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Religione e politica nel libro Il futuro della libertà di Gianfranco Fini

di Massimo Introvigne

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L’onorevole Gianfranco Fini non è il leader del centro-sinistra italiano. Con il libro Il futuro della libertà. Consigli non richiesti ai nati nel 1989 (Rizzoli, Milano 2009) si colloca con chiarezza nell’ambito della destra. Avendo avuto la ventura, e la fortuna, di trovarmi negli Stati Uniti durante i funerali di Ronald Reagan (1911-2004), sono convinto che la posizione su questo quarantesimo presidente degli Stati Uniti definisca – come allora emergeva con chiarezza seguendo i media statunitensi e internazionali – la destra e la sinistra, almeno in prima approssimazione e tenendo conto che ogni giudizio tollera sempre infinite variazioni e sfumature. Ma, nell’essenziale, le cose sono abbastanza chiare. È di sinistra chi è contro Reagan. Chi è per Reagan è di destra. Fini parla del ruolo storico di Reagan, perfino della sua «tensione morale e ideale» (p. 43) con condivisione e anche con entusiasmo. Dunque, non è di sinistra.

Qui però la questione non finisce: piuttosto, comincia. Reagan infatti fu il geniale interprete del «fusionismo», cioè di quella pratica politica statunitense che consiste nel mettere insieme diverse «destre» intorno a obiettivi comuni. Il fatto che l’obiettivo di Reagan fosse grandioso – la spallata finale al comunismo – non toglie che le destre che risposero al suo richiamo fossero tra loro molto diverse. Ancora in prima approssimazione, si può dire che – non solo negli Stati Uniti – le destre siano sostanzialmente tre. La prima – su cui l’intera nozione di «destra» si fonda – è costituita dagli oppositori della Rivoluzione francese, e di tutto quanto questa Rivoluzione rappresenta, in nome della monarchia tradizionale (che, beninteso, è cosa diversa dalla monarchia assoluta) e della fede cristiana. La stessa parola «destra» nasce dal settore del Parlamento che gli oppositori intransigenti della Rivoluzione andarono a occupare quando in Francia fu restaurata la monarchia.

Dal momento, però, che il processo rivoluzionario di attacco ai valori tradizionali dell’Europa cristiana non si ferma alla Rivoluzione francese, ma continua, nel corso del secolo XIX emerge una seconda «destra», costituita da coloro che accettano i principi liberali nella loro versione del 1789 ma rifiutano il socialismo. E con l’affermazione del marxismo-leninismo nel secolo XX nasce anche una terza «destra», costituita da quei socialisti che rifiutano il comunismo, pur mantenendo fermi numerosi elementi del pensiero socialista. In Paesi come gli Stati Uniti, e non solo, per la verità, ciascuna destra andrebbe ancora distinta a seconda che il suo riferimento religioso sia cattolico o protestante: il discorso è tutt’altro che irrilevante, ma porterebbe troppo lontano.

I fascismi – pure diversi tra loro – sono a loro modo «fusionisti» perché mettono insieme contro l’avversario comunista sovietico le tre destre. Se però parliamo del fascismo italiano, nelle origini e nella fine (a Salò) della sua esperienza per molti versi è la terza delle tre destre – quella socialista anticomunista – a prevalere.

La premessa può sembrare inutilmente complessa. È al contrario essenziale per intendere la posizione di Fini. Questa è «fusionista», nel senso che tende la mano alla seconda destra, liberale, difendendo il «libero mercato» con l’argomento che in questa espressione quel che conta è più la libertà del mercato. Tende la mano anche alla prima destra, cattolica, ricordando che in tema di Costituzione europea Fini fu favorevole all’inserimento di un richiamo all’identità religiosa: «Riconoscere un’identità comune dell’Europa significa avere ben chiaro che, se c’è un luogo che può far sentire figli della medesima storia e della medesima comunità culturale un pescatore dell’Algarve e un contadino lituano, quel luogo è la cattedrale. Quella immagine di un’“Europa delle cattedrali” e un conseguente riconoscimento di un’identità religiosa nella tradizione ebraica e cristiana è la fotografia di un incontestabile dato storico, non è una scelta di campo politica e nemmeno un atto di fede» (p. 145). Parole, certo, condivisibili e opportune, in un momento storico in cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo vorrebbe vietare perfino i crocefissi nelle scuole. Così come è apprezzabile la chiarezza sul tema della droga: non si tratta, scrive Fini, di «limitare il danno» ma di affermare in modo «chiaro e forte […] che non esiste il diritto di drogarsi» (p. 72).

E tuttavia a chi percorra tutto il libro Fini appare per quello che è: un uomo della terza destra che tenta un’operazione «fusionista» nei confronti delle altre due. Che si tratti di una destra modernista (si sarebbe tentati di dire futurista) emerge dall’insofferenza verso il «dogmatismo […] di tipo religioso» (p. 118), dall’affermazione del diritto degli uomini e delle donne all’autodeterminazione in campo bioetico (il che mina, senza che la contraddizione sia risolta, anche il rigore proposto in tema di droga), dalla forte rivendicazione della posizione a suo tempo assunta da Fini in tema di procreazione assistita (cfr. p. 119), ma anche – perché non si tratta solo di bioetica – da un’idea di nazione, quindi di cittadinanza (con riflessi sulla sua concessione agli immigrati), come una realtà dinamica, plastica, plasmabile che continuamente muta e si ridefinisce nel tempo. Se Reagan è un test per sapere chi è di destra e di sinistra, in Italia è un test anche Eluana Englaro (1970-2009). Certamente chi plaude alla sua soppressione in nome di una presunta «sovranità del singolo […] su se stesso, sulla propria vita e sul proprio lasciare la vita» (p. 103) non fa parte della prima destra, e nemmeno può ragionevolmente pensare d’includerla in un progetto «fusionista» da lui egemonizzato. Né convince il richiamo alla «laicità positiva» del presidente francese Nicolas Sarkozy, diversa da quella di Fini in quanto aperta, almeno in linea di principio, a dialogare con i cattolici sull’esistenza di una legge naturale i cui principi non sono negoziabili.

L’appello a una riconciliazione dopo il caso Englaro è interessante, perché da una parte mostra i limiti del «fusionismo» di Fini, dall’altra ha un sapore antico – che si è ancora una volta tentati di definire futurista – quando invita a unirsi sul fare e non sull’essere. I sostenitori del mantenimento in vita di Eluana sarebbero prigionieri di vecchie «linee […] dell’“essere”, vale a dire le linee, in definitiva rassicuranti ma immobili, dell’“identità”», mentre si tratta di passare alle «linee contemporanee del “fare”», a una politica giudicata «per ciò che realizza» e non «per ciò che rappresenta» (p. 103). «In principio era l’azione», per dirla con il Faust di Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832)? In ogni caso per la prima destra, cristiana, in principio era il Verbo, cioè la verità, e Faust non è un modello ma una semplice vittima del Diavolo.

Si trova qui anche il limite dell’appello di Fini alla libertà, e della sua celebrazione del 1989, che pure non è priva di una sua efficacia letteraria. Certamente il presidente della Camera è consapevole del fatto che la libertà, se non è collegata a contenuti, rischia di essere un guscio vuoto. Afferma che non  basta la «libertà “da” (dall’oppressione, dalle barriere e dalle frontiere)» (p. 152), che l’Europa Centrale e Orientale ha conquistato nel 1989, ma occorre la «libertà “di”» (ibid.). Gli esempi di «libertà “di”» sono però piuttosto deludenti: libertà di «costruire la prosperità» (ibid.) o di promuovere «i diritti» (ibid.). Al massimo, il contenuto della libertà è una certa responsabilità: non si pesi sui genitori fino a trent’anni, si studi e si lavori seriamente, e così via. Non basta. La dottrina sociale della Chiesa non parla tanto di «libertà “di”» quanto di «libertà “per”»: per la verità e per il bene.

Qui si tocca il cuore del problema. Visitando la Repubblica Ceca a vent’anni dalla fine del comunismo nel 1989, Benedetto XVI ha ricordato che dopo la caduta dei regimi comunisti «l’euforia che ne seguì fu espressa in termini di libertà» (Incontro con le Autorità Politiche e Civili e con il Corpo Diplomatico al Palazzo Presidenziale di Praga, del 26 settembre 2009). Ma questa euforia fu e rimane ambigua, perché alcune domande rimangono per così dire in sospeso: «Per quale scopo si vive in libertà? Quali sono i suoi autentici tratti distintivi?» (ibid.). Richiamando la sua recente enciclica Caritas in veritate, Benedetto XVI ricorda che «la vera libertà presuppone la ricerca della verità» (ibid.), e che questo vale sia per il singolo sia per la società e la politica. «La verità, in altre parole, è la norma-guida per la libertà e la bontà ne è la perfezione» (ibid.). Il Papa sottolinea il nesso strettissimo fra «lotta per la libertà» e «ricerca della verità: o le due cose vanno insieme, mano nella mano, oppure insieme periscono miseramente» (ibid.).

Nello stesso viaggio, Benedetto XVI ha sottolineato il carattere inadeguato di molte ricostruzioni e celebrazioni del 1989. Il comunismo è un passato che non vuole passare, e che di fatto non passerà finché non sarà adeguatamente affrontato. Ma affrontarlo significherebbe fare i conti con le sue radici, che sono più antiche del comunismo e, in altre forme e modi, continuano a produrre ancora oggi frutti avvelenati.

Parole talora convincenti, quelle di Fini, sugli orrori del comunismo (e del nazional-socialismo). Tuttavia si ha l’impressione che la radice degli errori e degli orrori sia una semplice avversione ideologica per la libertà. Mentre per Benedetto XVI – cito ancora il viaggio nella Repubblica Ceca – quelle radici si riassumono nel rifiuto di Dio: «L’esperienza storica mostra a quali assurdità giunge l’uomo quando esclude Dio dall’orizzonte delle sue scelte e delle sue azioni» (Santa Messa nell’Aeroporto Tuřany di Brno, del 27 settembre 2009)). «Chi ha negato e ha continuato a negare Dio […] di conseguenza non rispetta l’uomo» (Santa Messa nella Ricorrenza Liturgica di San Venceslao, Patrono della Nazione, Spianata sulla Via di Melnik a Stará Boleslav, 28 settembre 2009).

Discorso evidente per un cattolico – e dunque anche per la prima delle tre destre che ho evocato, quella cattolica – ma discorso che non ha molto senso per una destra social-rivoluzionaria. Ma, si obietterà, non potrebbe il progetto «fusionista» di Fini avere successo? Non potrebbero, per battere la sinistra, esponenti delle diverse destre raccogliersi attorno al Presidente della Camera, una volta che fosse arrivata al termine l’avventura politica di Silvio Berlusconi? Sul piano fattuale tutto è possibile. Sul piano dei principi, un «fusionismo» dove la destra di Fini sia egemone sarebbe invece una iattura per i cattolici. Non vi è, anzitutto, nessuna ragione di concedere l’egemonia a chi su tutte le questioni sostanziali che prospetta – dall’immigrazione ai «nuovi diritti» – è in realtà minoritario nell’ambito dell’elettorato di centro-destra italiano. Ma, soprattutto, non possumus. Benedetto XVI c’insegna che esistono da una parte principi su cui un legittimo pluralismo di opinioni politiche è possibile, dall’altra principi non negoziabili su cui si deve tracciare una linea che non può essere valicata: vita, famiglia, libertà di educazione.

Non si tratta di problemi secondari: anzi, secondo l’enciclica Caritas in veritate sono questi oggi i problemi cruciali della vita sociale e il terreno dove si gioca la battaglia per la definizione della libertà. «Campo primario e cruciale della lotta culturale tra l’assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell’uomo è oggi – spiega l’enciclica  – quello della bioetica, in cui si gioca radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale. Si tratta di un ambito delicatissimo e decisivo, in cui emerge con drammatica forza la questione fondamentale: se l’uomo si sia prodotto da se stesso o se egli dipenda da Dio» (n. 74); «la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica» (n. 75). Nel momento in cui Fini ribadisce la sua posizione, antitetica a quella cattolica, sulla fecondazione assistita e sul caso Eluana Englaro non sta parlando di questioni marginali, ma del «campo primario e cruciale» dove oggi si deve valutare se una proposta politica è accettabile o meno.

Né si tratta solo di bioetica, perché quelle alla fecondazione assistita e al fine vita sono applicazioni di principi generali sull’autodeterminazione, e su una libertà svincolata da una legge morale naturale e non negoziabile, che emergono anche in altri campi. Per quanto le sue affermazioni su alcuni singoli temi siano talora condivisibili, il cattolico non può affidarsi alla guida di chi considera negoziabili i principi non negoziabili, e per di più vorrebbe negoziare da posizioni antitetiche alle sue. Ci sono epoche storiche in cui il «fusionismo» – Reagan insegna – è opportuno, di fronte alla malizia e alla preponderanza di uno specifico avversario. Ma è saggio perseguire il «fusionismo» cercando di proporre la propria egemonia, non rassegnandosi a quella altrui. Ed è obbligatorio mantenere fermo il principio secondo cui in nome del «fusionismo» si può cercare una mediazione su alcune questioni strettamente politiche, ma non è invece mai lecito valicare il limite dei principi non negoziabili.