CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne
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Dal 26 al 28 settembre 2009 Papa Benedetto XVI ha compiuto un viaggio apostolico nella Repubblica Ceca. I viaggi di Benedetto XVI hanno sempre un tema generale, che ne unifica i vari discorsi e interventi. Nella Repubblica Ceca il Pontefice ha inteso riflettere sui vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino e dalla fine dell’impero comunista sovietico. Infatti «il crollo del Muro di Berlino ha segnato uno spartiacque nella storia mondiale» (Benedetto XVI 2009b), ma la riflessione corrente sugli avvenimenti del 1989 appare, a vent’anni di distanza, sorprendentemente inadeguata. Nel corso del viaggio il Papa affronta quattro temi: il crollo del comunismo nell’Europa dell’Est nel 1989; le ferite del comunismo che ancora restano aperte; i rischi e le ombre del post-comunismo; le strategie perché, «dopo il lungo inverno della dittatura comunista» (Benedetto XVI 2009e), possa venire non una contraffazione della primavera ma una primavera autentica.
Si sa quanto Benedetto XVI sia sensibile agli anniversari, a quel ritmo che – per riprendere un’espressione che traggo da una conferenza inedita di Giovanni Cantoni – è figura dell’eternità nella storia. Anche in questo viaggio il Papa ricorda diversi anniversari, fra cui quattro sono tra loro collegati. Nel 1989, vent’anni fa, cade il Muro di Berlino e crollano i regimi comunisti nell’Europa dell’Est. Nel 1969, quarant’anni fa, muore il cardinale ceco Josef Beran (1888-1969), testimone e vittima della persecuzione comunista. Ancora nel 1989 Giovanni Paolo II (1920-2005) visita per la prima volta quella che allora era ancora la Repubblica Federale Ceco-Slovacca; e nel medesimo anno lo stesso Papa Wojtyla canonizza Sant’Agnese di Praga (1211-1282).
«È difficile credere che solo vent’anni sono passati da[l] […] crollo dei precedenti regimi» (Benedetto XVI 2009h), tanto la riflessione su quegli eventi non è stata adeguata, e tanto sembra che si vogliano a tutti i costi dimenticare il comunismo e il 1989. Occorre dunque anzitutto fare memoria – tanto più in un Paese a suo tempo sottoposto a «una dittatura comunista particolarmente rigorosa» (Benedetto XVI 2009a) – del carattere disumano e drammatico del comunismo, «dittatura basata sulla menzogna» – secondo un espressione dell’ex-presidente della Repubblica Federale Ceco-Slovacca prima e della Repubblica Ceca poi, Vaclav Havel (ibid.) – e ideologia che si è manifestata in «regimi oppressivi» (Benedetto XVI 2009b). Si tratta di un passato che non vuole passare, e che di fatto non passerà finché non sarà adeguatamente affrontato. Ma affrontarlo significherebbe fare i conti con le sue radici anti-cristiane, che sono più antiche del comunismo e, in altre forme e modi, continuano a produrre ancora oggi frutti di morte. Per questo molti preferiscono rimuovere o accantonare la memoria del comunismo e dei suoi crimini. Fare i conti con il passato coinvolgerebbe il giudizio sul presente.
Il giudizio storico di Benedetto XVI mostra come la radice degli orrori comunisti sia il rifiuto di Dio: «L’esperienza storica mostra a quali assurdità giunge l’uomo quando esclude Dio dall’orizzonte delle sue scelte e delle sue azioni» (Benedetto XVI 2009f). «Chi ha negato e ha continuato a negare Dio […] di conseguenza non rispetta l’uomo» (Benedetto XVI 2009l). La grande tradizione culturale europea «è stata sistematicamente sovvertita, in questa terra e altrove, dalla riduttiva ideologia del materialismo, dalla repressione della religione e dall’oppressione dello spirito umano» (Benedetto XVI 2009i). Certo, oggi possiamo dire che il comunismo è una «ideologia totalitaria fallita» (ibid.), ma prima di fallire ha seminato l’Europa e il mondo di lutti che non ci è consentito rimuovere dalla memoria. Celebrando «il ventesimo anniversario della “Rivoluzione di Velluto”» (Benedetto XVI 2009b) in Cecoslovacchia, e di analoghi eventi che nel 1989 posero fine ai regimi comunisti in altri Paesi, occorre pure non dimenticare di ringraziare il Signore, di «rendere grazie a Dio per la vostra liberazione da quei regimi oppressivi» (ibid.).
I quarant’anni dalla morte del cardinale Beran, che trascorse il lungo periodo che va dal 1949 al 1963 tra carcere e confino, devono aiutarci a ricordare, in secondo luogo, che al comunismo si è contrapposta una «resistenza [… ] di grandissimo livello» (Benedetto XVI 2009a). Così come non va dimenticato il comunismo, non abbiamo il diritto di scordare «tanti Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli che hanno resistito con eroica fermezza alla persecuzione comunista, giungendo persino al sacrificio della vita» (Benedetto XVI 2009e). Eppure i nomi di questi «coraggiosi amici di Cristo» (ibid.), che contrastarono «il tentativo spietato da parte del Governo di quel tempo di mettere a tacere la voce della Chiesa» (Benedetto XVI 2009b), spesso oggi non sono ricordati, e rimangono sconosciuti ai giovani. I valori della resistenza al comunismo rischiano di «andare persi» (Benedetto XVI 2009a).
Il Papa ricorda pure, in terzo luogo, i vent’anni dal viaggio compiuto nel 1989 da Giovanni Paolo II nell’Europa Centrale e Orientale «dopo la caduta del totalitarismo comunista», che partì proprio dall’attuale Repubblica Ceca (Benedetto XVI 2009g). La memoria di quel viaggio è occasione per riflettere sul ruolo di Giovanni Paolo II negli eventi del 1989 e sulla rilevanza per tali eventi del magistero di quel Pontefice. In effetti, fu proprio l’insistenza di Papa Wojtyla sulla «relazione tra fede e ragione intese come le due ali con le quali lo spirito umano è innalzato alla contemplazione della verità» (Benedetto XVI 2009i) a mettere in crisi sul piano dottrinale la menzogna del comunismo, una delle espressioni – non l’unica – dell’«esclusione positivistica del divino dall’universalità della ragione» (ibid.).
Ancora, nel 1989 Giovanni Paolo II beatifica Sant’Agnese di Praga, la principessa medievale figlia del re Ottokar I (1155-1230) che volle diventare suora francescana. Ci si potrebbe chiedere a chi interessa ricordare eventi di questo genere: «ai nostri giorni la santità è ancora attuale? O non è piuttosto un tema poco attraente ed importante?» (Benedetto XVI 2009l). Ma per chi legge la storia con gli occhi della fede le cose stanno diversamente. In modo misterioso, la canonizzazione di Sant’Agnese di Praga si lega alla caduta del comunismo nella terra che la principessa santa aveva benedetto con la sua presenza. Non una sola, ma due volte Benedetto XVI ricorda questo legame. Nella Cattedrale di Praga afferma che la canonizzazione del 1989 è un «evento che ha annunciato la liberazione del vostro Paese dall’oppressione atea» (Benedetto XVI 2009e). Quasi con le stesse parole, prendendo congedo dal Paese all’aeroporto di Praga, ribadisce che questa «canonizzazione, proprio vent’anni fa, fu messaggera della liberazione di questo Paese dall’oppressione atea» (Benedetto XVI 2009n).
Nell’udienza generale in Piazza San Pietro del 30 settembre 2009, in cui traccia un bilancio del viaggio nella Repubblica Ceca, Benedetto XVI ricorda il suo esame delle «conseguenze del lungo inverno del totalitarismo ateo» (Benedetto XVI 2009o). Certamente si deve celebrare l’eroismo dei martiri e di chi ha saputo resistere alla persecuzione. «Non si deve tuttavia sottovalutare il costo di quarant’anni di repressione politica» (Benedetto XVI 2009b).
Il tema è di grande portata storica e sociologica: le persecuzioni fanno bene o fanno male alla Chiesa? La questione è stata discussa dagli storici, per esempio, in relazione alla Rivoluzione francese. L’esempio dei martiri e della resistenza in Vandea e altrove ha certo convinto e convertito molti, per non parlare dell’inestimabile valore spirituale della fortezza di fronte alle persecuzioni e del sangue dei martiri. Tuttavia – come ricorda in un’esemplare analisi del problema lo storico Jean de Viguerie – dal punto di vista statistico e quantitativo, per quanto l’applicazione della sociologia alla storia permetta oggi di ricostruire, il bilancio al termine della Rivoluzione francese non è positivo. Le prime valutazioni attendibili, che risalgono agli anni 1820-1825, attestano — placata la tempesta rivoluzionaria e poi napoleonica — un calo notevolissimo della pratica religiosa in Francia (de Viguerie 1988). Chi si è disabituato ad andare in chiesa a causa della persecuzione non necessariamente ci torna quando la furia persecutrice è cessata. I persecutori da un certo punto di vista hanno successo e raggiungono il loro scopo di scristianizzazione, il che spiega perché la Chiesa non si auguri temerariamente le persecuzioni, pur esaltando l'eroismo dei martiri che nei periodi di maggiore difficoltà trova sempre occasione per rifulgere.
Queste conclusioni valgono anche per la persecuzione comunista, tra l’altro durata più a lungo rispetto a quella della Rivoluzione francese? Benedetto XVI sembra suggerirlo – aprendo forse una pista d’indagine anche ai sociologi – per la Repubblica Ceca, che è uno dei Paesi del mondo con la più bassa partecipazione alla Messa cattolica e ai culti di altre comunità e Chiese cristiane: «la società reca ancora le ferite causate dall’ideologia atea» (Benedetto XVI 2009e). È anche vero che in un altro viaggio apostolico, quello in Polonia dal 25 al 28 maggio 2006, lo stesso Benedetto XVI aveva svolto considerazioni in parte diverse. In Polonia e in Lituania, così come in Slovacchia (da questo punto di vista, un Paese molto diverso dalla vicina Repubblica Ceca), la resistenza di popolo alla persecuzione comunista – sulla base anche di differenti situazioni precedenti al comunismo – è stata così corale da mantenere alto il numero dei cattolici praticanti, anche se neppure in questi Paesi sono mancate «ferite».
Non sembra si possa enunciare una regola generale valida per tutti i Paesi ex-comunisti. La scristianizzazione è inversamente proporzionale alla coralità della resistenza dei cristiani, e questa è a sua volta correlata allo stato di salute del cristianesimo in ogni Paese prima dell’avvento del comunismo. Nella Repubblica Ceca, già «lavorata» dal laicismo prima della Seconda guerra mondiale e della caduta sotto il dominio comunista, la persecuzione comunista ha determinato effetti simili a quelli che de Viguerie ha cercato di misurare per la Francia in relazione alla persecuzione giacobina: la caduta in «una condizione culturale che rappresenta spesso una sfida radicale per la fede» (Benedetto XVI 2009f).
Né si devono considerare solo gli effetti sul numero dei cattolici praticanti. Le ferite che il comunismo è stato capace d’infliggere alle nazioni sono anche di altra natura. Ai popoli che hanno conosciuto la repressione comunista «la storia ha ampiamente dimostrato che la verità può essere tradita e manipolata a servizio di false ideologie, dell’oppressione e dell'ingiustizia» (Benedetto XVI 2009d). Questa manipolazione della verità rischia d’indurre come contraccolpo, anche dopo la fine del regime comunista, da una parte «cinismo» e dall’altra «relativismo» (ibid.). Chi si è abituato a vedere la verità usata e manipolata può cadere in un cinismo «disumano e distruttivo», «che vorrebbe negare la grandezza della nostra ricerca per la verità» (ibid.). Chi ha visto cadere la falsa verità dell’ideologia rischia d’altro canto di non credere più a nessuna verità, di scivolare lentamente ma fatalmente in un «relativismo che corrode i valori» (ibid.).
Nel 1989 i regimi comunisti dell’Europa dell’Est caddero. «L’euforia che ne seguì fu espressa in termini di libertà» (ibid.). Ma questa euforia fu e rimane ambigua, perché alcune domande rimangono per così dire in sospeso: «Per quale scopo si vive in libertà? Quali sono i suoi autentici tratti distintivi?» (ibid.). Richiamando la sua recente enciclica Caritas in veritate, Benedetto XVI ricorda che «la vera libertà presuppone la ricerca della verità» (ibid.), e che questo vale sia per il singolo sia per la società e la politica. «La verità, in altre parole, è la norma-guida per la libertà e la bontà ne è la perfezione. Aristotele [384-322 a.C.] definì il bene come “ciò a cui tutte le cose tendono”, e giunse a suggerire che “benché sia degno il conseguire il fine anche soltanto per un uomo, tuttavia è più bello e più divino conseguirlo per una nazione o per una polis” (Etica Nicomachea, 1)» (ibid.).
Riprendendo il tema fondamentale dell’enciclica, Benedetto XVI riafferma nella Repubblica Ceca che non ogni aspirazione o affermazione di libertà costruisce davvero il bene comune dei singoli e della società. È necessario che la libertà non sia un guscio vuoto da riempire più o meno arbitrariamente, ma che la verità dia alla libertà contenuti precisi e conformi al bene comune. Il Papa sottolinea il nesso strettissimo fra «lotta per la libertà» e «ricerca della verità: o le due cose vanno insieme, mano nella mano, oppure insieme periscono miseramente» (ibid.).
La seconda alternativa – «perire miseramente» separando la libertà dalla verità – sembra oggi una tragica possibilità per la società post-comunista, «spesso affascinata dalla moderna mentalità del consumismo edonista, con una pericolosa crisi di valori umani e religiosi e la deriva di un dilagante relativismo etico e culturale» (Benedetto XVI 2009e). La stessa libertà della cultura e delle università dopo il comunismo, «con la massiccia crescita dell’informazione», porta con sé il rischio della «frammentazione del sapere» e «la tentazione di separare la ragione dalla ricerca della verità». L’equivoco di una cultura e di una ricerca accademica senza verità è denunciato in un brano che vale la pena di citare per intero: «La ragione però, una volta separata dal fondamentale orientamento umano verso la verità, comincia a perdere la propria direzione. Essa finisce per inaridire o sotto la parvenza di modestia, quando si accontenta di ciò che è puramente parziale o provvisorio, oppure sotto l’apparenza di certezza, quando impone la resa alle richieste di quanti danno in maniera indiscriminata uguale valore praticamente a tutto. Il relativismo che ne deriva genera un camuffamento, dietro cui possono nascondersi nuove minacce all'autonomia delle istituzioni accademiche. Se per un verso è passato il periodo di ingerenza derivante dal totalitarismo politico, non è forse vero, dall’altro, che di frequente oggi nel mondo l'esercizio della ragione e la ricerca accademica sono costretti – in maniera sottile e a volte nemmeno tanto sottile – a piegarsi alle pressioni di gruppi di interesse ideologici e al richiamo di obiettivi utilitaristici a breve termine o solo pragmatici? Cosa potrà accadere se la nostra cultura dovesse costruire se stessa solamente su argomenti alla moda, con scarso riferimento ad una tradizione intellettuale storica genuina o sulle convinzioni che vengono promosse facendo molto rumore e che sono fortemente finanziate? Cosa potrà accadere se, nell’ansia di mantenere una secolarizzazione radicale, finisse per separarsi dalle radici che le danno vita? Le nostre società non diventeranno più ragionevoli o tolleranti o duttili, ma saranno piuttosto più fragili e meno inclusive, e dovranno faticare sempre di più per riconoscere quello che è vero, nobile e buono» (Benedetto XVI 2009i).
Il relativismo, inoltre, fa male. Porta con sé «atteggiamenti di ripiegamento su se stessi, di disimpegno e perfino di alienazione» (ibid.), infelicità e solitudine: nuove «forme di povertà [che] nascono dall’isolamento, dal non essere amati, dal rifiuto di Dio e da un’originaria tragica chiusura dell’uomo, che pensa di poter bastare a se stesso, oppure di essere solo un fatto insignificante e passeggero» (Benedetto XVI 2009f). I giovani, in particolare, «si lasciano attrarre da illusori miraggi di paradisi artificiali per ritrovarsi poi in una triste solitudine» (Benedetto XVI 2009m).
Non si deve credere che si tratti di un processo soltanto spontaneo. La deriva verso il relativismo della società post-comunista non manca di veri e propri teorici e organizzatori: «stanno emergendo sotto nuove forme tentativi tesi a marginalizzare l’influsso del cristianesimo nella vita pubblica, talora sotto il pretesto che i suoi insegnamenti sono dannosi al benessere della società» (Benedetto XVI 2009h), lo sfruttamento «in modo falso e alienante» delle aspirazioni dei giovani alla felicità (Benedetto XVI 2009m), la diffusione sistematica di «una comprensione della ragione sorda al divino, che relega le religioni nel regno delle subculture» (Benedetto XVI 2009i). Dopo il comunismo – come ha ricordato il 30 settembre il Papa in Piazza San Pietro, in sede di bilancio del suo viaggio – a vent’anni dalla caduta del Muro «alle conseguenze del lungo inverno del totalitarismo ateo, si stanno sommando gli effetti nocivi di un certo secolarismo e consumismo occidentale» (Benedetto XVI 2009o). La società che si è liberata del comunismo si trova a «contrastare una nuova dittatura, quella del relativismo abbinato al dominio della tecnica» – quella stessa tecnocrazia che il Papa ha tanto vigorosamente denunciato nell’enciclica Caritas in veritate (ibid.).
Il rischio che al lungo inverno comunista succeda una falsa primavera è dunque molto concreto. «Minoranza creativa» (Benedetto XVI 2009a) in una società ampiamente scristianizzata, i cattolici sono chiamati a operare anzitutto per «vedere riconosciuto alla religione un ruolo maggiore nelle questioni del Paese» (Benedetto XVI 2009b): «la verità del Vangelo è indispensabile per una società prospera» (ibid.). È necessario che alla desolazione della società post-comunista i cattolici non reagiscano con un ripiegamento su se stessi, ma trovino nella fede la forza per scendere in campo con un’azione apologetica e missionaria. «I cristiani non devono ripiegarsi su di sé, timorosi del mondo, ma piuttosto condividere con fiducia il tesoro di verità loro affidato» (Benedetto XVI 2009h). «Cari amici, chiediamo a Dio di infondere in noi uno spirito di coraggio per condividere le verità salvifiche eterne che hanno permesso, e continueranno a permettere, il progresso sociale e culturale di questo Continente» (ibid.).
Il desolato panorama dove coesistono residui effetti negativi del comunismo e relativismo tipico della fase post-comunista si caratterizza per un’«allarmante scissione di bontà, verità e bellezza» (Benedetto XVI 2009d). Recuperare il vero, il buono e il bello – e la loro unità – è un compito che appare in questo contesto particolarmente difficile. Ma è anche l’unico modo perché all’inverno del totalitarismo faccia seguito una vera primavera.
Il coraggio della missione dev’essere anzitutto apologetico: «il coraggio di presentare chiaramente la verità» (ibid.). A chi è tentato dal relativismo si deve incessantemente ripetere che «la libertà che è alla base dell’esercizio della ragione […] ha uno scopo preciso: essa è diretta alla ricerca della verità» (Benedetto XVI 2009i). La sete di cultura e di conoscenza tipica della società post-comunista è un fatto in sé positivo. Occorre però che i cattolici sappiano indirizzare questa sete, più che verso l’accumulo disordinato di nozioni frammentarie, il quale genera ulteriore relativismo, verso una «formazione integrale, basata sull’unità della conoscenza radicata nella verità» (ibid.). «Sin dai tempi di Platone, l’istruzione non consiste nel mero accumulo di conoscenze o di abilità, bensì in una paideia, una formazione umana nelle ricchezze di una tradizione intellettuale finalizzata ad una vita virtuosa. Se è vero che le grandi università, che nel medioevo nascevano in tutta Europa, tendevano con fiducia all’ideale della sintesi di ogni sapere, ciò era sempre a servizio di un’autentica humanitas, ossia di una perfezione dell'individuo all'interno dell’unità di una società bene ordinata» (ibid.). Questa definizione di humanitas è molto importante. Cattura in una singola frase l’ideale cui tendeva la civiltà cristiana del Medioevo: la «perfezione dell’individuo» – insieme culturale, morale e spirituale – nel contesto armonico e organico di una «società bene ordinata».
La Chiesa non ha complessi d’inferiorità nei confronti del sapere contemporaneo, anche scientifico. La Chiesa Cattolica «non per nulla ha portato alla nascita dell’università» (ibid.), che è nata nell’Europa cristiana caratterizzata dal dialogo fra fede e ragione, non in altri contesti religiosi o culturali. E tanti scienziati sono stati, senza avvertire alcuna contraddizione, cattolici esemplari: Benedetto XVI nel suo viaggio ricorda ripetutamente «l’esempio di Johann Gregor Mendel [O.S.A., 1822-1884], l’abate agostiniano della Moravia le cui ricerche pionieristiche gettarono le fondamenta della moderna genetica» (Benedetto XVI 2009b).
Il tema è tutt’altro che nuovo nel magistero di Benedetto XVI, e già di Giovanni Paolo II: per richiamare il continente europeo al bonum è necessario «ricordare all’Europa le sue radici. Non perché queste radici siano da tempo avvizzite. Al contrario! È per il fatto che esse continuano – in maniera tenue ma al tempo stesso feconda – a provvedere al Continente il sostegno spirituale e morale» (Benedetto XVI 2009h). ). L’Europa «è più che un continente. Essa è una casa! E la libertà trova il suo significato più profondo proprio nell’essere una patria spirituale» (Benedetto XVI 2009d). «Quando l’Europa si pone in ascolto della storia del cristianesimo, ascolta la sua stessa storia. Le sue nozioni di giustizia, libertà e responsabilità sociale, assieme alle istituzioni culturali e giuridiche stabilite per difendere queste idee e trasmetterle alle generazioni future, sono plasmate dalla sua eredità cristiana. In verità, la memoria del passato anima le sue aspirazioni per il futuro» (Benedetto XVI 2009h).
Anche alla Repubblica Ceca il Papa ricorda che «la fede cristiana […] ha avuto in realtà un ruolo decisivo nel plasmare l’eredità spirituale e culturale di questo Paese. Dev’essere lo stesso nel presente e per il futuro» (Benedetto XVI 2009d). Lo schema si ripete in tutti i viaggi degli ultimi due Pontefici: ciascun Paese cristiano è invitato a ritornare alle sue radici. Scavando verso le radici ovunque si trovano invariabilmente i santi e uno speciale legame con la Madonna. Ma quest’opera di scavo non sempre è compiuta e la memoria, se non è continuamente richiamata, rischia di perdersi. Così «la Moravia è terra ricca di santuari mariani […]. Maria tenga desta la fede di tutti voi, la fede alimentata anche da numerose tradizioni popolari che affondano le loro radici nel passato, ma che giustamente voi avete cura di conservare perché non venga meno il calore della convivenza familiare nei villaggi e nelle città. A volte si costata, con una certa nostalgia, che il ritmo della vita moderna tende a cancellare alcune tracce di un passato ricco di fede. È importante invece non perdere di vista l’ideale che le usanze tradizionali esprimevano, e soprattutto va mantenuto il patrimonio spirituale ereditato dai vostri antenati» (Benedetto XVI 2009g).
L’odierna Repubblica Ceca comprende terre dove confluiscono le eredità del cristianesimo d’Oriente e di quello d’Occidente. L’evangelizzazione vi si afferma «nel IX secolo: da una parte, in Moravia, abbiamo la grande missione dei fratelli Cirillo[ 826-869] e Metodio [815-885], che da Bisanzio portano la cultura bizantina, ma creano una cultura slava, con i caratteri cirillici e con una liturgia in lingua slava; dall’altra parte, in Boemia, sono le diocesi confinanti di Regensburg e Passau che portano il Vangelo in lingua latina, e, nella connessione con la cultura romano-latina, si incontrano così le due culture. Ogni incontro è difficile, ma anche fecondo» (Benedetto XVI 2009a). «La Moravia fa pensare immediatamente ai santi Cirillo e Metodio, evangelizzatori dei popoli slavi, e quindi alla forza inesauribile del Vangelo, che come un fiume di acque risanatrici attraversa la storia e i continenti, portando dovunque vita e salvezza» (Benedetto XVI 2009o). I santi e i monaci che sono alle radici dell’Europa – un altro tema caro a Benedetto XVI – portano insieme in queste terre la Buona Novella di Gesù Cristo e la cultura greca e latina, «la ricca eredità della sapienza classica, assimilata e posta al servizio del Vangelo» (Benedetto XVI 2009i).
La storia dell’attuale Repubblica Ceca, come quella di tanti altri Paesi europei, si caratterizza poi per il ripetuto «meraviglioso intervento di Dio» (Benedetto XVI 2009l), che suscita santi i quali sono spesso anche re e principi, veri padri dei loro popoli. Praga conosce così l’epopea di San Venceslao (907-935?), il re martire a proposito del quale si può davvero dire: «Il trono del re che giudica i poveri nella verità resterà saldo in eterno» (ibid., con riferimento all’Ufficio delle letture del 28 settembre). E al centro spirituale della capitale ceca c’è la chiesa di Santa Maria della Vittoria, che prende il nome dalla battaglia della Montagna Bianca dell’8 novembre 1620, in cui i cechi difesero con successo la loro identità cattolica. La chiesa custodisce la miracolosa effigie del Santo Bambino di Praga, venerata in tutto il mondo e «conosciuta dappertutto», cui anche il Papa ha voluto rendere un commovente omaggio (Benedetto XVI 2009c).
Nel 2006 il Pontificio Consiglio per la Cultura ha pubblicato un documento, La via pulchritudinis, cammino privilegiato di evangelizzazione e di dialogo, in cui suggerisce che in una società scristianizzata, dove le vie del vero e del buono sembrano diventate più difficili da proporre, forse il dialogo della fede – senza dimenticare l’unità di verum, bonum e pulchrum – può più facilmente iniziare il suo cammino a partire dalla bellezza.Nelle parole del teologo svizzero Hans Urs von Balthasar (1905-1988), ricordate dal documento, forse nel mondo moderno «gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica» e il bene «ha perduto la sua forza di attrazione», così che non resta che partire dal bello (Pontificio Consiglio per la Cultura 2006, II.3). Ancora, il documento propone una citazione dello scrittore e dissidente anti-comunista russo Aleksandr I. Solženicyn (1918-2008) nel suo Discorso per la consegna del Premio Nobel per la Letteratura: «Questa antica triunità della Verità, del Bene e della Bellezza non è semplicemente una caduca formula da parata, come ci era sembrato ai tempi della nostra presuntuosa giovinezza materialistica. Se, come dicevano i sapienti, le cime di questi tre alberi si riuniscono, mentre i germogli della Verità e del Bene, troppo precoci e indifesi, vengono schiacciati, strappati e non giungono a maturazione, forse strani, imprevisti, inattesi saranno i germogli della Bellezza a spuntare e crescere nello stesso posto e saranno loro in tal modo a compiere il lavoro per tutti e tre» (ibid.).
A Praga Benedetto XVI torna sul tema, che gli è caro, della via pulchritudinis. Del resto, «che cosa attira tante persone a Praga se non la sua bellezza […] ?» (Benedetto XVI 2009o).« «La nostra presenza in questa magnifica capitale, spesso denominata “il cuore d'Europa”, ci stimola a chiederci in cosa consista questo “cuore”. È vero che non c’è una risposta facile a tale domanda, tuttavia un indizio è costituito sicuramente dai gioielli architettonici che adornano questa città. La stupefacente bellezza delle sue chiese, del castello, delle piazze e dei ponti non possono che orientare a Dio le nostre menti. La loro bellezza esprime fede; sono epifanie di Dio che giustamente ci permettono di considerare le grandi meraviglie alle quali noi creature possiamo aspirare quando diamo espressione alla dimensione estetica e conoscitiva del nostro essere più profondo. Come sarebbe tragico se si ammirassero tali esempi di bellezza, ignorando però il mistero trascendente che essi indicano» (Benedetto XVI 2009d).
La lettura che il Papa propone della bellezza di Praga non è dunque semplicemente estetica. Rimanda da una parte al tema consueto dell’incontro tra tradizione classica e cristianesimo, dall’altra alla necessità di percorrere la via pulchritudinis fino alla fine risalendo dalla bellezza a Dio fonte della bellezza. «L'incontro creativo della tradizione classica e del Vangelo ha dato vita ad una visione dell’uomo e della società sensibile alla presenza di Dio fra noi. Tale visione, nel plasmare il patrimonio culturale di questo continente, ha chiaramente posto in luce che la ragione non finisce con ciò che l'occhio vede, anzi essa è attratta da ciò che sta al di là, ciò a cui noi profondamente aneliamo: lo Spirito, potremmo dire, della Creazione» (ibid.).
Meditazione sulla memoria storica dell’Europa e sulla bellezza, sul buono e sul bello s’incontrano a proposito del Castello di Praga, su cui il Papa torna nell’udienza del 30 settembre 2009 in Piazza San Pietro. «Il Castello di Praga, straordinario sotto il profilo storico e architettonico, suggerisce un’ulteriore riflessione più generale: esso racchiude nel suo vastissimo spazio molteplici monumenti, ambienti e istituzioni, quasi a rappresentare una polis, in cui convivono in armonia la Cattedrale e il Palazzo, la piazza e il giardino […] l’ambito civile e quello religioso, non giustapposti, ma in armonica vicinanza nella distinzione» (Benedetto XVI 2009o). Vi è qui una nuova, profonda lezione sulla bellezza non solo degli edifici ma delle istituzioni dell’Europa cristiana, costruite nei secoli dall’incontro fra fede e ragione, distinte ma armonicamente vicine, che diventa incontro – non fusione, e tanto meno confusione – della Cattedrale e del Palazzo o, come si sarebbe detto in altra epoca e in altro linguaggio, dell’altare e del trono.
Partire dalla bellezza potrà salvare un’Europa scristianizzata e invecchiata, che sembra talora senza speranza. «Secondo un detto attribuito a Franz Kafka [1883-1924], “Chi mantiene la capacità di vedere la bellezza non invecchia mai” (Gustav Janouch [1903-1968], Conversazioni con Kafka). Se i nostri occhi rimangono aperti alla bellezza della creazione di Dio e le nostre menti alla bellezza della sua verità, allora possiamo davvero sperare di rimanere giovani e di costruire un mondo che rifletta qualcosa della bellezza divina, in modo da offrire ispirazione alle future generazioni per fare altrettanto» (Benedetto XVI 2009n).
Naturalmente per proporre il bello, il buono e il vero agli uomini del nostro tempo non è sufficiente l’annuncio, pure fortissimo e convincente, del Papa. Sono necessari cattolici coraggiosi che sappiano farsi eco di questo annuncio nella società. A questi cattolici di buona volontà Benedetto XVI indica un’ulteriore ricorrenza significativa: il centenario della canonizzazione di San Clemente Maria Hofbauer C.Ss.R. (1751-1820), nato nella diocesi di Brno, che il Papa ha visitato in questo viaggio (Benedetto XVI 2009f). San Clemente Maria nelle tempeste dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese costituì, tra i primi in Europa, associazioni di laici capaci di ribattere colpo su colpo all’offensiva scristianizzante del laicismo e di diffondere capillarmente l’insegnamento della Chiesa e dei Pontefici.
Riferimenti bibliografici
Benedetto XVI. 2009a. Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Repubblica Ceca (26 settembre 2009).
Benedetto XVI. 2009b. Cerimonia di Benvenuto (Aeroporto Internazionale Stará Ruzyně di Praga, 26 settembre 2009).
Benedetto XVI. 2009c. Visita al «Bambino Gesù di Praga» (Chiesa di Santa Maria della Vittoria di Praga, 26 settembre 2009).
Benedetto XVI. 2009d. Incontro con le Autorità Politiche e Civili e con il Corpo Diplomatico (Palazzo Presidenziale di Praga, 26 settembre 2009).
Benedetto XVI. 2009e. Celebrazione dei Vespri con Sacerdoti, Religiosi, Religiose, Seminaristi e Movimenti Laicali (Cattedrale dei Santi Vito, Venceslao e Adalberto di Praga, 26 settembre 2009).
Benedetto XVI. 2009f. Santa Messa nell’Aeroporto Tuřany di Brno (27 settembre 2009).
Benedetto XVI. 2009g. Angelus Domini nell’Aeroporto Tuřany di Brno - Parole del Santo Padre (27 settembre 2009).
Benedetto XVI. 2009h. Incontro Ecumenico nella Sala del Trono dell’Arcivescovado di Praga (27 settembre 2009).
Benedetto XVI. 2009i. Incontro con il Mondo Accademico (Salone di Vladislav del Castello di Praga, 27 settembre 2009).
Benedetto XVI. 2009l. Santa Messa nella Ricorrenza Liturgica di San Venceslao, Patrono della Nazione (Spianata sulla Via di Melnik a Stará Boleslav, 28 settembre 2009).
Benedetto XVI. 2009m. Messaggio ai giovani alla Spianata sulla Via di Melnik a Stará Boleslav (28 settembre 2009).
Benedetto XVI. 2009n. Cerimonia di Congedo all’Aeroporto Internazionale Stará Ruzyně di Praga (28 settembre 2009).
Benedetto XVI. 2009o. 30 settembre 2009, Udienza generale sul Viaggio Apostolico nella Repubblica Ceca.
de Viguerie, Jean. 1988, Christianisme et révolution. Cinq leçons d’Histoire de la Révolution française. 2a ed. riveduta, corretta e accresciuta. Nouvelles Éditions Latines, Parigi.
Pontificio Consiglio per la Cultura. 2006. La Via pulchritudinis, cammino privilegiato di evangelizzazione e di dialogo. Documento finale dell'Assemblea Plenaria 2006.