CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne
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Cari amici,
il referendum del 28 maggio dove i maltesi dovranno dire “sì” o “no” alla proposta d’introdurre il divorzio nella vostra legislazione è seguito con grande interesse in Italia, e richiama alla mente di tanti italiani l’analogo referendum sul divorzio che si tenne in Italia il 13-14 maggio 1974.
Quel referendum fu perso da coloro che si opponevano al divorzio per due ragioni. La prima è che una grande confusione fu creata da cattolici divorzisti i quali si presentavano come cattolici “moderni”, eredi del Concilio Ecumenico Vaticano II, mentre i cattolici contrari al divorzio sarebbero stati “arretrati”. I vescovi italiani ricordarono che proprio il Vaticano II aveva definito il divorzio “una piaga sociale per le sue rovinose conseguenze nei riguardi del matrimonio, della famiglia e della società” (Gaudium et Spes, n. 47). Ma i grandi giornali – tutti schierati a favore del divorzio – riuscirono a convincere gli italiani della tesi falsa secondo cui c’erano sul tema nella Chiesa due opinioni, entrambe ugualmente “cattoliche”. A Malta i vescovi hanno parlato con grande vigore, e lo stesso Benedetto XVI ha fatto riferimento al tema durante il suo viaggio a Malta, come nel precedente viaggio in Brasile. L’opinione cattolica maltese non deve lasciarsi ingannare. Non ci sono due opinioni cattoliche ugualmente legittime sul divorzio. C’è una sola tesi, che considera il divorzio una “piaga sociale” con “rovinose conseguenze”. E – come avviene purtroppo anche su altri argomenti – ci sono alcuni cattolici ribelli al Papa e ai vescovi che non accettano l’insegnamento del Magistero, il quale però è di per sé chiaro, è univoco, non lascia spazio a nessuna incertezza. Un cattolico non può essere a favore del divorzio.
Ci fu, però, una seconda ragione per cui il fronte favorevole alla famiglia perse il referendum italiano sul divorzio del 1974. La grande maggioranza degli italiani nel 1974 si dichiarava cattolica, e sapeva che la Chiesa era contraria al divorzio. Prevalse però l’argomento più pericoloso della campagna divorzista, sostenuto anche da alcuni “cattolici del dissenso”: “Io sono cattolico, sono moralmente contrario al divorzio e non divorzierò mai. Ma non posso imporre di non divorziare a quelli che non sono cattolici”. Se si vuole vincere il referendum a Malta, occorre sconfiggere questo argomento. È dunque molto importante distinguere fra legge naturale e legge della Chiesa.
La legge della Chiesa impone di andare a Messa alla domenica. Se ci fosse una legge che impone di andare a Messa alla domenica – come succede in Arabia Saudita, dove esiste una “polizia religiosa”, che va a prendere chi non va in moschea al venerdì – questa legge sarebbe sbagliata, perché non si può imporre una legge della Chiesa ai non cattolici o ai non credenti. Né la Chiesa ha mai preteso leggi simili, che sono estranee alla sua visione dei rapporti fra Chiesa e Stato.
Il precetto “non rubare” si trova nei Dieci Comandamenti. Ma è anche un precetto della legge naturale, quella legge che la ragione può conoscere anche senza mai aprire la Bibbia. Perché allora si trova anche nei Dieci Comandamenti? Perché Dio sapeva che dopo il peccato originale la ragione fa molto fatica a discernere la legge naturale, e ha voluto offrire ai credenti una via rapida per arrivare facilmente agli stessi risultati che la ragione può raggiungere, ma con difficoltà. Ma questo non toglie che “non rubare” sia un precetto della legge naturale. I credenti lo rispetteranno sia perché lo dice loro la ragione sia perché lo trovano nei Dieci Comandamenti. I non credenti lo rispetteranno solo sulla base della ragione, che discerne la legge naturale. il risultato non cambia.
Immaginiamo che un ladro che si dichiara ateo sia sorpreso a rubare un portafoglio in piazza. Alla polizia che lo arresta dice a gran voce: “Ma io non sono credente e non ho nessun dovere di rispettare il settimo comandamento ‘Non rubare’. Questo comandamento vale per i credenti ma io sono ateo. Io non impedisco ai credenti di non rubare, così come loro non devono impedire a me di rubare. Se la Chiesa vuole imporre a me che sono ateo di rispettare il comandamento ‘non rubare’ si sta ingerendo nelle leggi dello Stato e sta violando la mia libertà”.
Se l’ipotetico ladro ateo argomentasse davvero così dopo essere stato colto sul fatto mentre ruba un portafoglio, tutti si metterebbero a ridere. Giustamente. Ma la risata tradurrebbe una profonda verità. “Non rubare” è un precetto della legge naturale: cioè di una legge accessibile alla ragione, che di per sé non è né atea né cattolica né musulmana. Il fatto che sia anche uno dei Dieci Comandamenti non ne cambia lo statuto di precetto della legge naturale. Dunque è giusto che la legge imponga di non rubare, mentre sarebbe sbagliato se la legge imponesse di andare a Messa.
Ora, che il matrimonio sia indissolubile e dunque il divorzio sia sbagliato non è solo una verità della legge della Chiesa. È anche una verità della legge naturale. La cellula fondamentale della società è la famiglia, ordinata al bene mutuo dei coniugi ma anche a quello prevalente dei figli. L'essere figlio è un dato permanente e naturale. Io sono figlio di mio padre e di mia madre. Non posso decidere di cambiare e di essere figlio di mio padre e di un'altra signora, anche se la seconda signora ora piace a mio padre più di mia madre. L'essere figlio di due specifici genitori è un dato permanente che non posso cambiare. Dunque per proteggere veramente i figli anche il matrimonio di mio padre e di mia madre deve essere un dato permanente. Lo slogan “date all'amore una seconda chance” gioca sui sentimenti, ma io non posso avere “una seconda chance” e voler essere figlio di altri genitori che non siano mio padre e mia madre. La paternità e la maternità sono per sempre. La natura stessa, che fa nascere un figlio da un uomo e da una donna, esige la responsabilità e la continuità del legame fra i genitori. Se poi anche si consentisse il divorzio solo nei matrimoni senza figli, s’indebolirebbero fatalmente anche quelli con figli, minando l'istituto della famiglia in genere, che è un bene irrinunciabile per la società. Senza famiglia, la società non può esistere.
La legge naturale si ricava dalla riflessione della ragione, non dalle statistiche. La maggioranza dei Paesi del mondo ha leggi sul divorzio, è vero. Ma questo non rende il divorzio naturale, così come il fatto che nella storia un numero molto grande di culture abbia riconosciuto la poligamia e la schiavitù non rende naturali la poligamia e la schiavitù. Chi poi affermasse che non esiste nessuna legge naturale, dovrebbe riflettere su un argomento di Benedetto XVI: in un mondo dove convivono persone di religioni diverse le regole comuni del gioco chiamato società o sono affidate alla ragione – che discerne appunto una legge naturale – oppure alla violenza, all’arbitro del più forte, alla prevaricazione di Stati che diventano totalitari. Non c’è una terza alternativa. O la legge naturale o l’arbitrio e la tirannide.
Non credete a chi vi dice che il divorzio non ha conseguenze sociali di carattere generale. Qualunque sociologo sa che queste sono bugie elettorali. Da quando in Italia è stato introdotto il divorzio, è crollato il numero di coloro che si sposano, in costante diminuzione dal 1974 a oggi. Ormai in Italia il 21,7% dei bambini nasce fuori del matrimonio (dati ISTAT riferiti al 2009), con drammatiche conseguenze sulla loro educazione e un impressionante aumento della criminalità giovanile, della droga e degli insuccessi scolastici, tutte “piaghe sociali” contro le quali la famiglia stabile è l’unica possibile protezione.
Occorre quindi rifiutare il sofisma “Io non divorzio ma non posso impedire a chi non è cattolico di divorziare”, oggi a Malta come ieri in Italia. Lo si rifiuta mostrando che non appartiene alla stessa categoria di affermazioni di “Io vado a Messa ma non posso impedire a chi non è cattolico di non andarci”. Queste sono affermazioni giuste, ma si riferiscono alla legge della Chiesa. Invece, siccome la stabilità del matrimonio indissolubile fa parte della legge naturale – per quanto faccia parte anche della legge della Chiesa – lo slogan proposto per sostenere il divorzio è simile a quello, evidentemente sbagliato, “Io non rubo ma non posso impedire a chi non è cattolico di rubare”. Se si accetta questa logica relativista al posto di “rubo” posso mettere “divorzio” ma anche “abortisco”, “mi drogo”, “sopprimo con l’eutanasia il mio anziano familiare quando non serve più”, e così via.
Non credete a chi vi dice che il divorzio non ha niente a che fare con la legalizzazione dell’aborto, delle droghe falsamente dette “leggere”, dell’eutanasia, del matrimonio omosessuale. Lo dicevano anche i divorzisti in Italia nel 1974 per rassicurare gli elettori cui chiedevano di votare per il divorzio nel referendum. Ma mentivano. Appena vinto il referendum sul divorzio, le stesse organizzazioni – spesso le stesse persone – si misero subito a chiedere a gran voce una legge sull’aborto, anche se prima del referendum avevano assicurato che non lo avrebbero fatto. Ottennero la legge sull’aborto solo quattro anni dopo il referendum sul divorzio, nel 1978.
Quando si comincia a scivolare sul piano inclinato della negazione dei valori naturali della vita e della famiglia non c’è più modo di fermarsi. Sarà inutile rimpiangere dopo quanto non sarà stato fatto il 28 maggio 2011. Per questo chi ha fatto l’esperienza del 1974 – e del dopo 1974 – in Italia non può che supplicare accoratamente i maltesi: dite no al divorzio, fermate subito la cultura che dice no alla famiglia e alla vita. Dal 29 maggio sarà troppo tardi.
Massimo Introvigne