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Il valore universale della ragione: da Ankara a Ratisbona e ritorno

di Massimo Introvigne (Nuntium. Rivista quadrimestrale della Pontificia Università Lateranense, nuova serie, anno XIX, n. 35-36, maggio-dicembre 2008, pp. 239-242)

Il discorso di Ratisbona è spesso ricordato come un discorso sull’islam, ma l’islam – cui sono dedicati solo i primi paragrafi del testo – serve al Papa soprattutto come elemento di confronto, per fare emergere che cosa l’Europa dovrebbe essere e purtroppo non è.

A Ratisbona il Papa parte da un dialogo che vede contrapposti nel 1391 ad Ankara l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo (1350-1425) e un saggio musulmano. L’imperatore ha ricevuto un invito che non può rifiutare ad accompagnarlo in una partita di caccia dal sultano turco Bayazet I (1360-1403), il cui minaccioso esercito è molto più potente del suo. Sulla passione per la caccia di Bayazet, Manuele si permette anche qualche battuta: il sultano si aspetta, dice, di trovare in Paradiso non solo le famose vergini, ma anche un buon numero di cani da caccia (Manuele II Paleologo 2007, 46). Notiamo, di passaggio, che benché Bayazet I sia passato alla storia come un sovrano piuttosto crudele, da certi punti di vista la tolleranza di questi musulmani turchi del XIV secolo regge favorevolmente il paragone con quella di alcuni musulmani moderni. Manuele può permettersi – in un Paese musulmano e in pubblico – non solo la battuta sui cani paradisiaci, ma anche quelle aspre critiche a Muhammad (c. 570-632) la cui semplice citazione (precisando che si trattava di parole che il Papa non intendeva fare sue) da parte di Benedetto XVI ha indotto l’islam ultra-fondamentalista (che, certo, non va confuso con tutto l’islam) a proteste, manifestazioni di piazza e purtroppo perfino omicidi nel 2006.

Tuttavia nel 1391 certamente Manuele non può invocare il Vangelo o la teologia di fronte a un pubblico musulmano: propone allora al suo interlocutore di discutere non sulla base della fede, ma della ragione. L’islamico accetta, ma il dialogo non va da nessuna parte perché Manuele e il musulmano hanno due idee diverse della ragione. Per l’imperatore greco la ragione è il fondamento filosofico di tutte le cose. Per il musulmano questo fondamento non esiste – il suo Dio, Allah, «non dipende da nessuno dei suoi atti» (Manuele II Paleologo 2007, 54) e può cambiare ogni minuto le leggi che regolano il mondo, così che ogni conoscenza razionale è incerta e provvisoria. Per l’islamico argomentare in base alla ragione significa semplicemente citare fatti empirici. La sua nozione di ragione è meramente strumentale. Da questo punto di vista il quarto dei ventisei dialoghi fra l’imperatore e il saggio islamico, apparentemente una disputa – precisamente – «bizantina», ha invece la sua importanza. Manuele II contesta l’opinione di alcuni musulmani secondo cui, dal punto di vista della capacità di conoscere con certezza la verità l’anima dell’uomo e quella degli animali non sono poi così diverse (cfr. ibid., 33-34). Niente affatto, ribatte Manuele: l’uomo ha la ragione, che gli animali non hanno. Ed è evidente che importanti qui non sono tanto gli animali, ma la possibilità della ragione umana di conoscere la verità.

Munito della sua nozione meramente strumentale di ragione, il musulmano usa nel quinto dialogo (cfr. ibid., 34-35) l’argomento che pensa chiuda la discussione: la prova della superiorità dell’islam sul cristianesimo è che le armate del Profeta stanno vincendo ovunque, e lo stesso impero di Bisanzio è ridotto a uno staterello. Naturalmente tre secoli dopo, quando a partire dalla sconfitta di Vienna nel 1683 i musulmani cominceranno a perdere le battaglie e le guerre, l’argomento potrà essere rovesciato. Ma non è questo il punto. Per Manuele II – e per Benedetto XVI – la vita, i diritti umani e la possibilità di convivere fra religioni diverse sono garantite solo da una fiducia nella ragione come strumento capace di conoscere la verità. Se manca questa fiducia, quale sia la verità è deciso da quali eserciti vincano, e oggi da chi sia più capace di fare esplodere bombe. La verità – e Dio stesso, che è verità – diventano semplici funzioni della violenza.
Nel suo viaggio del settembre 2007 in Austria Benedetto XVI è idealmente tornato a Ratisbona. La «questione essenziale» per Benedetto XVI oggi non riguarda anzitutto la fede. Non si tratta di una precedenza ontologica – la fede, che salva, verrebbe prima della ragione – ma cronologica. Se non crediamo che alcune proposizioni possano essere vere, se anzi sosteniamo che non esistono in assoluto affermazioni vere, allora anche tesi come «Dio ci salva» o «Gesù è Dio» non possono essere vere, perché nessuna tesi lo è. Ecco dunque perché si deve partire dalla ragione, e perché ci si trova oggi in una situazione paradossale in cui è la Chiesa a doversi fare carico di difendere la ragione. La grande domanda è, come il Papa ha ricordato a Vienna, se la ragione «stia al principio di tutte le cose e a loro fondamento o no» (Benedetto XVI 2007a). Sulla base della risposta positiva a questa domanda, che nasce dall’eredità greca, dall’ebraismo e dal cristianesimo, si costruiscono propriamente l’Europa e l’Occidente. E si costruisce anche il vero dialogo delle culture e delle religioni. Solo se si crede che la ragione sia un principio e fondamento universale si può credere nella verità e trovare un terreno comune di dialogo, ritenendo appunto che alcune norme e valori siano veri per tutti gli uomini in quanto tali.

Nello stesso viaggio in Austria, a Mariazell, il Papa ha sottolineato come l’abbandono del primato della ragione porta a una «rassegnazione che considera l’uomo incapace della verità» (Benedetto XVI 2007b). Se non esiste «la» verità, non esistono «le» verità, né valori universali. Al contrario – tornando sul luogo dell’antico dibattito di Manuele II Paleologo, ad Ankara, e incontrando il rappresentante del Direttorato degli Affari Religiosi turco, il Diyanet – il Papa ricordava che, dove comuni «valori morali» sono condivisi, lì in un «un dialogo autentico fra cristiani e musulmani» «possiamo offrire una risposta credibile alla questione che emerge chiaramente dalla società odierna, anche se essa è spesso messa da parte, la questione, cioè, riguardante il significato e lo scopo della vita, per ogni individuo e per l'intera umanità» (Benedetto XVI 2006).

I valori e le verità accessibili alla ragione sono le regole del gioco chiamato società, dopo avere convenuto sulle quali ognuno – cristiano, musulmano o ateo – potrà giocare la sua partita e cercare di vincerla. Ma senza regole non ci sarà nessuna partita. O c’è una verità condivisa da tutti – una verità che non è cristiana, musulmana o atea, ma è semplicemente di ragione – o si torna allo scoglio su cui s’infrange il dialogo fra Manuele II Paleologo e il musulmano: quale sia la verità lo decidono le armi. È questo il dramma, ricordato da Benedetto XVI anche nell’enciclica Spe salvi del 2007, delle ideologie moderne, che attraverso la riduzione della ragione a una semplice «ragione del potere e del fare» (Benedetto XVI 2007c, n. 23) preparano un mondo dove il dialogo è impossibile e, per dirla con Karl Marx (1818-1883), l’arma della critica cede progressivamente il posto alla critica delle armi.  Il relativismo, il rifiuto di riconoscere verità e regole del gioco valide per tutti non prepara così la pace, come molti credono, ma la guerra.

 

Riferimenti

Benedetto XVI. 2006. Incontro con il presidente del Direttorato degli Affari Religiosi ad Ankara, 28-11-2006.

Benedetto XVI. 2007a. Incontro con le autorità e con il corpo diplomatico di Vienna, 7-9-2007.

Benedetto XVI. 2007b. Omelia della Santa Messa per l’850° anniversario della fondazione del Santuario di Mariazell, Mariazell (Austria), 8-9-2007.

Benedetto XVI. 2007c. Enciclica Spe salvi, 30-11-2007.

Manuele II Paleologo. 2007. Dialoghi con un musulmano. VII discussione. Testo critico greco e note a cura di Théodore Khoury, con traduzione italiana di Federica Artioli a fronte. Edizioni Studio Domenicano - Edizioni San Clemente, Bologna - Roma.