CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne

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Indagine conoscitiva sul fenomeno della manipolazione mentale dei soggetti deboli, con particolare riferimento al fenomeno delle cosiddette “sette”. Audizione del dott. Massimo Introvigne, direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) e Rappresentante dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) per la lotta al razzismo, alla xenofobia, e all’intolleranza e discriminazione contro i cristiani e i seguaci di altre religioni

Roma, 21 settembre 2011

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In Italia si discute da anni di progetti di legge per incriminare le “tecniche di condizionamento della personalità”, in pratica la manipolazione mentale o lavaggio del cervello, con un’aggravante se queste pratiche sono poste in essere da gruppi che “sfruttano la dipendenza psicologica o fisica” delle persone – cito le espressioni del DDL 569 – , le cosiddette “sette”. Non si tratta di un dibattito solo italiano. Una legge simile – per quanto raramente applicata – esiste in Francia, una norma in qualche modo analoga – quasi mai applicata – esiste nel codice penale spagnolo, e progetti di legge sono periodicamente proposti in diversi Paesi. Chi mi ha preceduto nel mio mandato all’OSCE, così come io stesso, ha spesso espresso preoccupazioni e perplessità per progetti di legge che nascono dal legittimo allarme sociale di fronte a crimini perpetrati da alcune delle cosiddette “sette” ma che rischiano di finire per introdurre norme da una parte inefficaci, dall’altra pericolose per la libertà religiosa. Preciso, peraltro, che all’audizione di oggi partecipo come esperto a titolo personale, e non esprimo opinioni o posizioni ufficiali collegate al mio mandato all’OSCE. Anche la maggior parte degli specialisti accademici di “sette” o nuovi movimenti religiosi è contraria a questi progetti di legge. Certamente esistono nel mondo accademico internazionale anche studiosi con posizioni diverse, ma sono un’esigua minoranza, anzi si contano sulle dita di una mano.

Si afferma che le “vittime” delle “sette”, più attendibili degli studiosi accademici, sarebbero invece favorevoli a queste proposte di legge, anzi le richiederebbero a gran voce. Ci sono però cinque motivi per essere scettici su questa tesi. (1) Le cosiddette “sette” funzionano come porte girevoli: molti entrano ma molti escono. Gli ex-membri di movimenti religiosi controversi sono milioni. Le centinaia o anche migliaia che protestano non costituiscono dunque un campione rappresentativo. Studi scientifici dimostrano che anche nei gruppi più discussi oltre l’85% degli ex-membri non assume una posizione militante ostile al movimento che ha lasciato, ma rifluisce semplicemente nella vita sociale ordinaria, riconoscendo quando è intervistato aspetti positivi e negativi della sua passata esperienza. (2) Il campione di coloro che protestano è auto-selezionato: sono solo loro, e non la grande maggioranza di ex-membri schierata su posizioni diverse, a farsi sentire, inviare E-mail, contattare parlamentari. (3) Peggio, il campione è selezionato da associazioni “anti-sette” che hanno una loro precisa agenda pregiudizialmente ostile ai gruppi da loro definiti “sette” in genere. (4) Nessuno si farebbe un’idea della Chiesa cattolica sentendo soltanto gli ex-preti che hanno lasciato il sacerdozio (o quella minoranza di ex-preti che protesta contro la Chiesa, perché anche in questo caso molti rifluiscono semplicemente nella vita sociale senza assumere atteggiamenti militanti), o di un parlamentare divorziato fidandosi solo dell’opinione della ex-moglie. (5) Anche nei casi – certamente esistenti – in cui le “vittime” riferiscono fedelmente abusi reali, non è detto che le loro opinioni su come contrastarli siano più autorevoli di quelli di esperti dotati delle necessarie competenze professionali. Una vittima del terrorismo merita certo simpatia, e può descrivere in modo fedele la sua sofferenza, ma non è necessariamente autorevole quando propone ricette anti-terrorismo.

Si deve essere molto chiari: nel mondo delle cosiddette “sette” ci sono abusi e violenze molto reali, dai maghi a pagamento che si rendono responsabili di gravi truffe a orrori come quelli delle Bestie di Satana. Questi orrori vanno denunciati senza minimalismo, senza tolleranza basata su un malinteso concetto di libertà religiosa, senza sconti. Ma in questi casi siamo in presenza di reati ovvi, già previsti e puniti dal codice penale: omicidi, violenze, truffe, circonvenzione. Infatti i tribunali hanno condannato i responsabili senza bisogno di una legge sulla manipolazione mentale. Anzi, sarebbe stato assai più difficile condannare le Bestie di Satana o questo o quel santone o mago televisivo truffatore con un’imputazione vaga di “condizionamento della personalità” che non per reati molto concreti e precisi come l’omicidio, la violenza carnale o la truffa. Che sia così lo prova l’esperienza straniera: ci sono più condanne di santoni, maghi e presunti “guru” colpevoli di reati comuni in Germania e Svizzera – dove non c’è una legge contro la manipolazione mentale, anzi commissioni nominate dai Parlamenti hanno raccomandato di non adottarla – che non in Francia e in Spagna, dove rispettivamente dal 2001 e dal 1994 sono state introdotte norme simili a quella che si propone di introdurre in Italia, ma le condanne sono state relativamente rare.

Se dunque l’esperienza straniera dimostra che queste leggi funzionano poco, perché – ci si chiederà – la parte maggioritaria della comunità accademica le critica affermando nello stesso tempo che sono pericolose per la libertà religiosa? Perché le leggi che creano reati vagamente definiti e su cui bravi avvocati e consulenti possono discutere all’infinito sono mine vaganti in balia del clima culturale dominante. Possono essere usate contro qualunque gruppo impopolare. Spesso sono forti con i deboli e deboli con i forti. In Spagna e in Francia sono state applicate contro gruppi piccolissimi e non in grado di permettersi grandi avvocati, mentre gruppi più pericolosi, ma anche più grandi e meglio difesi sono sfuggiti a ogni imputazione.

Per affrontare il tema in modo pacato, occorre decostruire la nozione ambigua di “setta”. La categoria di “setta” nasce nella sociologia delle religioni per identificare un gruppo religioso dove la maggioranza dei membri non è nata, ma vi ha aderito in età adulta. Secondo i sociologi che hanno usato per primi – fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento – questa nozione di “setta” il cristianesimo delle origini era una “setta”, che è poi diventata “Chiesa” dopo un paio di secoli. Come si vede, la nozione non comportava nessun giudizio di valore negativo. Oggi non è più così. “Setta” è nell’accezione comune un gruppo “pericoloso”. Ma la nozione è ambigua. Si può intendere come “setta pericolosa” un gruppo che commette reati previsti dal diritto comune (omicidi, truffe, violenze). Oppure si può dire che “setta” è chi diffonde idee e pratiche talmente assurde che soltanto tramite la “manipolazione mentale” qualcuno può davvero essere convinto all’adesione. Qui scatta il pericolo per la libertà religiosa, perché quali idee siano “assurde” può essere diversamente valutato a seconda dei pregiudizi ideologici di chi giudica.

Secondo il DDL, attraverso le tecniche di manipolazione mentale sarebbe possibile porre qualcuno in uno stato di “soggezione continuativa”. La prova di questo stato dovrebbe risiedere nel comportamento pregiudizievole a se stessa della persona soggiogata. Ma chi giudica questi comportamenti? Per un laicista, l’atto della suora dell’ordine della beata madre Teresa di Calcutta che rischia la vita per assistere un malato contagioso terminale in India, che morirà comunque, è assurdo, e prova che la suora è in stato di “soggezione continuativa” al suo ordine. E infatti non è mancata una letteratura che a suo tempo ha accusato Madre Teresa di praticare il “lavaggio del cervello”: come altrimenti avrebbe potuto convincere buone ragazze borghesi di New York o di Roma ad andare a pulire i malati terminali per le strade di Calcutta? In verità la distinzione fra “sette” e “religioni” (o fra religioni “vere” e “pseudoreligioni”) è del tutto soggettiva. La Chiesa cattolica è spesso accusata di essere “una setta” da gruppi protestanti fondamentalisti, e viceversa.

Naturalmente, non tutti nel mondo delle religioni sono Madre Teresa. Esistono anche profittatori, predatori economici e sessuali e veri e propri criminali. Per questo occorre una distinzione rigorosa, che va al cuore del tema della libertà di religione e di opinione. Se qualcuno truffa, ammazza o violenta le persone non può nascondersi dietro lo scudo della libertà religiosa per sfuggire alla puntuale applicazione delle leggi sulla truffa o sui diversi tipi di atti violenti. Queste leggi ci sono già. Chi vuole introdurre il reato di manipolazione mentale vuole colpire chi non truffa, violenta o uccide nessuno ma induce i suoi seguaci a credere a dottrine che i promotori della legge considerano tanto assurde da potere essere abbracciate solo a causa di un “lavaggio del cervello”. A queste dottrine – come altri fanno per altre che invece sono socialmente approvate – i seguaci doneranno importanti somme di denaro, gran parte del loro tempo o magari tutta la loro vita. Chi fino a ieri era un professionista o una studentessa da domani condurrà una vita monastica o missionaria in condizioni di grande disagio. Il problema è come decidere quali di queste scelte sono “assurde” – quindi spiegabili solo con il “lavaggio del cervello” – e quali invece “normali”. Molti sarebbero d’accordo con l’affermare che la scelta delle suore di Madre Teresa è accettabile e anzi sublime, e quella di chi va a vivere in India come missionario di un santone accusato di pedofilia è “assurda”. Ma non tutti. Madre Teresa, come si è visto, fu accusata di praticare il lavaggio del cervello, e il santone ha i suoi difensori che assicurano che è ingiustamente calunniato. Vogliamo veramente trasformare i giudici in teologi e fare decidere da loro quali dottrine sono “assurde” e quali “normali”?

Si dirà che il DDL non si occupa delle dottrine. Condanna solo le pratiche di condizionamento della personalità. Ma l’esperienza straniera dimostra che questo è vero solo in teoria. In pratica quali scelte siano “libere” e quali siano frutto di “tecniche di condizionamento della personalità” non può essere valutato a priori, ma solo a posteriori esaminando le scelte stesse. Se la scelta è giudicata accettabile da chi è chiamato a giudicare, si dirà che è libera; se è considerata inaccettabile, si dirà che deriva da un “condizionamento della personalità” perché nessuno liberamente accetterebbe certe idee o certe pratiche “assurde”.

La stragrande maggioranza degli studiosi accademici di nuovi movimenti religiosi nega che esista una nozione oggettiva di “lavaggio del cervello” o “tecnica di condizionamento della personalità”, che si possa definire prescindendo dalle dottrine. Il tema del “condizionamento” nasce storicamente da un problema che si poneva agli studiosi tedeschi, molti dei quali erano marxisti, al momento dell’ascesa di Adolf Hitler. Com’era possibile che non solo – come avrebbe previsto il loro marxismo un po’ rigido – i borghesi, ma anche molti “proletari”, diventassero nazisti? Utilizzando la nascente psicoanalisi, e combinandola con alcuni elementi della critica marxista della cultura, alcuni rispondevano che i “proletari” non diventavano nazisti liberamente, ma erano vittima di una manipolazione mentale da parte dei “pifferai magici” del nazismo. Dopo la guerra, e dopo che molti di questi studiosi tedeschi si erano trasferiti negli Stati Uniti, la stessa teoria fu applicata al comunismo. Il comunismo – si disse – è una dottrina talmente assurda che nessuno potrebbe abbracciarla liberamente; chi lo fa è vittima delle tecniche inventate in Russia e in Cina di “lavaggio del cervello”, un’espressione coniata nel 1950 dall’agente della CIA Edward Hunter (1902-1978). Verso la fine della Guerra fredda, il tema del “lavaggio del cervello” fu ripreso da psichiatri e psicologi ostili alla religione per attaccare il fervore religioso in genere: i primi attacchi furono portati contro i protestanti fondamentalisti e i cattolici dallo psichiatra laicista inglese William W. Sargant (1907-1988). Anche qui lo schema era lo stesso: nel mondo moderno certe idee religiose sono così “assurde” che l’adesione si spiega solo con il lavaggio del cervello. Più tardi, rendendosi conto che l’attacco alla religione in genere mirava a un bersaglio troppo grosso, fu soprattutto la controversa psicologa americana Margaret T. Singer (1921-2003) a restringerne l’applicazione alle “sette”. Ma rimaneva il ragionamento circolare: quali gruppi sono “sette”? Quelli che praticano il “lavaggio del cervello”. Come sappiamo che praticano il “lavaggio del cervello”? Perché sono “sette”, cioè le loro idee e pratiche sono così bizzarre da non essere spiegabili con un’adesione libera.

Per la verità delle teorie sulla manipolazione mentale ci sono due versioni. La versione rozza, quella che sosteneva la propaganda anticomunista della CIA negli anni 1950, non appartiene certamente al mondo della scienza. Oggi nessuno userebbe più, come invece faceva nel 1953 l’allora direttore della CIA Allen Welsh Dulles (1893-1969), l’esempio del fonografo: nel cervello c’è un disco e i comunisti hanno semplicemente imparato a toglierlo e a cambiarlo. La versione più sofisticata – legata a nomi come Robert Lifton o Edgar Schein – può essere diversamente apprezzata a seconda delle opinioni che ciascuno può avere sulle teorie psicoanalitiche da cui ampiamente deriva. In ogni caso, questa versione più sofisticata non usa più da decenni l’espressione “lavaggio del cervello” e non sostiene che il “condizionamento della personalità” funzioni in modo “magico” o automatico, né che possa essere “isolato” prescindendo dalle dottrine al cui servizio si pone. In breve, la versione più “rispettabile” della teoria del condizionamento non può essere usata per formulare leggi o definire reati. La legge deve essere per sua natura generale, e questa versione sostiene che ogni caso è particolare, e richiede un esame del contesto e delle dottrine. In realtà l’impianto ideologico che soggiace a tante proposte italiane, e sembra influenzare anche il DDL, è ancora quello ingenuo “della CIA” della manipolazione mentale. Ma questa è un’impostazione ideologica smentita da centinaia di studi empirici.

In conclusione, io non penso che la sentenza della Corte Costituzionale del 1981, abolendo il reato di plagio, abbia creato un vuoto legislativo che durerebbe da trent’anni. No: la sentenza del 1981 – basta leggerla – non ha criticato quella legislazione sul plagio invitando il Parlamento ad approvarne un’altra, ma ha sostenuto che il “plagio”, così come veniva inteso allora ed è inteso oggi dai sostenitori di certi disegni di legge, è un reato immaginario, un escamotage per proscrivere idee impopolari o sgradite. Non potendo per ovvie ragioni costituzionali attaccare le idee, si afferma che certe idee sono così strane che possono raccogliere aderenti solo grazie al “plagio”, alla “manipolazione mentale” o al “lavaggio del cervello”, e si dice che sono queste tecniche – non le idee – che si vogliono incriminare. La Corte Costituzionale aveva bene inteso nel 1981 che si trattava, appunto, di un modo di incriminare le idee. Le sue argomentazioni rimangono perfettamente valide oggi, e dovrebbero indurre chiunque abbia a cuore la libertà a schierarsi contro qualunque tentativo di reintrodurre il plagio, comunque mascherato, nella nostra legislazione. I gravi crimini di cui alcune cosiddette “sette” si rendono responsabili sul piano della violenza fisica e sessuale e degli abusi economici non possono e non devono essere assolutamente negati. Chi pensasse che io voglia negarli rappresenterebbe la mia posizione in modo caricaturale. Ma sono contrario al DDL perché penso che questi crimini gravi e reali possano essere e di fatto siano meglio colpiti dalla legislazione comune, senza bisogno di creare nuove leggi speciali che rischiano di creare a loro volta nuovi pericoli.