è diventato Papa ho visto diverse volte Giovanni Paolo II nel corso di udienze generali, con gruppi più o meno vasti di persone. Non ho più avuto un rapporto così diretto e personale come quello del seminario del 1974.

- Come ricorda Lei il Papa come persona?

Oltre all’esperienza personale del 197 4 posso fondarmi su quella dei miei due figli più grandi che sono cresciuti durante il pontificato di Giovanni Paolo II. La sua grande umanità e capacità di comunicazione non sono sufficienti a spiegare l’entusiasmo che hanno sempre avuto per Papa Wojtyla e che rimane una caratteristica della loro fede cattolica. Si tratta qui davvero di “carisma” nel senso del sociologo Max Weber (1864-1920), qualche cosa che è molto difficile da definire ma i cui effetti sono subito evidenti.

- Come descriverebbe il pontificato di Giovanni Paolo II?

Sono vice-responsabile nazionale in Italia di una piccola associazione di laici, Alleanza Cattolica, fondata nel 1960. È un’associazione che in termini semplici si potrebbe definire conservatrice, e che ha condiviso il turbamento di molti fedeli per la crisi che ha colpito la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, una crisi esplosa soprattutto con le contestazioni contro il Papa Paolo VI (1897-1978) in occasione della pubblicazione dell’enciclica Humanae Vitae nel 1968 e anche dopo. Giovanni Paolo II ci ha offerto una profonda spiegazione di questa crisi e delle sue cause, ma soprattutto ci ha spiegato che la crisi non veniva dai documenti del Concilio ma dalla loro cattiva applicazione. In questo senso Giovanni Paolo II è stato davvero, come si dice, il Papa del Concilio, ma nel senso che ha cercato di rimettere la sua applicazione sulla retta via – un compito proseguito da Benedetto XVI – facendone nel contempo conoscere e anche amare i documenti, rettamente interpretati. Alleanza Cattolica è stata molto aiutata da un libro che il cardinale Wojtyla scrisse quando era arcivescovo di Cracovia sul Concilio, Alle fonti del rinnovamento, un libro che però fu tradotto in italiano solo dopo la sua elezione a Pontefice. È anche importante sottolineare che Giovanni Paolo II è stato il Papa della vita e che, con i documenti e con il suo stesso esempio, ha fatto più di chiunque altro nel secolo XX per la battaglia contro l’aborto, l’eutanasia e ogni altra forma di quella che chiamava “cultura della morte”.

- Come il fatto che Giovanni Paolo II sia venuto da un Paese comunista ha influito sulle attività del Papa finalizzate alla caduta del comunismo e al ritorno della libertà religiosa in tutto il territorio ex sovietico?

Gli storici stanno ancora dibattendo sulle ragioni della caduta dell’impero comunista sovietico. Certamente non si può trascurare il ruolo politico del presidente americano Ronald Reagan (1911-2004), né quello degli insorti musulmani in Afghanistan, la cui invasione fu un errore fatale da parte dell’Unione Sovietica. L’implosione aveva anche cause economiche. Io penso tuttavia che la causa principale della caduta dell’impero sovietico sia stata proprio il pontificato di Giovanni Paolo II, che ha dato alle popolazioni cristiane di quell’impero la consapevolezza della propria dignità, della propria forza e della capacità di cambiare. I servizi segreti sovietici non si sono sbagliati quando hanno compreso il pericolo rappresentato da Giovanni Paolo II e hanno organizzato – come sembra ora certo – l’attentato di Piazza San Pietro del 1981. Quell’attentato avvenne il 13 maggio, giorno della festa della Madonna di Fatima, e certamente il ruolo di Giovanni Paolo II nella caduta del comunismo sovietico è anche misteriosamente collegato al messaggio della Madonna a Fatima.

- Quale, secondo Lei, è stato il motivo per cui molti cristiani non hanno avuto dubbi sulla santità di Giovanni Paolo II. Anche durante il funerale molti partecipanti cantavano: "Santo subito!"…

Si possono dire molte cose della santità, ma alla fine è qualche cosa che si percepisce e si vede. Molti cattolici hanno percepito immediatamente di trovarsi di fronte a un santo. Che la Chiesa tenga conto della fama di santità e della “vox populi” nelle cause di beatificazione non è una cosa inconsueta, anzi è espressamente prevista dalle procedure che regolano tali cause.

- Recentemente in una intervista Lei ha detto che molti cristiani non leggono i testi della dottrina sociale della Chiesa. La beatificazione del Papa che ha pubblicato molti testi ed encicliche sulla dottrina sociale potrebbe diventare la causa di una più attiva partecipazione dei laici nella vita della Chiesa che passi per lo studio della dottrina sociale?

Nel programma di attuazione dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, che ha caratterizzato il suo pontificato, Giovanni Paolo II ha insistito molto sul ruolo dei laici, sulla loro libertà di associazione, sui diversi compiti che possono svolgere nella Chiesa e nella società così come li delinea il decreto Apostolicam actuositatem del Concilio, di cui ha offerto nella sostanza un’interpretazione e un commento nella sua esortazione apostolica postsinodale Christifideles laici del 1988. Che siano impegnati nell’instaurazione dell’ordine temporale, loro compito proprio, o nella collaborazione all’evangelizzazione i laici devono certamente conoscere il Magistero della Chiesa e in particolare la sua dottrina sociale. Giovanni Paolo II ha richiamato costantemente questo dovere. Ma c’è bisogno di richiamarlo ancora, perché molti laici – e per la verità anche molti sacerdoti – non conoscono sufficientemente il Magistero.

- Giovanni Paolo II ha parlato del terzo millennio come di una nuova era nella storia della Chiesa, con l´aggiornamento della Chiesa e la Nuova Evangelizzazione. A che punto è, secondo Lei, questo processo oggi?

Il programma della nuova evangelizzazione – e della corretta applicazione dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II – è tutto intero contenuto nel corpus degli insegnamenti di Giovanni Paolo II. Semmai, possiamo dire che questi insegnamenti non sono stati seguiti e messi in pratica, almeno in modo sistematico. Per questo Benedetto XVI ha creato il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, che dovrebbe organizzare e dare nuovo impulso a questo processo.

- Ogni cristiano è chiamato alla santità, ma anche la vita di ogni santo è un esempio di come la si possa realizzare. Qual è l’esempio speciale, secondo Lei, che ci dà Giovanni Paolo II come santo?

C’è un insegnamento di Giovanni Paolo II che è sottolineato molto spesso da Benedetto XVI e cioè che la santità è per tutti, non riguarda solo una piccola élite di santi canonizzati. Naturalmente la chiamata universale alla santità è anche un importante insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II. Credo che Giovanni Paolo II dica a ognuno di noi: “Sì, se lo vuoi, anche tu puoi essere santo”. Nello stesso tempo gli ultimi anni della sua vita sono una straordinaria lezione sul fatto che nessuna malattia, nessuna sofferenza impedisce di essere santi. Anzi la malattia e la sofferenza possono diventare occasione di santità.