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La sua Africa. Il magistero di Benedetto XVI sull’Africa e il viaggio in Camerun e Angola

di Massimo Introvigne

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Premessa: chi ha dirottato l’aereo del Papa?

Che cosa è andato a fare Benedetto XVI in Africa dal 17 al 23 marzo 2009? Lo ha ripetuto più volte lui stesso: a «pubblicare» (Benedetto XVI 2009f), nel senso di «rendere pubblico», l’Instrumentum laboris della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi (Sinodo dei Vescovi 2009, qui di seguito citato come IL), che si terrà a Roma nei giorni 4-25 ottobre 2009. «Sono venuto qui per presentare l’Instrumentum laboris» (Benedetto XVI 2009b). « Sono venuto qui precisamente per condividere con voi il momento storico della promulgazione dell’Instrumentum laboris per la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi» (Benedetto XVI 2009l). Un documento molto denso, frutto di quattordici anni di lavoro a partire dall’esortazione apostolica di Papa Giovanni Paolo II (1920-2005) Ecclesia in Africa, del 1995, che dopo il Primo Sinodo per l’Africa aveva esortato a uno studio più approfondito della situazione religiosa e sociale del continente africano. Un documento salutato dai media africani come uno dei più importanti testi sull’Africa mai apparsi, tanto più se lo si legge – come Benedetto XVI ha invitato a fare – insieme con i discorsi del Papa in Camerun e Angola, che lo illustrano e lo completano.

Tutto questo rischia di risultare nuovo al lettore italiano, il quale ha forse avuto l’impressione che il Papa sia andato in Africa per parlare male dei preservativi. In effetti, Benedetto XVI ha l’abitudine di conversare con i giornalisti sugli aerei che lo portano verso le mete dei suoi viaggi, e a un giornalista francese che lo interrogava sull’AIDS in Africa ha risposto: «non si può superarlo con la distribuzione dei preservativi: al contrario, aumentano il problema» (Benedetto XVI 2009a), ma solo con una «umanizzazione della sessualità», «un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro» (ibid.). Fior d’immunologi hanno spiegato che il Papa ha ragione: i dati statistici dimostrano che in Paesi dove aumenta l’uso dei preservativi non diminuiscono i casi di AIDS, perché fino a quando non cessa l’abitudine a una sessualità promiscua – che la sicurezza, fallace, indotta dall’avere con sé il preservativo incoraggia, così in effetti «aumentando il problema» – la malattia continua a dilagare.

Tuttavia, nel momento stesso in cui cominciamo a parlare di statistiche sull’AIDS, di preservativi e d’immunologi siamo già un po’ caduti nella trappola. L’Instrumentum laboris e i discorsi del Papa in Africa formano un insieme severo, che non si limita a denunciare i delitti perpetrati sulla pelle degli africani ma fa i nomi dei colpevoli: i governanti africani corrotti, le organizzazioni internazionali – tra cui l’ONU e l’Unione Europea –, le lobby dell’aborto, il Fondo Monetario Internazionale, alcune multinazionali. Tutti costoro sono riusciti nel loro intento di creare una cortina di silenzio intorno al documento se nessuno parla dell’Instrumentum laboris – che su alcuni grandi giornali occidentali non è stato neppure menzionato – e tutti parlano di preservativi. Da questo punto di vista, l’aereo del Papa è stato dirottato con una vera e propria operazione di terrorismo ideologico. Il dirottamento è riuscito parzialmente, perché in Africa Benedetto XVI è arrivato comunque, e in Africa si è parlato molto dell’Instrumentum laboris e poco o nulla dei preservativi. Ma in parte è riuscito perché in Occidente, Italia compresa, è successo esattamente il contrario: una bene orchestrata campagna di stampa è riuscita a porre in non cale quattordici anni di lavoro della Chiesa per studiare e capire l’Africa, sviando l’attenzione sul solo problema del preservativo.

In questa sede, dunque, non parlerò di preservativi ma dell’insieme costituito dall’Instrumentum laboris e dei discorsi del Papa. Il messaggio che ne emerge è molto importante, e non riguarda soltanto gli africani. Si articola in quattro parti: perché l’Africa è importante, che cos’è l’Africa, come operano in Africa le forze della corruzione e come agiscono – o dovrebbero agire – le forze della riconciliazione.

Perché l’Africa è importante

I primi destinatari delle denuncie del Magistero siamo tutti noi. Noi, quando consideriamo l’Africa una realtà secondaria, una nota a piè di pagina dei problemi del mondo. L’ex-presidente francese Jacques Chirac ha spiegato cinicamente ai giornalisti che non è caso che il Papa o altri si agitino troppo, perché se l’Africa sprofondasse nell’Oceano «le conseguenze del cataclisma sull’economia mondiale sarebbero praticamente nulle» (Di Giacomo 2009). L’Africa non è quotata in borsa. Il Magistero ci indica il carattere esemplare dell’Africa come luogo dove stanno nascendo nuove culture cristiane, «forme originali di vita, di celebrazione, di pensiero cristiani» che nascono da una «viva tradizione» non necessariamente cristiana, anzi spesso ancora precristiana, ma «trasformata e rigenerata dal Vangelo» (IL, 73). Benedetto XVI non cita il sociologo Philip Jenkins e la sua teoria delle «nuove cristianità» che stanno nascendo, particolarmente in Africa, con caratteristiche in parte diverse – ma con ispirazione comune – rispetto alla «vecchia» cristianità dell’Occidente (Jenkins 2002). Ma ogni tanto il testo di Jenkins dàl’impressione di essere noto e presupposto. E capire come nasce una cristianità, in un momento in cui ovunque antiche forme sono in crisi e nuove passano attraverso le doglie del parto, è certamente d’interesse per tutti. In questo senso l’Instrumentum laboris è «di grande importanza […] anche per la vita della Chiesa universale» (Benedetto XVI 2009g), non solo per l’Africa.

L’argomento utilizzato dal Papa con più insistenza per convincerci che dobbiamo interessarci dell’Africa è però un altro. Benedetto XVI ricorda che la storia sacra e la storia della Chiesa non sono sequenze di avvenimenti puramente umani. Sono uno dei modi attraverso cui Dio ci parla nella storia. E questo discorso di Dio attira inequivocabilmente l’attenzione sull’Africa. Nella sua «prima tappa della kénosi», cioè nel suo primo grande abbassamento nella fragile persona di un bambino umano, Gesù Cristo stesso ha dovuto «calcare il suolo africano» in occasione della fuga in Egitto (di cui, tra parentesi, Benedetto XVI rivendica il carattere di evento storico e non mero simbolo) (Benedetto XVI 2009i). Sì, «Cristo Gesù […] ha calpestato il suolo africano» (Benedetto XVI 2009f). E nell’«ultimo momento della kénosi» (ibid.), che è la Passione, a portare la croce di Gesù «c’era un africano, Simone di Cirene». Certamente come sappiamo il Cireneo non preso la croce volontariamente: «fu costretto, forzato a farlo». Ma «dopo la risurrezione […] egli ha potuto comprendere quello che aveva fatto», così che in Simone «ogni Africano e ogni sofferente aiutano Cristo a portare la sua croce», «ogni Africano è in qualche modo membro della famiglia di Simone di Cirene» (Benedetto XVI 2009h).

E la storia della salvezza continua nella storia della Chiesa. Il dito di Dio continua a indicarci l’Africa. Lo fa quando l’evangelista San Marco viene ad Alessandria per rendere «testimonianza in Africa della morte in croce del Figlio di Dio» (Benedetto XVI 2009i). Lo fa quando suscita i grandi Padri della Chiesa africani, primo fra tutti sant’Agostino (354-430) ma anche san Cipriano (210-258) e sant’Atanasio (295-373: Benedetto XVI 2009b). Lo fa quando il cristianesimo, con le invasioni musulmane, per «quasi un millennio» sparisce dall’Africa, rimanendo solo «nella parte nord-orientale del Continente», particolarmente in Etiopia, lasciando dietro di sé una gloriosa scia di martiri. Lo fa quando la Chiesa ritorna con i missionari, alla cui «generosità», contro una vulgata diffusa e politicamente corretta, il Papa invita a «rendere omaggio» (ibid.): «siate riconoscenti per la luce di Cristo! Mostratevi riconoscenti verso coloro che ve l’hanno portata: generazioni e generazioni di missionari» (Benedetto XVI 2009r), fra cui spiccano diversi santi canonizzati, cui noi italiani possiamo aggiungere – in occasione del bicentenario della nascita – la grande figura del cardinale Guglielmo Massaia (1809-1889), di cui è in corso la causa di beatificazione. Dio, infine, attira l’attenzione della Chiesa sull’Africa benedicendo il continente con la grande crescita numerica dei cattolici, arrivati ormai a centocinquanta milioni (Benedetto XVI 2009b)

Non si tratta dunque solo di considerazioni geopolitiche. Che l’Africa è importante per i cristiani e per la Chiesa ha voluto indicarlo Dio stesso.

Che cos’è l’Africa

Che cos’è l’Africa? L’Instrumentum laboris e i discorsi di Benedetto XVI hanno come riferimento soprattutto l’Africa a Sud del Sahara, trascurando il Maghreb. Eccettuando quindi il Nordafrica islamico, l’Africa emerge da questi documenti come un continente ancora ampiamente pre-cristiano, connotato da una specifica cultura che ha una lunga tradizione e che presenta insieme luci e ombre. Gli aspetti positivi della cultura africana sono sostanzialmente tre: il senso religioso, l’amore per la vita e l’attaccamento alla famiglia. Tra quelle che l’Instrumentum laboris chiama «le verità e i valori delle culture africane» (IL, 74) emerge anzitutto il profondo senso religioso: «in Africa il problema dell’ateismo quasi non si pone perché la realtà di Dio è così presente, così reale nel cuore degli africani che non credere in Dio, vivere senza Dio non appare una tentazione» (Benedetto XVI 2009a). In secondo luogo, l’idea che la vita e la nascita dei bambini siano una gioia e una ricchezza è fortemente radicata nella cultura africana: «per la migliore saggezza del vostro continente, l’arrivo di un bambino è una grazia, una benedizione di Dio» (Benedetto XVI 2009f). In terzo luogo «i valori fondamentali della famiglia africana» (Benedetto XVI 2009c) costituiscono un profondo deposito di legami e di solidarietà, che a sua volta pre-esiste al cristianesimo.
Nello stesso tempo, la cultura africana tradizionale e pre-cristiana presenta anche dei rovesci di medaglia, le «credenze e pratiche negative delle culture africane» (IL, 32) che non devono essere nascoste in nome del relativismo. Il senso religioso comporta anche un elemento oscuro, tuttora ben presente: «la paura degli spiriti, dei poteri nefasti da cui [molti africani] si dicono minacciati: disorientati, arrivano al punto di condannare bambini della strada e anche i più anziani, perché – dicono – sono stregoni» (Benedetto XVI 2009p). «La stregoneria lacera le società dei villaggi e delle città» (IL,32). La gioia che la cultura africana manifesta di fronte al matrimonio e alla trasmissione della vita si corrompe quando comporta le pratiche «del matrimonio forzato, della poligamia» (ibid.) che pure la Chiesa non teme di denunciare come «negative» (ibid.) e inaccettabili. Le solidarietà di famiglia e di villaggio diventano talora esaltazione esclusiva ed escludente della propria cerchia tribale, fino a generare i «frutti feroci del tribalismo e delle rivalità etniche» (Benedetto XVI 2009r).

Come altre culture pre-cristiane cui la Chiesa si è trovata di fronte nella sua storia, la cultura africana presenta dunque elementi e domande che possono trovare la loro risposta nel Vangelo e aspetti negativi che il Vangelo giudica e da cui può liberare. Così per esempio in Africa è forte un «culto degli antenati»: la Chiesa mostra che «trova la sua risposta nella comunione dei santi, nel purgatorio» (Benedetto XVI 2009a). Se invece diventa paura dei morti, «paura degli spiriti», si tratta di un elemento negativo da cui Cristo, che è «realmente più forte» libera, creando una cultura dove «non c’è più paura» (ibid.).

L’Instrumentum laboris presenta anche una mappa e una rilevazione dello stato delle religioni diverse dalla cattolica così come si presentano in Africa nel 2009. C’è ovunque «una grande sete di Dio» (IL, 10), che si manifesta anzitutto in una riorganizzazione delle religioni tradizionali africane: un fenomeno ambiguo, perché dai credenti sinceri e in buona fede si devono distinguere gli attivisti politici anti-occidentali, «sciovinisti che difendono la religione tradizionale africana come patrimonio nazionale e ne fanno oggetto di orgoglio nazionale, benché non la pratichino» (IL, 101). Né ci si deve nascondere che gli aspetti deteriori della religiosità tradizionale qualche volta permangono o penetrano anche nella Chiesa Cattolica: «alcuni sacerdoti, religiose e religiose danno a volte il cattivo esempio abbandonandosi a pratiche occulte» (IL, 95).

In secondo luogo, «paradossalmente, il proliferare delle sette […] è un ulteriore segno» della stessa «sete di Dio» (IL, 10). Con l’espressione «sette» sia l’Instrumentum laboris sia Benedetto XVI intendono principalmente le cosiddette AIC, sigla di quelle African independent Churches (Chiese africane indipendenti) che oggi la letteratura specialistica preferisce chiamare – senza mutare la sigla – African initiated Churches (Chiese iniziate da africani): l’immenso fenomeno di oltre diecimila nuove denominazioni di origine cristiana fondate da profeti africani, grandi e piccole, spesso (ma non sempre) di matrice pentecostale. L’accostamento della Chiesa non è esclusivamente polemico: l’incontro con questi gruppi, spiega Benedetto XVI, «sul momento può fare bene» (Benedetto XVI 2009a). Ma questi benefici nella maggior parte dei casi si rivelano di breve durata, e d’altro canto la Chiesa non può non denunciare la «virulenta aggressione» anti-cattolica e anche una certa «mimetizzazione nell’abbigliamento (abiti clericali, insegne episcopali, paramenti liturgici)» – che induce confusione ed equivoci imitando la Chiesa Cattolica – caratteristiche, se non di tutte le AIC, di un buon numero di esse (IL, 100).

In terzo luogo, non c’è dubbio che la «grande sete di Dio» (IL, 10) degli africani favorisca anche il successo del proselitismo islamico. L’Instrumentum laboris denuncia con chiarezza «l’intolleranza […] di certi gruppi islamici», «le posizioni dottrinali di alcune correnti a proposito della Jihad» (IL, 102). Alla comunità musulmana che ha voluto incontrare in Camerun Benedetto XVI ha ricordato il suo magistero sul rapporto della Chiesa con l’islam, che si va facendo sempre più sistematico. Il dialogo più fruttuoso con l’islam non è per il Papa quello teologico, ma quello che riconduce alla ragione e al diritto naturale, «lo stesso linguaggio della creazione» (Benedetto XVI 2009e) che la ragione può scoprire a prescindere dalle diverse posizioni religiose. Si tratterà dunque anzitutto di «rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana» (ibid.). Benedetto XVI ricorda, ancora una volta, l’immagine di Giovanni Paolo II secondo cui per volare occorrono due ali, «le ali della ragione e della fede» (Benedetto XVI 2009m): con un’ala sola, l’aereo non si alza in volo ma prosegue la sua corsa a terra e si schianta.

Anche in Camerun il Papa mostra il terreno molto concreto dove sarebbe necessario intendersi con i musulmani in nome del comune appello alla ragione: da una parte, il rifiuto di « tutte le forme di violenza» (Benedetto XVI2009e), dall’altra i diritti umani con il ripudio della schiavitù e della discriminazione delle donne e delle minoranze, pure in Camerun – come già nell’enciclica Spe salvi – collegati al ricordo di una santa africana, Giuseppina Bakhita (1869-1947), prima schiava rapita alla famiglia nel Darfur (dove violenze simili avvengono ancora oggi), poi grazie a un console italiano educata cristianamente e suora canossiana in Italia (Benedetto XVI 2009b).

Corruzione

La cultura ancora prevalentemente pre-cristiana dell’Africa (sub-sahariana) è il teatro di un epico scontro che ne ripete tanti altri nella storia della Chiesa. La Chiesa – in Africa oggi come in altri tempi e luoghi della storia – «conserva quanto di meglio c’è nell’umanità (i suoi valori autentici) e lo protegge dalla corruzione» (IL, 37). Si tratta di un processo d’«inculturazione» (IL 71) in cui «il Vangelo si radica nel tessuto umano della cultura» e presenta agli africani la Parola di Dio «secondo i loro linguaggi, le loro concezioni, i loro simboli» (IL, 73), depurati e purificati rispetto a «pratiche e comportamenti culturalmente ammessi ma contrari allo spirito di Cristo» (IL, 74). Vi è qui un importante insegnamento – che, ancora una volta, non vale solo per l’Africa – sulla tradizione: non tutto quello che è «tradizionale» merita di essere conservato e trasmesso. Il Vangelo e il diritto naturale esercitano una continua opera di selezione e di vaglio su quanto, da una parte, in una tradizione, è buono e va preservato per le generazioni future e dall’altra le «credenze e pratiche negative» che non vanno trasmesse, ma criticate.

Le forze che Benedetto XVI chiama della «corruzione» operano invece perché le «credenze e pratiche negative» siano da una parte mantenute – in quanto il loro mantenimento e manipolazione giova ai fini di poteri corrotti –, dall’altra utilizzate per un passaggio che saltando a pié pari il cristianesimo vada direttamente dalla cultura pre-cristiana al relativismo laicista post-cristiano.

«La causa di tutto ciò che destabilizza il continente africano» si annida, come sempre, «nel cuore ferito dell’uomo»: nell’«egoismo», nell’«avarizia» e nella «sete di potere», in una parola nel peccato (IL, 11). «Quando la Legge di Dio è “ridicolizzata, disprezzata e schernita” (cfr. 2 Cr 36, 16) il risultato può essere solo distruzione ed ingiustizia» (Benedetto XVI 2009r). «La luce è già venuta nel mondo. Ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. […] Tragicamente, le nuvole del male hanno ottenebrato anche l’Africa» (ibid.).

I primi agenti della corruzione in Africa sono i suoi stessi politici corrotti: «alcuni dirigenti politici […] disprezzano le nozioni di bene comune, […] elaborano politiche faziose, partigiane, clienteliste, etnocentriste e incitano alla divisione per poter regnare» (IL, 23). «Alcune società africane sono state portate alla rovina dai loro dirigenti politici» (IL, 50). Si sono determinati veri «abissi che separano i dirigenti dai cittadini» (IL, 108). Il comunismo, nei Paesi di cui si è impadronito, ha aggiunto una «feroce propaganda ideologica e politica» (Benedetto XVI 2009o), con la frequente persecuzione dei cristiani.

I politici corrotti, anziché operare per superare il tribalismo e l’odio per chi non fa parte della propria tribù, etnia o nazione li hanno esasperati per i loro fini. Così, «certi Paesi sono stati teatro di scene tragiche di xenofobia, in cui lo straniero simbolizzava tutte le sciagure della società e serviva da capro espiatorio: esseri umani sono stati bruciati vivi, altri dilaniati, intere famiglie sono state disperse e villaggi distrutti. In altri Stati, come constatato da alcune Chiese particolari, determinati partiti politici hanno utilizzato la natura etnica, tribale o regionale per attirare le popolazioni alla loro causa nella conquista del potere, invece di favorire il vivere insieme» (IL, 50).

Ma i cattivi dirigenti politici africani rimangono al loro posto, e continuano a corrompersi e a corrompere, perché ci sono forze della corruzione più grandi che li sostengono dall’esterno dell’Africa. «In connivenza con uomini e donne del continente africano, forze internazionali sfruttano questa miseria del cuore umano» (IL, 12).«L’aiuto internazionale […] è spesso accompagnato da condizioni inaccettabili» (IL, 25). «I programmi di ristrutturazione delle economie africane, proposti dalle istituzioni finanziarie internazionali, si sono rivelati funesti» (IL, 26). Alcune «multinazionali continuano a invadere gradualmente il continente per appropriarsi delle risorse naturali» (IL, 28). La Chiesa in passato – attraverso documenti della Pontifica Accademia per la Vita (1999) e della Pontificia Accademia delle Scienze ([2000] 2004) – ha chiarito che l’uso in agricoltura di organismi geneticamente modificati (OGM) non è di per sé illecito e può contribuire a risolvere problemi alimentari gravi. Tuttavia constata pure che in alcune zone dell’Africa la politica degli OGM è condotta in modo predatorio: «rischia di rovinare i piccoli coltivatori e di sopprimere le loro semine tradizionali, rendendoli dipendenti dalle società produttrici di OGM» (IL, 58).

Non si tratta solo di avidità e sfruttamento economico, ma d’ideologia. L’azione della corruzione internazionale sulla corruzione africana si manifesta così anche in «continui attentati portati alla vita, dal concepimento fino alla morte naturale». Si tenta «di banalizzare l’aborto con il Protocollo di Maputo» (IL, 132). Il riferimento è al protocollo siglato presso l’Unione Africana l’11 luglio 2003 ed entrato in vigore il 25 novembre 2005 con il raggiungimento della soglia dei venti Paesi che lo hanno ratificato. Si tratta di un protocollo ampiamente imposto dai Paesi e dagli organismi internazionali donatori come condizione per gli aiuti all’Africa e alle cui origini si situa, con altri ma con un ruolo centrale, la donna politica italiana radicale Emma Bonino, che per prima lo propose e lo promosse negli anni 1990 quando era commissario europeo. Dietro la bandiera condivisibile della lotta contro le mutilazioni genitali femminili, il protocollo ha fatto passare la pressione sui Paesi africani perché legalizzino e promuovano l’aborto in nome della «salute riproduttiva».

Il Papa ha denunciato con fermezza «l’imposizione di modelli culturali che ignorano il diritto alla vita dei non ancora nati» (Benedetto XVI 2009b), e «le politiche di coloro che, col miraggio di far avanzare 1’“edificio sociale”, minacciano le sue stesse fondamenta. Quanto amara è l'ironia di coloro che promuovono l'aborto tra le cure della salute “materna”! Quanto sconcertante la tesi di coloro secondo i quali la soppressione della vita sarebbe una questione di salute riproduttiva (cfr Protocollo di Maputo, art. 14)!» (Benedetto XVI 2009n).

Il risultato dell’azione congiunta delle forze della corruzione africane e internazionali costituisce l’attuale, vera tragedia dell’Africa, che è in primo luogo economica, in secondo luogo – e soprattutto – culturale. Dal punto di vista economico il «malfunzionamento delle istituzioni statali» e «le tasse eccessivamente alte e, a volte, illecite» impediscono che si sviluppi un «mercato interno»: «il tasso di disoccupazione aumenta» (IL, 26) e con questo «il degrado del tessuto sociale» e il «tasso di criminalità» (IL, 27). «È stato notato che la cattiva gestione e la miseria da essa generata hanno provocato il traffico di esseri umani, lo sfruttamento commerciale della prostituzione e il lavoro minorile; ciò ha ampiamente contribuito a distruggere i legami familiari, a destabilizzare intere comunità e a gettare in strada migliaia di rifugiati» (IL, 51). «Alcuni valori della vita tradizionale sono stati sconvolti. I rapporti tra le generazioni si sono modificati in una maniera tale da non favorire più come prima la trasmissione della conoscenze antiche e della saggezza ereditata dagli antenati. Troppo spesso si assiste ad un esodo rurale paragonabile a quello che numerosi altri periodi umani hanno conosciuto. La qualità dei legami familiari ne risulta profondamente intaccata. Sradicati e resi più fragili, i membri delle giovani generazioni, spesso – ahimè! – senza un vero lavoro, cercano rimedi al loro male di vivere rifugiandosi in paradisi effimeri e artificiali importati di cui si sa che non arrivano mai ad assicurare all’uomo una felicità profonda e duratura. A volte anche l’uomo africano è costretto a fuggire fuori da se stesso, e ad abbandonare tutto ciò che costituiva la sua ricchezza interiore. Messo a confronto col fenomeno di una urbanizzazione galoppante, egli abbandona la sua terra, fisicamente e moralmente, non come Abramo per rispondere alla chiamata del Signore, ma per una sorta di esilio interiore che lo allontana dal suo stesso essere, dai suoi fratelli e sorelle di sangue e da Dio stesso» (Benedetto XVI 2009f).

Dal punto di vista culturale «le società africane constatano, impotenti, la disgregazione delle loro culture» (IL, 73). «Il deterioramento dell’identità culturale ha condotto a uno squilibrio interiore delle persone che si manifesta con la rilassatezza morale, la corruzione e il materialismo, la distruzione del matrimonio autentico e della nozione di famiglia sana, mediante l’abbandono delle persone anziane e la negazione dell’infanzia. In seguito ai conflitti armati si è installata una cultura di violenza, di divisione e il mito del guerriero eroe. Sembra che, col pretesto della modernità, sia in atto un processo organizzato di distruzione dell’identità africana. E ciò si rivela tanto più efficace quanto più permane l’analfabetismo a causa dell’investimento carente nell’educazione da parte dei poteri pubblici. L’educazione dei giovani è così abbandonata all’influenza degli antivalori diffusi dai mass media, da certi politici e da altre figure pubbliche» (IL, 31). «Alcuni media (radio, stampa, televisione) hanno diffuso informazioni e immagini che hanno incitato le popolazioni alla violenza e all’odio, e hanno messo seriamente a repentaglio i valori che cementavano il tessuto familiare e sociale: il rispetto degli antenati, delle donne come madri e protettrici della vita, ecc. Le popolazioni sono preoccupate della crescente perdita dell’identità culturale, soprattutto tra i giovani» (IL, 52).

La tradizione africana non è conservata in quanto aveva di buono e insieme purificata dagli elementi negativi. Avviene precisamente il contrario: le forze della corruzione mantengono gli elementi negativi, ne aggiungono altri e propongono «false glorie e falsi ideali» (Benedetto XVI 2009f).

Riconciliazione

Alla corruzione si oppone la riconciliazione. Entrambe le espressioni, «corruzione» e «riconciliazione», hanno qui un significato che va al di là del riferimento a singoli episodi per indicare processi generali. La «corruzione» è il processo che, esaltando gli aspetti malsani che sono presenti nella cultura tradizionale africana (così come sono presenti in ogni cultura prima dell’incontro purificatore con il Vangelo), e aggiungendo a questi elementi deteriori che provengono dalla cultura laicista e relativista europea, ottenebra l’Africa con le «nuvole del male» (Benedetto XVI 2009r). La «riconciliazione», per contro, è il processo che preserva gli aspetti più alti e nobili delle tradizioni africane, continuamente purificandoli e trasfigurandoli alla luce del Vangelo, il cui fulgore rigetta nelle tenebre sia gli elementi malsani delle culture tradizionali sia il laicismo e il relativismo che qualcuno cerca d’importare dall’Occidente, così operando per creare una nuova cultura e una nuova civiltà, insieme autenticamente cristiane e autenticamente africane.

Il programma è chiaro: «stroncare una volta per tutte la corruzione» (Benedetto XVI 2009n). La Chiesa lavora «affinché le verità e i valori delle culture africane siano toccati e trasfigurati dal Vangelo» (IL, 74). Di fronte alla cultura africana si tratta, dunque, di «identificare quegli elementi buoni e nobili che il Cristianesimo può adottare, purificando quelli che ritiene incompatibili con il Vangelo» (IL, 101).

Entrambi gli aspetti sono importanti. Non si può, in nome del relativismo, rinunciare alla critica di quegli elementi delle tradizioni africane che sono incompatibili con la verità naturale e cristiana. «Qualcuno obietta: “Perché non li lasciamo in pace? Essi hanno la loro verità; e noi, la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com’è, perché realizzi nel modo migliore la propria autenticità”. Ma, se noi siamo convinti e abbiamo fatto l’esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna» (Benedetto XVI 2009p).
Quali sono gli elementi da preservare delle culture africane? «La prima priorità consisterà nel ridare senso all’accoglienza della vita come dono di Dio» (Benedetto XVI 2009f). In secondo luogo, occorrerà «preservare con determinazione i valori fondamentali della famiglia africana», nello stesso tempo operando per la «sua evangelizzazione» (Benedetto XVI 2009c). Nel valutare gli aspetti tradizionali relativi all’organizzazione sociale, sarà necessario «lasciarsi guidare dalla dottrina sociale della Chiesa» (ibid.).

Il frutto del processo di riconciliazione è la nascita di nuove cristianità, non identiche alla cristianità occidentale in quanto analoghe nei principi ma diverse nelle forme. Importante nel magistero di Benedetto XVI è la reiterata evocazione del caso esemplare di «un vostro illustre antenato, Dom Afonso I Mbemba-a-Nzinga [1456-1543]; per opera sua, cinquecento anni fa è sorto in Mbanza Congo un regno cristiano che sopravvisse fino al XVIII secolo. Dalle sue ceneri poté poi sorgere, a cavallo dei secoli XIX e XX, una Chiesa rinnovata che non ha cessato di crescere fino ai nostri giorni» (Benedetto XVI 2009m). «Mi piace andare col pensiero indietro di cinquecento anni, ossia agli anni 1506 e seguenti, quando in queste terre, allora visitate dai portoghesi, venne costituito il primo regno cristiano sub-sahariano, grazie alla fede e alla determinazione del re Dom Afonso I Mbemba-a-Nzinga, che regnò dal menzionato anno 1506 fino al 1543, anno in cui morì; il regno rimase ufficialmente cattolico dal secolo XVI fino al XVIII, con un proprio ambasciatore in Roma. Vedete come due etnie tanto diverse – quella banta e quella lusiade – hanno potuto trovare nella religione cristiana una piattaforma d’intesa, e si sono impegnate poi perché quest’intesa durasse a lungo e le divergenze – ce ne sono state, e di gravi – non separassero i due regni!» (Benedetto XVI 2009p).

La monarchia cristiana del Congo – che comprendeva anche, sotto questo nome, gran parte dell’attuale Angola – nasce con la battaglia di Mbanza-Kongo del 1506, dove una miracolosa apparizione dell’apostolo San Giacomo (fatto conoscere agli africani da portoghesi che avevano fatto il pellegrinaggio di Compostela) e dello Spirito Santo assicura la vittoria all’armata cristiana del re Afonso I contro l’esercito radunato dal fratello che voleva tornare al paganesimo. Fino al 1860 il sigillo con San Giacomo e lo Spirito Santo, a ricordo dell’evento del 1506, resterà il simbolo ufficiale della monarchia del Congo (che continuerà a esistere anche in seguito, benché sotto il protettorato portoghese, e sarà formalmente abolita solo nel 1914).

Nell’esaltare questo caso antico di monarchia cristiana in Africa, Benedetto XVI mette in luce la sua capacità di far convivere armoniosamente – anche se non sempre senza naturali e prevedibili difficoltà – due etnie, una africana e l’altra portoghese, diverse in tutto ma unite dalla fede cattolica. Nella monarchia cattolica del Congo, almeno nella sua epoca più gloriosa, vediamo come la cultura cristiana dell’Occidente non sia necessariamente un elemento di turbativa rispetto alle culture tradizionali africane. Può operare, anzi, come fermento per preservarne quanto hanno di accettabile e di buono e favorire la loro trasformazione nell’incontro con il Vangelo.

Il dialogo fra le culture presenti in Africa – nel comune appello alla ragione e senza alcun irenismo che rifiuti di denunciare le varie forme di «aggressione» (IL, 100) e di «intolleranza» (IL, 102) – è opportuno anche per favorire, in Paesi che sono stati scossi da sanguinosi conflitti, pratiche di riconciliazione nazionale dove la parola «riconciliazione» assume un senso più limitato e tecnico, di ripresa almeno di una conversazione fra gruppi che si sono dilaniati e massacrati, ma non poco importante. Per questi tentativi in Africa «alcuni Stati si sono ispirati a modelli tradizionali di riconciliazione e a pratiche cristiane attinenti al sacramento della riconciliazione. […] I risultati sono limitati, se non addirittura imperfetti» (IL, 49). In verità, la riconciliazione «può essere soltanto frutto di una conversione» (Benedetto XVI 2009r). La Chiesa «ha occupato un posto ragguardevole nella riconciliazione in occasione dei conflitti. Essa gode, altresì, di una grande credibilità in molte società africane» (IL, 90). La Chiesa Cattolica, forse con meno clamore mediatico di altri, ha avuto un ruolo decisivo nel difficile processo di purificazione della memoria in Sudafrica, così come oggi promuove un «tentativo di riconciliazione in Burundi e cerca di fare qualcosa di simile, anche se con grandissime difficoltà, in Zimbabwe» (Benedetto XVI 2009u).

Non bisogna illudersi, e occorre procedere con sano e prudente realismo: «rispetto alla furia distruttrice del male, il lavoro di ricostruzione è penosamente lento e duro» (Benedetto XVI 2009r). Per ricostruire, occorrerà che i giovani, in particolare, superino «l’attuale cultura individualistica ed edonista» e osino «decisioni definitive»: «Quando il giovane non si decide, corre il rischio di restare un eterno bambino!» (Benedetto XVI 2009q: forse l’unica battuta non relativa ai preservativi ripresa dai giornali italiani, perché si prestava al paragone con un bon mot del ministro del governo Prodi Tommaso Padoa-Schioppa sui «bamboccioni» che rimangono fino a trent’anni e oltre a carico dei genitori). Sempre attento alle ricorrenze, Benedetto XVI addita come modelli la fedeltà di san Giuseppe –che ha anche lui calcato il suolo dell’Africa nella fuga in Egitto, e di cui la festa è ricorsa nel corso del viaggio – e lo zelo missionario di san Paolo, nell’Anno Paolino.

Riuscirà – nel suo senso più tecnico e limitato di rinnovato dialogo nazionale e nel suo senso più ampio di processo da cui nascono nuove cristianità – la riconciliazione? Oggi, nel 2009, può sembrare che la crisi economica internazionale, i cui effetti drammatici si avvertono anche in Africa, faccia sorgere un nuovo ostacolo. Il Papa è andato in Africa con «un programma religioso, di fede, di morale, ma proprio questo è anche un contributo essenziale al problema della crisi economica che viviamo in questo momento. Tutti sappiamo che un elemento fondamentale della crisi è proprio un deficit di etica nelle strutture economiche; si è capito che l’etica non è una cosa “fuori” dall’economia, ma “dentro” e che l’economia non funziona se non porta in sé l’elemento etico» (Benedetto XVI 2009a). Una volta che la crisi è letta eticamente, l’Africa può essere compresa come straordinaria risorsa e non solo come problema.

Quando nascono, le nuove cristianità africane sono segnate da quello che Benedetto XVI, in un momento difficile del suo ministero, ha apprezzato di più nel suo viaggio: il calore di una «cordialità quasi esuberante, di questa gioia, di un’Africa in festa» (Benedetto XVI 2009u). Sì, le nuove cristianità africane non sono e non saranno uguali alla cristianità occidentali. Lo dimostra la nascita di un movimento liturgico africano, segno e simbolo – non senza difficoltà – del tentativo di creare cristianità nuove, fedeli allo spirito del Vangelo e nello stesso tempo capaci di conservare gli elementi positivi della tradizione africana. Il Papa nutre fiducia: in Africa ha visto lo «spirito di raccoglimento nelle liturgie, il forte senso del sacro: nelle liturgie non c’è autopresentazione dei gruppi, autoanimazione, ma c’è la presenza del sacro, di Dio stesso» (ibid.). Mostrando al mondo come nuove cristianità possono sempre nascere, ai tempi del re Afonso I del Congo ma anche in pieno XXI secolo, l’Africa, pure così tormentata e martoriata, è un segno di speranza per tutta la Chiesa.

 

RIFERIMENTI


Benedetto XVI. 2009a. Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso l'Africa, del 17-3-2009.

Benedetto XVI. 2009b. Cerimonia di benvenuto all’aereoporto internazionale Nsimalen di Yaoundé, del 17-3-2009.

Benedetto XVI. 2009c. Incontro con i Vescovi del Camerun nella Chiesa Christ-Roi in Tsinga a Yaoundé, del 18-3-2009.

Benedetto XVI. 2009d. Celebrazione dei Vespri nella Basilica Marie Reine des Apôtres nel quartiere di Mvolyé a Yaoundé – Discorso del Santo Padre, del 18-3-2009.

Benedetto XVI. 2009e. Incontro con i rappresentanti della Comunità Musulmana del Camerun nella Nunziatura Apostolica di Yaoundé, del 19-3-2009.

Benedetto XVI. 2009f. Omelia durante la Santa Messa in occasione della pubblicazione dell’Instrumentum Laboris della II Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, nello Stadio Amadou Ahidjo di Yaoundé, del 19-3-2009.

Benedetto XVI. 2009g. Parole del Santo Padre in occasione della pubblicazione dell'Instrumentum Laboris a Yaoundé, del 19-3-2009.

Benedetto XVI, 2009h. Incontro con il mondo della sofferenza nel Centro Card. Paul Emile Léger – CNRH di Yaoundé, del 19-3-2009.

Benedetto XVI, 2009i. Incontro con i Membri del Consiglio Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi nella Nunziatura Apostolica di Yaoundé, del 19-3-2009.

Benedetto XVI, 2009l. Cerimonia di Congedo all’Aeroporto internazionale Nsimalen di Yaoundé, del 20-3-2009.

Benedetto XVI, 2009m. Cerimonia di benvenuto all’Aeroporto internazionale 4 de Fevereiro di Luanda, del 20-3-2009.

Benedetto XVI, 2009n. Incontro con le Autorità politiche e civili e con il Corpo Diplomatico nel Salone d’onore del Palazzo Presidenziale di Luanda, del 20-3-2009.

Benedetto XVI. 2009o. Incontro con i Vescovi dell'Angola e São Tomé nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Luanda, del 20-3-2009.

Benedetto XVI. 2009p. Omelia durante la Santa Messa con i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i movimenti ecclesiali e i catechisti dell’Angola e São Tomé nella Chiesa São Paolo di Luanda, del 21-3-2009.

Benedetto XVI. 2009q. Incontro con i giovani nello Stadio dos Coqueiros di Luanda, del 21-3-2009.

Benedetto XVI. 2009r. Omelia durante la Santa Messa con i Vescovi dell’I.M.B.I.S.A. (Interregional Meeting of Bishops of Southern Africa) nella Spianata di Cimangola a Luanda, del 22-3-2009.
 
Benedetto XVI, 2009s. Incontro con i Movimenti Cattolici per la Promozione della Donna nella Parrocchia di Santo António di Luanda, del 22-3-2009.

Benedetto XVI. 2009t. Cerimonia di congedo all’Aeroporto internazionale 4 de Fevereiro di Luanda, del 23-3-2009.

Benedetto XVI. 2009. Incontro del Santo Padre con i giornalisti durante il volo di ritorno, del 23-3-2009.

Di Giacomo, Filippo. 2009. «La Chiesa Bianca cerca linfa in Africa». La Stampa, 17-3-2009.

Jenkins, Philip. 2002. The Next Christendom. The Coming of Global Christianity. Oxford University Press, New York [trad. it. La terza Chiesa. Il cristianesimo nel XXI secolo, Fazi, Roma 2004].

Pontificia Accademia delle Scienze. [2000] 2004. Studio-Documento della Pontificia Accademia delle Scienze sull’uso delle piante geneticamente modificate per combattere la fame nel mondo. Pontificia Accademia delle Scienze, Città del Vaticano.

Pontificia Accademia per la Vita. 1999. Biotecnologie animali e vegetali. Nuove frontiere e nuove responsabilità. Libreria Editrice Vaticana, Roma.

Sinodo dei Vescovi. 2009 [IL]. II Assemblea Speciale per l’Africa. La Chiesa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. «Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo» (Mt 5, 13-14). Instrumentum laboris.Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, Città del Vaticano.