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L’antenata di Dracula? Portava la camicia rossa

di Massimo Introvigne (Avvenire, 9 marzo 2011)

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“Eppure il sangue ha la sua ebbrezza come il vino” Avrebbe potuto dirlo il conte Dracula di Bram Stoker (1847-1912). Invece, trent’anni esatti prima del Dracula di Stoker e in anticipo di un triennio anche sulla Carmilla di Sheridan LeFanu (1814-1873), che presenta il primo vampiro al femminile, pronuncia queste parole la vampira principessa Metella di Schonenberg, creata da un romanziere italiano. È il barone parmense Franco Mistrali (1833-1880), il cui Il vampiro. Storia vera esce a Bologna nel 1869.
Questo libro dimenticato, ora opportunamente ripubblicato dalla nuova casa editrice Keres (Mercogliano [Avellino] 2011), presenta qualche consonanza sia con Carmilla sia con Dracula, anche se “vampiri” nel racconto sono sia i membri di una setta politica russa sia i veri bevitori di sangue, i cui misteri non sono svelati neppure alla fine del testo. Nonostante l’intervento di un detective francese che corrisponde a sua volta al gusto nascente per il genere poliziesco, il dubbio su che cosa sia veramente Metella alla fine resta. Mistrali indulge al gusto romantico per gli intrighi di famiglia, per quelli amorosi – tra feste a base di “sciampagna” nel Principato di Monaco – e anche politici, nella Russia degli zar e dei terroristi. Ma di vampiri si parla, per la prima volta con questa ampiezza in Europa, e forse il testo può essere più apprezzato da un lettore di oggi, che con la letteratura del vampiro ha acquistato ampia familiarità e comprende al volo certe allusioni. Questo primato italiano nella letteratura di vampiri mostra peraltro solo che certi temi erano nell’aria: non è probabile che Stoker o LeFanu abbiano mai sentito parlare di Mistrali.
Ma chi era Mistrali? Si tratta di un personaggio tipico di un certo Risorgimento, che coniuga un razionalismo laicista ferocemente ostile alle Chiese e alle monarchie con passioni per la reincarnazione, lo spiritismo, l’occultismo, temi tutti che si ritrovano nel romanzo sul vampiro. Le idee di Mistrali – non inconsuete tra i suoi amici anticlericali del Risorgimento – dimostrano la verità dell’aforisma di Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) secondo cui quando si voltano le spalle al Dio cristiano e si fa professione di fiducia soltanto nella scienza non è che non si creda più a nulla: si crede a tutto, spiriti e vampiri compresi.
Nobile scapestrato, Mistrali s’innamora del mito di Giuseppe Garibaldi (1807-1882), che più tardi alimenterà con libri e iniziative pubbliche. Garibaldi lo prende a benvolere perché sia si batte tra le camicie rosse in modo disordinato ma valoroso sia condivide il più estremo anticlericalismo del generale. Definisce il Papa “roditore” e “cancro della povera Italia”, e i cattolici “clericume di una Roma imbastardita”. Garibaldi lo ricompensa con un posto di consigliere delegato alla Banca di Romagna, dove però è coinvolto in un’oscura bega fra massoni che lo contrappone al poeta Giosuè Carducci (1835-1907), e nel 1873 finisce in prigione. Garibaldi, che ha letto ed elogiato anche Il vampiro, non abbandona quello che è ormai un caro amico e riesce a farlo graziare nel 1878.
Il lieto fine che manca a Il vampiro caratterizza invece la conclusione della vicenda terrena di Mistrali. Negli ultimi anni della vita diventa amico del cardinale di Bologna Lucido Maria Parocchi (1833-1903), futuro vicario di Roma. Conquistato dalla bontà di un vescovo che pure era stato un obiettivo prediletto degli anticlericali, il romanziere si converte e muore, nel 1880, pienamente riconciliato con la Chiesa.