CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne
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Il pensiero della scuola cattolica contro-rivoluzionaria – cui s’ispira Alleanza Cattolica – è un pensiero della crisi. Ritiene che, almeno dalla fine del Medioevo, sia in atto in Europa e in Occidente un processo di scristianizzazione, che chiama Rivoluzione, capace di sconvolgere il funzionamento normale e ordinato della società e della cultura. In un contesto normale l’accostamento dell’uomo a una piena consapevolezza del reale e di Dio passerebbe per un itinerario che si dirige insieme verso il vero, il buono e il bello, di norma partendo dal vero in base al principio scolastico «nihil volitum nisi praecognitum» (nulla può essere voluto se non è stato prima conosciuto). E tuttavia, dal momento che la crisi rivoluzionaria ha reso impervi e ambigui i sentieri del vero e del buono, al termine dell’itinerario della Rivoluzione può essere necessario partire dalla via, più facile, del bello. Questo spunto caratteristico della scuola contro-rivoluzionaria – ampiamente illustrato dal pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) (cfr. Introvigne 2009) – è passato anche nel Magistero.
In particolare il documento del Pontificio Consiglio della Cultura dedicato alla bellezza, La Via pulchritudinis, illustra questo punto con due citazioni, entrambe tratte da autori che non appartengono alla scuola contro-rivoluzionaria ma che nel caso di specie ribadiscono un’opinione che è tipica di questa scuola. La prima citazione è dello scrittore e dissidente anti-comunista russo, di religione ortodossa, Aleksandr Isaevič Solženicyn (1918-2008) nel suo Discorso per la consegna del Premio Nobel per la Letteratura: «Questa antica triunità della Verità, del Bene e della Bellezza non è semplicemente una caduca formula da parata, come ci era sembrato ai tempi della nostra presuntuosa giovinezza materialistica. Se, come dicevano i sapienti, le cime di questi tre alberi si riuniscono, mentre i germogli della Verità e del Bene, troppo precoci e indifesi, vengono schiacciati, strappati e non giungono a maturazione, forse strani, imprevisti, inattesi saranno i germogli della Bellezza a spuntare e crescere nello stesso posto e saranno loro in tal modo a compiere il lavoro per tutti e tre» (Pontificio Consiglio per la Cultura 2006, II, 3). La seconda citazione è del teologo cattolico svizzero Hans Urs von Balthasar (1905-1988), secondo il quale forse nel mondo moderno «gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica» (ibid.) e il bene «ha perduto la sua forza di attrazione» (ibid.), così che non resta che partire dal bello.
Benedetto XVI il 21 novembre 2009 ha incontrato gli artisti nella Cappella Sistina, rivolgendo loro un ampio discorso (Benedetto XVI 2009c). Come spesso avviene, il Pontefice ha scelto la data del 2009 per ricordare alcuni anniversari. Si tratta del venticinquesimo anniversario della proclamazione del Beato Angelico (1395-1455), «modello di perfetta sintonia tra fede e arte» (Benedetto XVI 2009c), a patrono degli artisti; del decennale della Lettera agli artisti del venerabile Giovanni Paolo II (1978-2005); e del quarantacinquesimo anniversario di un analogo incontro con gli artisti nella Cappella Sistina, «storico evento» (ibid.) promosso dal servo di Dio Paolo VI (1963-1978). Di Paolo VI Benedetto XVI ricorda alcune «espressioni davvero ardite: “E se Noi mancassimo del vostro ausilio – proseguiva –, il ministero diventerebbe balbettante ed incerto e avrebbe bisogno di fare uno sforzo, diremmo, di diventare esso stesso artistico, anzi di diventare profetico. Per assurgere alla forza di espressione lirica della bellezza intuitiva, avrebbe bisogno di far coincidere il sacerdozio con l’arte”» (ibid.).
Nel discorso del 21 novembre Benedetto XVI espone quattro importanti tesi. La prima è che in un momento di crisi, segnato da un generale «affievolirsi della speranza» (ibid.), solo la bellezza «può ridare entusiasmo e fiducia» (ibid.). Ma questo entusiasmo particolare che la bellezza dà non si manifesta tanto come pacificazione quanto, secondo l’immagine di Platone (427-347 a.C.), come «scossa». «Una funzione essenziale della vera bellezza, infatti, già evidenziata da Platone, consiste nel comunicare all’uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia” aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto. L’espressione di [Fëdor Michajlovič] Dostoevskij [1821-1881, scrittore russo] che sto per citare è senz’altro ardita e paradossale, ma invita a riflettere: “L’umanità può vivere – egli dice – senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui”. Gli fa eco il pittore Georges Braque [1882-1963]: “L’arte è fatta per turbare, mentre la scienza rassicura”. La bellezza colpisce, ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo, lo rimette in marcia, lo riempie di nuova speranza, gli dona il coraggio di vivere fino in fondo il dono unico dell’esistenza» (ibid.).
La seconda tesi è che sulla bellezza è possibile e doveroso enunciare giudizi. La formula corrente «non è bello quello che è bello, è bello quello che piace» è spesso intesa come espressione di un relativismo assoluto secondo cui in materia di bellezza non esisterebbero criteri di giudizio. Al contrario il bello è veramente bello se ci guida al vero e al bene. Diversamente si tratta di una bellezza falsa o vuota, che presto o tardi finisce per rovesciarsi in apologia del brutto e del volgare. «Troppo spesso, però, la bellezza che viene propagandata è illusoria e mendace, superficiale e abbagliante fino allo stordimento e, invece di far uscire gli uomini da sé e aprirli ad orizzonti di vera libertà attirandoli verso l’alto, li imprigiona in se stessi e li rende ancor più schiavi, privi di speranza e di gioia. Si tratta di una seducente ma ipocrita bellezza, che ridesta la brama, la volontà di potere, di possesso, di sopraffazione sull’altro e che si trasforma, ben presto, nel suo contrario, assumendo i volti dell’oscenità, della trasgressione o della provocazione fine a se stessa. L’autentica bellezza, invece, schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé» (ibid.).
Terza tesi: il criterio ultimo per capire se siamo di fronte alla vera bellezza, e insieme per fruirne nel modo corretto, consiste nel chiederci se l’aspetto della bellezza creata cui ci troviamo di fronte è un segno trasparente che ci permette di risalire alla Bellezza increata, Dio. La bellezza per la bellezza, come l’arte per l’arte, non fa parte della prospettiva cristiana. La vera bellezza è «una via verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo, verso Dio. L’arte, in tutte le sue espressioni, nel momento in cui si confronta con i grandi interrogativi dell’esistenza, con i temi fondamentali da cui deriva il senso del vivere, può assumere una valenza religiosa e trasformarsi in un percorso di profonda riflessione interiore e di spiritualità» (ibid.). L’arte occidentale del resto è incomprensibile senza il suo rapporto con «quell’immenso deposito di “figure” – in senso lato – che è la Bibbia, la Sacra Scrittura» (ibid.).
Quarta tesi: in un’epoca di crisi, se è vero che la vera arte rimanda a Dio e alle verità su Dio di cui la Chiesa Cattolica è custode – e in questo senso «l’arte ha bisogno della Chiesa» (ibid.) – , non è meno vero che senza assumere il bello come punto di partenza è difficile che gli uomini immersi nella crisi possano arrivare al vero e al buono, dunque a fare propri i valori e le verità annunciate dalla Chiesa. Così, anche «la Chiesa ha bisogno dell’arte» (ibid.). «Si parla, in proposito, di una via pulchritudinis, una via della bellezza che costituisce al tempo stesso un percorso artistico, estetico, e un itinerario di fede, di ricerca teologica» (ibid.).
Come nel documento del 2006, il riferimento è ancora a von Balthasar, la cui teologia si è particolarmente concentrata sui rapporti fra verità ed estetica. «Il teologo Hans Urs von Balthasar apre la sua grande opera intitolata Gloria. Un’estetica teologica con queste suggestive espressioni: “La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto”. Osserva poi: “Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma che ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione”. E conclude: “Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare”» (ibid.). «La via della bellezza – prosegue Benedetto XVI – ci conduce, dunque, a cogliere il Tutto nel frammento, l’Infinito nel finito, Dio nella storia dell’umanità. [La filosofa francese, i cui rapporti con il cattolicesimo sono stati peraltro tormentati] Simone Weil [1909-1943] scriveva a tal proposito: “In tutto quel che suscita in noi il sentimento puro ed autentico del bello, c’è realmente la presenza di Dio. C’è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile. Per questo ogni arte di prim’ordine è, per sua essenza, religiosa”» (ibid.).
Un esempio concreto di come la via pulchritudinis opera nella storia è dato dalle cattedrali romaniche e gotiche del Medioevo, cui tre giorni prima dell’incontro con gli artisti Benedetto XVI ha consacrato un memorabile discorso (Benedetto XVI 2009b). Qui il Papa traccia con sapienza la storia dell’arte romanica e di quella gotica e illustra le ragioni culturali, sociali e tecniche del passaggio dall’una all’altra. Il discorso è una magnifica lezione di storia, non solo dell’arte, e va letto per intero. Qui vorrei sottolineare – per il collegamento con il discorso del 21 novembre – due insegnamenti fondamentali. Il primo è che per quanto sia storicamente lecito studiare il contesto tecnico e sociale dell’arte romanica e gotica e delle cattedrali, non si deve dimenticare che lo scopo dei costruttori di cattedrali non era culturale ma religioso. «Tutto era orientato e offerto a Dio nel luogo in cui si celebrava la liturgia. Possiamo comprendere meglio il senso che veniva attribuito a una cattedrale gotica, considerando il testo dell’iscrizione incisa sul portale centrale di Saint-Denis, a Parigi: “Passante, che vuoi lodare la bellezza di queste porte, non lasciarti abbagliare né dall’oro, né dalla magnificenza, ma piuttosto dal faticoso lavoro. Qui brilla un’opera famosa, ma voglia il cielo che quest’opera famosa che brilla faccia splendere gli spiriti, affinché con le verità luminose s’incamminino verso la vera luce, dove il Cristo è la vera porta”» (ibid.).
«I capolavori artistici nati in Europa nei secoli passati sono incomprensibili se non si tiene conto dell’anima religiosa che li ha ispirati. Un artista, che ha testimoniato sempre l’incontro tra estetica e fede, [il pittore russo, di religione ebraica] Marc Chagall [1887-1985], ha scritto che “i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell'alfabeto colorato che era la Bibbia”. Quando la fede, in modo particolare celebrata nella liturgia, incontra l’arte, si crea una sintonia profonda, perché entrambe possono e vogliono parlare di Dio, rendendo visibile l’Invisibile» (ibid.).
Il secondo insegnamento del discorso del 18 novembre 2009 è che il riferimento religioso non è soltanto la chiave per comprendere le opere d’arte dell’epoca delle cattedrali in se stesse, per capire come e da dove sono nate. È anche il modo giusto di fruirne, e di fare della loro contemplazione un elemento della nostra vita spirituale. «La forza dello stile romanico e lo splendore delle cattedrali gotiche ci rammentano che la via pulchritudinis, la via della bellezza, è un percorso privilegiato e affascinante per avvicinarsi al Mistero di Dio. Che cos’è la bellezza, che scrittori, poeti, musicisti, artisti contemplano e traducono nel loro linguaggio, se non il riflesso dello splendore del Verbo eterno fatto carne? Afferma sant’Agostino: “Interroga la bellezza della terra, interroga la bellezza del mare, interroga la bellezza dell’aria diffusa e soffusa. Interroga la bellezza del cielo, interroga l’ordine delle stelle, interroga il sole, che col suo splendore rischiara il giorno; interroga la luna, che col suo chiarore modera le tenebre della notte. Interroga le fiere che si muovono nell'acqua, che camminano sulla terra, che volano nell'aria: anime che si nascondono, corpi che si mostrano; visibile che si fa guidare, invisibile che guida. Interrogali! Tutti ti risponderanno: Guardaci: siamo belli! La loro bellezza li fa conoscere. Questa bellezza mutevole chi l’ha creata, se non la Bellezza Immutabile?” (Sermo CCXLI, 2: PL 38, 1134)» (ibid.).
Si noterà come il Papa non parla soltanto di bellezza artistica, ma anche di bellezza del mondo creato, della liturgia e della santità. Bellezza del creato, bellezza dell’arte, bellezza della liturgia e delle vite sante: sono questi i tre sentieri della via pulchritudinis secondo il citato documento del 2006 (Pontificio Consiglio per la Cultura 2006). E il terzo sentiero ha anche una dimensione, per così dire, istituzionale. Nell’udienza del 30 settembre 2009 in Piazza San Pietro, in cui traccia un bilancio del suo viaggio nella Repubblica Ceca, Benedetto XVI riflette sulla bellezza di Praga e in particolare del suo castello, che poi non è solo un castello ma un insieme di edifici tra loro collegati. «Il Castello di Praga, straordinario sotto il profilo storico e architettonico, suggerisce un’ulteriore riflessione più generale: esso racchiude nel suo vastissimo spazio molteplici monumenti, ambienti e istituzioni, quasi a rappresentare una polis, in cui convivono in armonia la Cattedrale e il Palazzo, la piazza e il giardino […] l’ambito civile e quello religioso, non giustapposti, ma in armonica vicinanza nella distinzione» (Benedetto XVI 2009a). Vi è qui una profonda lezione sulla bellezza non solo degli edifici ma delle istituzioni dell’Europa cristiana, costruite nei secoli dall’incontro fra fede e ragione, distinte ma armonicamente vicine, che diventa incontro – non fusione, e tanto meno confusione – della Cattedrale e del Palazzo o, come si sarebbe detto in altra epoca e in altro linguaggio, dell’altare e del trono. Anche questa è via pulchritudinis.
Resta un ultimo problema, molto dibattuto da oltre un secolo. L’epoca delle cattedrali sta a monte della Rivoluzione. È possibile recuperare lo spirito delle cattedrali in un’epoca in cui l’arte propugna troppo spesso quella che il Papa chiama «bellezza illusoria e mendace» (Benedetto XVI 2009c)? La teologia è necessariamente prigioniera della cronologia? Un artista che vive nell’epoca moderna deve produrre necessariamente dell’«arte moderna», nel senso ideologico – cioè rivoluzionario – del termine? Le citazioni di artisti vissuti nell’epoca moderna come Chagall, se non significano certamente che il Papa intenda esaltarne ogni opera – e ogni idea – , mostrano però come Benedetto XVI sia convinto che un arte «amica della Chiesa» (ibid.) non sia impossibile neppure oggi. L’esempio dell’architetto catalano Antoni Gaudí (1852-1926), candidato alla beatificazione e che ha costruito ancora cattedrali nel XX secolo, è un’eloquente conferma di questa tesi. Camminando sulle orme di artisti cristiani come Gaudí, «ci aiuti il Signore a riscoprire la via della bellezza come uno degli itinerari, forse il più attraente ed affascinante, per giungere ad incontrare ed amare Dio» (Benedetto XVI 2009b).
Riferimenti
Introvigne, Massimo. 2009. «Via pulchritudinis e spiritualità della Contro-Rivoluzione. Una nuova raccolta di testi di Plinio Corrêa de Oliveira». Cristianità, anno XXXVII, n. 351, gennaio-marzo 2009, pp. 23-38.
Pontificio Consiglio per la Cultura. 2006. «La Via pulchritudinis, Cammino privilegiato di evangelizzazione e di dialogo». Documento finale dell’Assemblea Plenaria del 27-28 marzo 2006. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/yfzf6xl.
Benedetto XVI. 2009a. «Udienza generale sul Viaggio Apostolico nella Repubblica Ceca», del 30-9-2009. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/y98lc5e.
Benedetto XVI. 2009b. «Discorso all’udienza generale, 18 novembre 2009. La cattedrale dall’architettura romanica a quella gotica, il retroterra teologico», del 18-11-2009. sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/yem8jcq.
Benedetto XVI. 2009c. «Incontro con gli artisti nella Cappella Sistina», del 21-11-2009. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/ycplluo