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Sì, la Chiesa si occupa di politica! Un importante discorso del Papa a vescovi brasiliani

di Massimo Introvigne

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A tre giorni dal turno di ballottaggio nelle elezioni brasiliane – una tornata elettorale dove l’aborto è diventato tema di acceso scontro – Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i vescovi del Brasile della regione Nordeste V in visita ad Limina e ha tenuto un discorso che la stampa brasiliana ha subito interpretato come indicazione di «linee guida per le elezioni». L’espressione può essere discussa, ma non c’è dubbio che il Papa abbia ribadito il suo Magistero in materia di principi non negoziabili e diritto dei vescovi d’intervenire anche in materia politica quando questi principi sono in gioco. Il discorso prende così posto come una pietra miliare del pontificato in materia di rapporti tra religione e politica.

Ricordiamo che secondo un costante insegnamento di Benedetto XVI i principi non negoziabili sono quelli che attengono alla vita umana dal concepimento alla morte naturale, alla famiglia e alla libertà di educazione. Altri principi, pure importanti e certo da non ignorare, non fanno però parte di questo patrimonio essenziale dei «principi non negoziabili», espressione che per Benedetto XVI ha un senso tecnico e non può essere impiegata a caso. Non è lecito sostenere programmi che includono l’aborto, l’eutanasia o il riconoscimento di forme di matrimonio diverse dall’unione di un uomo e di una donna con il pretesto che tali programmi sono apprezzabili sul piano economico o sociale.

Benedetto XVI ha ricordato con parole molto forti il «valore assoluto di quei precetti morali negativi che dichiarano moralmente inaccettabile la scelta di una determinata azione intrinsecamente cattiva e incompatibile con la dignità della persona; tale scelta non può essere riscattata dalla bontà di nessun fine, intenzione, conseguenza o circostanza. Pertanto, sarebbe totalmente falsa e illusoria qualsiasi difesa dei diritti umani politici, economici e sociali che non comprendesse l’energica difesa del diritto alla vita dal concepimento fino alla morte naturale (cfr. Christifideles laici, n. 38)» (Benedetto XVI 2010).

Se qualche forza politica chiede il voto ai cattolici in nome di una sua presunta difesa dei poveri e dei deboli, il Papa le chiede «nel quadro dell’impegno a favore dei più deboli e dei più indifesi, chi è più inerme di un nascituro o di un malato in stato vegetativo o terminale?» (ibid.), concludendo che «quando i progetti politici contemplano, in modo aperto o velato, la decriminalizzazione dell’aborto o dell’eutanasia, l’ideale democratico – che è solo veramente tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana – è tradito nei suoi fondamenti (cfr. Evangelium vitae, n. 74)» (ibid.). Non è lecito sostenere forze politiche favorevoli all’aborto e all’eutanasia con il pretesto che i loro programmi sono a favore dei poveri.

Ma – secondo un’obiezione corrente – fornendo indicazioni politiche così chiare la Chiesa non si sta ingerendo nella vita politica da cui dovrebbe rimanere fuori? Certo, ricorda il Papa, «il dovere immediato di lavorare per un ordine sociale giusto è proprio dei fedeli laici che, come cittadini liberi e responsabili, s’impegnano a contribuire alla retta configurazione della vita sociale, nel rispetto della sua legittima autonomia e dell’ordine morale naturale (cfr. Deus caritas est, n. 29)» (ibid.). E tuttavia anche i vescovi hanno un dovere politico «mediato» (ibid.), «in quanto vi compete contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali […]. Quando […] i diritti fondamentali della persona o la salvezza delle anime lo esigono, i pastori hanno il grave dovere di emettere un giudizio morale, persino in materia politica (cfr. Gaudium et spes, n. 76)» (ibid.).

Da una parte, dunque, c’è non solo un diritto ma un «grave dovere» dei vescovi di emettere giudizi morali in campo politico. Dall’altra, non c’è nessuna indebita ingerenza perché il Papa e i vescovi non parlano anzitutto in nome della fede ma della ragione. Il divieto dell’aborto non deriva solo dal Vangelo ma anzitutto dalla retta ragione e dal diritto naturale che, in quanto accessibile alla ragione, s’impone a tutti gli uomini, siano cattolici, protestanti, buddhisti o atei.

Ma non è neppure vero che la fede non c’entri nulla con la politica. La ragione in teoria è in grado di discernere la legge naturale anche senza la fede. Ma, come ha spiegato il Papa nel suo viaggio in Gran Bretagna, esplicitamente richiamato in questo discorso sul Brasile, a causa del peccato originale e oggi anche di un’immensa pressione culturale e mediatica in favore del relativismo, diventa sempre più difficile per la ragione discernere le verità naturali senza l’aiuto della fede. Così oggi di fatto «politica e fede s’incontrano. La fede ha, senza dubbio, la natura specifica di incontro con il Dio vivo che apre nuovi orizzonti ben al di là dell’ambito proprio della ragione. “Senza il correttivo fornito dalla religione, infatti, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana” (Viaggio apostolico nel Regno Unito, Incontro con le autorità civili, 17-IX- 2010)» (ibid.).

C’è di più. Questo ruolo pubblico della religione come «correttivo» per la ragione – e per la ragione politica – per essere efficace dev’essere anche riconosciuto attraverso gesti e simboli pubblici, così come nella scuola e nell’educazione anche pubblica. «Una società può essere costruita solo rispettando, promuovendo e insegnando instancabilmente la natura trascendente della persona umana. Così Dio deve trovare “un posto anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica” (Caritas in veritate, n. 56). Per questo, amati Fratelli, unisco la mia voce alla vostra in un vivo appello a favore dell’educazione religiosa, e più concretamente dell’insegnamento confessionale e diversificato della religione, nella scuola pubblica statale» (ibid.).

«Desidero anche ricordare – aggiunge il Papa – che la presenza di simboli religiosi nella vita pubblica è allo stesso tempo memoria della trascendenza dell’uomo e garanzia del suo rispetto. Essi hanno un valore particolare nel caso del Brasile, dove la religione cattolica è parte integrante della sua storia. Come non pensare in questo momento all’immagine di Gesù Cristo con le braccia tese sulla baia di Guanabara […]?» (ibid.). Contro chi vuole togliere i crocefissi dalle aule scolastiche e dai luoghi pubblici – non solo in Brasile – il Papa ricorda che, perché la fede possa svolgere il suo ruolo indispensabile di «correttivo» per la ragione ferita dal peccato e aggredita dalla dittatura del relativismo, è indispensabile che i simboli pubblici della fede siano mantenuti e onorati. È quella che la Chiesa ha storicamente chiamato proclamazione della regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo.

Riferimenti

Benedetto XVI. 2010. Discorso ai vescovi della Conferenza Episcopale del Brasile (Regione Nordeste V) in visita «ad Limina Apostolorum», del 28-10-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/37c37gl.