CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne
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C’è
un futuro per il cristianesimo in Sicilia? Qual è l’avvenire del cattolicesimo?
Le nostre chiese finiranno come quelle fiorenti dell’antica Turchia e
dell’Africa del Nord e oggi ridotte a ruderi? In un recente volume, L’identità in pericolo. Le credenze
religiose nella Sicilia Centrale, vengono pubblicati i risultati di
un’indagine curata, per conto del Centro Studi sulle Nuove Religioni, da
Massimo Introvigne e PierLuigi Zoccatelli nella Diocesi di Piazza Armerina.
Dalla
ricerca risulta che l’identità cristiana è ancora forte e radicata come
componente importante della cultura siciliana, se la si paragona ad altre
regioni italiane ed europee nelle quali il processo di secolarizzazione ha
intaccato molto l’identità cristiana. Gli intervistati che si professano
cattolici sono l’89,5%, i cristiani non cattolici sono il 5,3%, gli
appartenenti ad altre religioni il 2,6%, quelli che non si riconoscono in
nessuna religione il 2,6%. Per quanto riguarda le credenze c’è un’ampia
oscillazione, testimone di influssi educativi eterogenei rispetto al monolitico
sistema del passato o frutto di una crescente soggettivizzazione della fede,
entrata per molti fra i beni di consumo, il “fai-da-te” delle credenze
religiose. Mentre il 90,7% crede alla resurrezione di Cristo, la credenza meno
condivisa (73,2%) è quella secondo cui “La Chiesa cattolica è un’organizzazione
voluta e assistita da Dio”.
Si
constata un’erosione dell’identità cattolica, soprattutto nelle generazioni più
giovani: la fiducia nella Chiesa cattolica diminuisce fra i giovani dei quali
il 21,8% dichiara di non avere nessuna fiducia. Desta meraviglia il fatto che
crede negli oroscopi il 9,7% tra i giovani, certamente influenzati da certe
trasmissioni televisive. Degna di rilievo è la documentata credenza negli Ufo
che tra giovani raggiunge la percentuale del 37,4%, collocandosi a livelli
record in Europa. Si conferma il noto paradosso di Gilbert K. Chesterton: “Chi
non crede in Dio non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere
a tutto”. Da questa e da altre indagini emerge come nel popolo siciliano, anche
se sono presenti tendenze secolariste, la religione continua a essere una
agenzia primaria di produzione di senso della vita, di riferimento valoriale e
di appartenenza comunitaria, che si esprime nelle varie forme della pietà
popolare, nella quale però tende a prevalere il sentimento su una adesione di
fede convinta e coerente. Alcuni non vedono nessuna contraddizione fra il
partecipare alla festa patronale e l’appartenenza ad una cosca mafiosa. A
questo proposito si parla di “forza della religione e debolezza della fede”. Si
assiste all’evolversi di una tendenza allo sfaldamento dell’unità delle
credenze, che porta una perdita della specificità cattolica.
Guardando
al futuro ci sono due ipotesi contrapposte. Per la prima “catastrofista” dei
cosiddetti “profeti di sventura” la religione cattolica è destinata a svanire in
futuro, dal momento che le giovani generazioni sono più lontane dalla Chiesa
delle precedenti e la Chiesa cattolica oggi maggioritaria si ridurrà ad una
minoranza. La seconda “possibilista-ottimista”, invece, ritiene che non vi è
nessuna certezza sul fatto che le opinioni che un giovane intervistato esprime
oggi rimarranno le stesse fra trent’anni. Alcune ricerche condotte in vari
paesi dimostrano che parecchi, che erano stati poco o per nulla cattolici da
giovani, lo diventano da adulti. Alcuni nuovi movimenti ecclesiali diventano
punto di riferimento per dei giovani che, dopo momenti di crisi, hanno fatto
esperienza di un cristianesimo simpatico come ipotesi positiva al problema del
senso della loro vita nei fattori umani fondamentali. Nella mia diocesi –
soprattutto a Gela – esistono più di una sessantina di comunità
neocatecumenali con circa 2.500 membri fra cui parecchi giovani, ma anche il
maggior numero di pentecostali rispetto ai cattolici di qualunque città
europea. Sempre a Gela, secondo una recente inchiesta, il 15,5% dei giovani
dichiarano di frequentare un gruppo religioso contro l’1% che appartiene a un
gruppo politico. La disinvoltura con cui le nuove generazioni disertano la
messa domenicale perché sfiniti dalla febbre delle veglie prolungate del sabato
sera, solleva più di una domanda circa l’effettiva interiorizzazione
dell’annuncio di fede.
Non
è possibile sfuggire alla constatazione che “l’identità cattolica è in
pericolo”, sebbene il fenomeno erosivo venga in parte mitigato da un profondo
radicamento identitario cattolico proprio della cultura siciliana. Armando
Matteo in un suo recente libro (“La prima generazione incredula”) interroga
l’inedito che il modo di vivere e di credere/non credere dei giovani manifesta
e individua al fondo del loro cuore la ferita di un grido di speranza, da cui
bisogna ripartire per il futuro della società e della Chiesa. Realisticamente
bisogna convenire che la maggioritaria adesione al credo cristiano non può
assolutamente gratificarci o esaltarci. Semmai denuncia un problema: spesso
alla pur sincera adesione alle verità di fede manca di fatto l’esperienza della
bellezza dell’essere cristiano.
L’invito
dei vescovi italiani a ripartire dall’educazione è sintomatico di una nuova
coscienza ecclesiale della difficoltà che incontra la fede a dirsi e a
incarnarsi, ma anche della missione primaria che oggi viene consegnata a tutti
i cristiani. Oggi a una lettura della nostra società in una prospettiva
post-cristiana che condurrebbe verso un gelido inverno, bisognerebbe affiancare
anche una prospettiva pre-cristiana che preluderebbe ad una nuova primavera
aperta ad una evangelizzazione, che presuppone che l’incontro con Cristo
risponde alle attese più autentiche di ogni uomo e di ogni donna. Ora, al di là
di illusioni consolatorie, è tempo di riscoprire una ardente passione per
educare alla “vita buona del Vangelo”, uscendo dalla latitanza educativa e
proponendoci come persone degne di fiducia, perché testimoni credibili del
cammino cristiano che abbiamo sperimentato, aperto ad un futuro di speranza.