CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne
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1. La grazia di un anniversario
Com’è noto, Benedetto XVI ha una particolare sensibilità per gli anniversari. Nel 2009 cadono centocinquant’anni dalla morte del Santo Curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney (1786-1859). Di conseguenza, ricorre anche il cinquantesimo anniversario dell’enciclica del Beato Papa Giovanni XXIII (1958-1963) Sacerdotii nostri primordia, del 1959, intesa a celebrare il centenario della morte dello stesso santo (Giovanni XXIII 1959). «Ho voluto prendere spunto da questo anniversario per indire l’Anno Sacerdotale» (Benedetto XVI 2009f), afferma il Papa: un anno per un santo, e un anno giubilare per il sacerdozio e i sacerdoti, che si snoda tra due feste del Sacro Cuore di Gesù, dal 19 giugno 2009 al 19 giugno 2010.
Il Papa rileva come il Santo Curato sia morto un anno dopo le apparizioni della Madonna a Lourdes, del 1858, il cui centocinquantesimo anniversario è ricorso nel 2008. Anche il Beato Giovanni XXIII nell’enciclica citata aveva notato la sequenza dei due anniversari. «Già nel 1959 – ricorda Benedetto XVI – il beato Papa Giovanni XXIII aveva osservato: “Poco prima che il Curato d’Ars concludesse la sua lunga carriera piena di meriti, la Vergine Immacolata era apparsa, in un’altra regione di Francia, ad una fanciulla umile e pura [Santa Bernadetta Soubirous, 1844-1879], per trasmetterle un messaggio di preghiera e di penitenza, di cui è ben nota, da un secolo, l’immensa risonanza spirituale. In realtà la vita del santo sacerdote, di cui celebriamo il ricordo, era in anticipo un’illustrazione vivente delle grandi verità soprannaturali insegnate alla veggente di Massabielle. Egli stesso aveva per l’Immacolata Concezione della Santissima Vergine una vivissima devozione, lui che nel 1836 aveva consacrato la sua parrocchia a Maria concepita senza peccato, e doveva accogliere con tanta fede e gioia la definizione dogmatica del 1854” (Lettera enc. Sacerdotii nostri primordia, P. III)» (Benedetto XVI 2009b).
Ancora in tema di sequenze di anniversari, per la Chiesa dopo l’Anno Paolino – cioè l’anno giubilare, dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009, indetto per il bimillenario della nascita di San Paolo – viene l’Anno Sacerdotale dedicato al Santo Curato. Si tratta di due figure in apparenza molto diverse: il dotto San Paolo e l’umile curato di Ars. «La Provvidenza divina ha fatto sì che la sua figura venisse accostata a quella di san Paolo. Mentre infatti si va concludendo l’Anno Paolino, dedicato all’Apostolo delle genti, modello di straordinario evangelizzatore che ha compiuto diversi viaggi missionari per diffondere il Vangelo, questo nuovo anno giubilare ci invita a guardare ad un povero contadino diventato umile parroco, che ha consumato il suo servizio pastorale in un piccolo villaggio. Se i due Santi differiscono molto per i percorsi di vita che li hanno caratterizzati – l’uno è passato di regione in regione per annunciare il Vangelo, l’altro ha accolto migliaia e migliaia di fedeli sempre restando nella sua piccola parrocchia –, c’è però qualcosa di fondamentale che li accomuna: ed è la loro identificazione totale col proprio ministero, la loro comunione con Cristo» (Benedetto XVI 2009d).
La Chiesa ha nel suo calendario moltissimi santi. A pochi dedica un magistero specifico articolato in molteplici testi, documenti, encicliche. Il Santo Curato d’Ars è fra questi. La sua vita costituisce in effetti una «catechesi vivente» (Benedetto XVI 2009f). Modello e patrono dei parroci, egli aiuta tutti i fedeli a riflettere sul ruolo del sacerdote. L’epoca in cui è vissuto – un’epoca di crisi che per molti versi continua ancora oggi – e il modo insieme umile e geniale con cui ha contrastato lo spirito del tempo ne fanno una figura che non deve interessare solo ai preti, ma a tutti. Lo stesso Curato d’Ars – e Benedetto XVI lo ricorda – soleva dire ai laici: « Il prete non è prete per sé, lo è per voi» (Benedetto XVI 2009b, che cita Bernard Nodet [a cura di], Le curé d’Ars. Sa pensée - Son cœur, Cerf, Parigi 1996, p. 100). «Lungi allora dal ridurre la figura di san Giovanni Maria Vianney a un esempio, sia pure ammirevole, della spiritualità devozionale ottocentesca, è necessario al contrario cogliere la forza profetica che contrassegna la sua personalità umana e sacerdotale di altissima attualità» (Benedetto XVI 2009f).
Nel 2009 Benedetto XVI ha dedicato diversi interventi al Santo Curato d’Ars, fra cui spiccano – senza essere peraltro gli unici – la Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale, del 16 giugno (Benedetto XVI 2009b), e il discorso all’udienza generale del 5 agosto (Benedetto XVI 2009f), tutto dedicato al santo parroco francese. In questi testi il Pontefice da una parte affronta il tema della crisi del sacerdozio sia ai tempi di San Giovanni Maria Vianney sia ai giorni nostri, nelle sue cause esterne e interne alla Chiesa, dall’altra indica i rimedi a questa crisi che emergono con forza dalla meditazione sulla stessa vita del Santo Curato.
2. La crisi del sacerdozio
a) Cause esterne
La crisi del sacerdozio deriva anzitutto da cause esterne: da un secolare processo di aggressione alla Chiesa da parte delle moderne ideologie che si manifesta oggi, e già si manifestava ai tempi del Curato d’Ars, nel plesso razionalismo-relativismo. «Se allora c’era la “dittatura del razionalismo”, all’epoca attuale si registra in molti ambienti una sorta di “dittatura del relativismo”. Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare appieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo» (Benedetto XVI 2009f).
Si tratta, in realtà, di due tappe dello stesso processo. Il relativismo considera la verità una variabile dipendente da qualche cosa di esterno che di volta in volta la determina. Nel razionalismo, questa variabile è la ragione umana: si afferma, sì, la sua capacità quasi divina di conoscere ma, poiché il risultato dei suoi sforzi di conoscenza cambia di volta in volta, così cambia la verità, che dunque non è mai assoluta ma è sempre relativa. Tramontata con la crisi del razionalismo la fiducia nella ragione, si cade in forme di relativismo aggressivo secondo cui propriamente «non si può conoscere nulla con certezza» (ibid.). Se nulla si può conoscere con certezza, anche la funzione del sacerdote, che è quella di indicare e annunciare certezze ai fedeli, cade.
Senza scrivere trattati di filosofia, ma con la semplice forza del buon senso e della fede cristiana il Curato d’Ars fu un nemico tanto implacabile quanto efficace del razionalismo e del relativismo. In effetti, riuscì a «mostrare che il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile» (ibid.).
b) Cause interne
Il Papa non si nasconde che la moderna crisi del sacerdozio non deriva solo da cause esterne. Ci sono anche cause interne alla Chiesa. Il relativismo e la sfiducia nella capacità di conoscere con certezza la verità sono penetrati anche tra i cattolici. È così entrato in crisi quel «binomio “identità-missione”» (Benedetto XVI 2009e) che è alle radici della figura del sacerdote, il quale ha una missione perché ha un’identità. «Dopo il Concilio Vaticano II, si è prodotta qua e là l’impressione che nella missione dei sacerdoti in questo nostro tempo, ci fosse qualcosa di più urgente; alcuni pensavano che si dovesse in primo luogo costruire una diversa società» (ibid.). La missione discende dall’identità, e la missione è entrata in crisi perché è entrata in crisi l’identità. Il Papa sottolinea che l’identità sacerdotale si fonda sul primato della grazia. Il sacerdote radica la sua identità nel primato della grazia divina, non in un progetto sociale o in un generico umanitarismo. Benedetto XVI lo riafferma con parole fortissime: «a fronte di tante incertezze e stanchezze anche nell’esercizio del ministero sacerdotale, è urgente il recupero di un giudizio chiaro ed inequivocabile sul primato assoluto della grazia divina, ricordando quanto scrive san Tommaso d’Aquino [1225-1274]: “Il più piccolo dono della grazia supera il bene naturale di tutto l’universo” (Summa Theologiae, I-II, q. 113, a. 9, ad 2)» (ibid.).
È importante, per Benedetto XVI, che si comprenda bene questo punto. La crisi interna del sacerdozio è stata scandita dal passaggio da una concezione sacramentale a una meramente funzionale dell’identità del sacerdote. «In un mondo in cui la visione comune della vita comprende sempre meno il sacro, al posto del quale, la “funzionalità” diviene l’unica decisiva categoria, la concezione cattolica del sacerdozio potrebbe rischiare di perdere la sua naturale considerazione, talora anche all’interno della coscienza ecclesiale» (Benedetto XVI 2009d). Citando un brano che egli stesso aveva scritto prima dell’elezione a Pontefice, Benedetto XVI osserva: «Rilevavo in proposito alcuni anni or sono che esistono “da una parte una concezione sociale-funzionale che definisce l’essenza del sacerdozio con il concetto di ‘servizio’: il servizio alla comunità, nell’espletamento di una funzione… Dall’altra parte, vi è la concezione sacramentale-ontologica, che naturalmente non nega il carattere di servizio del sacerdozio, lo vede però ancorato all’essere del ministro e ritiene che questo essere è determinato da un dono concesso dal Signore attraverso la mediazione della Chiesa, il cui nome è sacramento” (J. Ratzinger, Ministero e vita del Sacerdote, in Elementi di Teologia fondamentale. Saggio su fede e ministero, [trad. it., Morcelliana,] Brescia 2005, p. 165). Anche lo slittamento terminologico dalla parola “sacerdozio” a quelle di “servizio, ministero, incarico”, è segno di tale differente concezione» (Benedetto XVI 2009d).
In realtà, commenta il Papa, «non si tratta di due concezioni contrapposte, e la tensione che pur esiste tra di esse va risolta dall’interno» (ibid.). Non si possono opporre annuncio e sacrificio, né si tratta di negare che l’annuncio sia parte essenziale del ministero del sacerdote. Ma nella missione terrena di Gesù Cristo «l’annuncio del Regno di Dio (…) non è solo un “discorso”. Include, nel medesimo tempo, il suo stesso agire: i segni e i miracoli che compie indicano che il Regno viene nel mondo come realtà presente, che coincide ultimamente con la sua stessa persona» (ibid.) e con il suo «mistero di morte e di risurrezione» (ibid.). Lo stesso, analogamente, vale per il sacerdote: «Solo la partecipazione al sacrificio di Cristo, alla sua chènosi, rende autentico l’annuncio!» (ibid.).
La degenerazione funzionalistica che ha proposto un annuncio separato dal sacrificio – dunque, ultimamente, un annuncio ridotto a mero discorso, un falso annuncio – è stata contrabbandata come presunta conseguenza del Concilio Ecumenico Vaticano II. Ma si tratta di un abuso. Per evitarlo «è importante favorire nei sacerdoti, soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa» (Benedetto XVI 2009a). «Urgente appare anche il recupero di quella consapevolezza che spinge i sacerdoti ad essere presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali sia anche per l’abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa» (ibid.).
La presenza in questi ambiti – meglio se con l’abito sacerdotale, in modo che i sacerdoti siano «riconoscibili» (ibid.) – non deve però portare a una confusione fra il ruolo del clero e quello dei laici. Il rischio è sia che i sacerdoti – portando all’estremo la concezione funzionalista – si laicizzino, sia che i laici si clericalizzino: che, anziché svolgere anzitutto la funzione loro propria e conforme alla loro indole secolare di ordinare le cose temporali secondo il piano di Dio, considerino come massima aspirazione e unico contributo alla Chiesa l’occuparsi delle letture alla domenica o il fungere da ministri straordinari dell’Eucarestia, funzioni certo legittime ma in cui non si esaurisce il ruolo del laicato. Si può ricordare come già Papa Giovanni Paolo II (1979-2005) nell’esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici del 1988 avesse denunciato «l’interpretazione arbitraria del concetto di “supplenza”, la tendenza alla “clericalizzazione” dei fedeli laici e il rischio di creare di fatto una struttura ecclesiale di servizio parallela a quella fondata sul sacramento dell’Ordine» (Giovanni Paolo II 1988, n. 23).
Il laicato che si clericalizza è il contrappunto inevitabile al clero che si laicizza. Per evitare il secondo fenomeno, occorre contrastare anche il primo. «È da ricordare, in questo contesto – afferma Benedetto XVI –, il caloroso invito con il quale il Concilio Vaticano II incoraggia i presbiteri a “riconoscere e promuovere sinceramente la dignità dei laici, nonché il loro ruolo specifico nell’ambito della missione della Chiesa…” (Presbyterorum ordinis, 9)» (Benedetto XVI 2009b). Quando si trovano di fronte ai carismi propri dei laici, lungi dal sostituirsi a essi i sacerdoti «“[…] devono ammetterli con gioia e fomentarli con diligenza” (Presbyterorum ordinis, 9)» (ibid.).
3. Rimedi alla crisi del sacerdozio
a. Rinnovata consapevolezza dell’altissimo ruolo del sacerdote
L’antidoto al funzionalismo, causa interna, e al secolarismo relativista, causa esterna della crisi, sta per Benedetto XVI nella rinnovata consapevolezza dell’altissimo ruolo del sacerdote. Su questo punto davvero non ci può essere migliore guida di San Giovanni Maria Vianney. «Il Santo Curato d’Ars manifestò sempre un’altissima considerazione del dono ricevuto. Affermava: “Oh! Che cosa grande è il Sacerdozio! Non lo si capirà bene che in Cielo… […]” (Abbé [Alfred] Monnin, Esprit du Curé d’Ars [Dans ses catéchismes, ses homélies et sa conversation, Téqui, Parigi 1975], p. 113)» (Benedetto XVI 2009f). «Come diceva il santo Curato: “Se si avesse la fede, si vedrebbe Dio nascosto nel sacerdote come una luce dietro un vetro, come un vino mescolato all’acqua” ([B.] Nodet [(a cura di), op. cit.], p. 97)» (Benedetto XVI 2009h).
Il 19 giugno 2009, giorno dell’apertura dell’Anno Sacerdotale e festa del Sacro Cuore di Gesù, Benedetto XVI s’inginocchia in San Pietro davanti alla reliquia del cuore di San Giovanni Maria Vianney. Poco dopo, nell’omelia della Messa, così si esprime: «Poc’anzi ho potuto venerare, nella Cappella del Coro, la reliquia del Santo Curato d’Ars: il suo cuore. Un cuore infiammato di amore divino, che si commuoveva al pensiero della dignità del prete e parlava ai fedeli con accenti toccanti e sublimi, affermando che “dopo Dio, il sacerdote è tutto!... Lui stesso non si capirà bene che in cielo”» (Benedetto XVI, 2009c).
Anche espressioni che possono apparire a prima vista esagerate rappresentano, in realtà, l’agere contra del santo francese nei confronti di una cultura che, anche all’interno della Chiesa, andava e va misconoscendo la grandezza del sacerdozio perché ha perduto il senso delle verità assolute.Il Santo Curato – ricorda Benedetto XVI – «spiegando ai suoi fedeli l’importanza dei sacramenti diceva: “Tolto il sacramento dell’Ordine, noi non avremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest’anima viene a morire [per il peccato], chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote... […]” (in Le curé d’Ars. Sa pensée - Son cœur. Présentés par l’Abbé Bernard Nodet, éd. Xavier Mappus, [collezione] Foi Vivante, [Cerf, Parigi] 1966, pp. 98-99). Queste affermazioni, nate dal cuore sacerdotale del santo parroco, possono apparire eccessive. In esse, tuttavia, si rivela l’altissima considerazione in cui egli teneva il sacramento del sacerdozio. Sembrava sopraffatto da uno sconfinato senso di responsabilità: “Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore... Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a niente. È il prete che continua l’opera della Redenzione sulla terra... Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è lui che apre la porta; egli è l’economo del buon Dio; l’amministratore dei suoi beni... Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie... […]” (ibid., pp. 98-100)» (Benedetto XVI 2009b).
b. Ritorno al primato della vita spirituale
Per riaffermare che l’identità precede e fonda la missione, si tratta allora – spiega il Pontefice – di ritornare al primato, per ogni sacerdote, della vita spirituale. «L’insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d’Ars è che, alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore» (Benedetto XVI 2009f).
San Giovanni Maria Vianney dà ai sacerdoti del suo tempo – e di tutti i tempi – l’esempio della preghiera, ma anche della penitenza. «Egli teneva a freno il corpo, con veglie e digiuni, per evitare che opponesse resistenze alla sua anima sacerdotale. E non rifuggiva dal mortificare se stesso a bene delle anime che gli erano affidate e per contribuire all’espiazione dei tanti peccati ascoltati in confessione. Spiegava ad un confratello sacerdote: “Vi dirò qual è la mia ricetta: dò ai peccatori una penitenza piccola e il resto lo faccio io al loro posto” ([B.] Nodet [(a cura di), op. cit.], p. 189)» (Benedetto XVI 2009b).
Nella vita spirituale che è la fonte e l’origine dell’identità sacerdotale due devozioni, ricorda Benedetto XVI, non possono mancare: quella al Sacro Cuore di Gesù, che il Papa ha voluto legare in modo speciale all’Anno Sacerdotale, e quella alla Madonna. «Il Santo Curato d’Ars, al quale pensiamo particolarmente in quest’anno, amava ripetere: “Gesù Cristo, dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare, vuole ancora farci eredi di quanto egli ha di più prezioso, vale a dire la sua Santa Madre” (B. Nodet, Il pensiero e l’anima del Curato d’Ars, [trad. it., Gribaudi,] Torino 1967, p. 305)» (Benedetto XVI 2009g).
Certamente la dottrina cattolica insegna l’efficacia dei sacramenti ex opere operato: anche i sacramenti celebrati da un ministro senza vita spirituale o perfino indegno sono validi. Ma questa dottrina, che pure a scanso di equivoci va ricordata, non significa affatto che la qualità del sacerdote sia indifferente. «Non si tratta certo di dimenticare che l’efficacia sostanziale del ministero resta indipendente dalla santità del ministro; ma non si può neppure trascurare la straordinaria fruttuosità generata dall’incontro tra la santità oggettiva del ministero e quella soggettiva del ministro» (Benedetto XVI 2009b).
c. Ritorno al primato dell’Eucarestia e della confessione
Benché la missione del sacerdote, fondata sulla sua identità, si estenda a molteplici campi, in una cultura che rischia di dimenticarlo Benedetto XVI sottolinea che al centro di questa missione ci sono due sacramenti per cui il sacerdote è indispensabile e senza i quali propriamente non si dà vita cristiana: l’Eucarestia e la confessione. Il Santo Curato d’Ars anche su questo punto è davvero una «catechesi vivente» (Benedetto XVI 2009f). «“La felicità che vi è nel dire la messa si comprenderà solo in cielo” scriveva ([B.] Nodet [(a cura di), Le curé d’Ars. Sa pensée - Son cœur, cit.], p. 104) […] Il santo d’Ars scriveva: “Il sacerdote deve provare la stessa gioia (degli apostoli) nel vedere Nostro Signore che tiene fra le mani” (Ibidem) » (Benedetto XVI 2009h). Questo mistero sacerdotale è insieme terribile e meraviglioso. «Il santo Curato d’Ars ripeteva spesso con le lacrime agli occhi: “Come è spaventoso essere prete!”. Ed aggiungeva: “Come è da compiangere un prete quando celebra la Messa come un fatto ordinario! Com’è sventurato un prete senza vita interiore!”» (Benedetto XVI 2009d). «“Tutte le buone opere riunite non equivalgono al sacrificio della Messa, perché quelle sono opere di uomini, mentre la Santa Messa è opera di Dio” ([B.] Nodet [(a cura di), Le curé d’Ars. Sa pensée - Son cœur, cit.], p. 105), diceva. Era convinto che dalla Messa dipendesse tutto il fervore della vita di un prete: “La causa della rilassatezza del sacerdote è che non fa attenzione alla Messa! Mio Dio, come è da compiangere un prete che celebra come se facesse una cosa ordinaria!” (ibidem)» (Benedetto XVI 2009b).
Eucarestia, dunque: e confessione. «Questa immedesimazione personale al Sacrificio della Croce lo conduceva – con un solo movimento interiore – dall’altare al confessionale. I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli nei riguardi di questo sacramento» (ibidem) Né si dica, aggiunge Benedetto XVI, che ormai la battaglia per la confessione è perduta e che, per quanto i sacerdoti li incitino, oggi i fedeli non si confessano più. La sociologia e la storia mostrano che in altri tempi le condizioni non erano più facili, e fanno giustizia di questo argomento che può servire da alibi. La confessione ha passato altre crisi, da cui sacerdoti santi sono stati capaci di farla uscire. «Al tempo del Santo Curato, in Francia, la confessione non era né più facile, né più frequente che ai nostri giorni, dato che la tormenta rivoluzionaria aveva soffocato a lungo la pratica religiosa. Ma egli cercò in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai suoi parrocchiani il significato e la bellezza della Penitenza sacramentale, mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica. Seppe così dare il via a un circolo virtuoso» (ibidem). Dunque, superando scoraggiamenti e alibi più o meno storicisti – quasi che i sacramenti potessero venire o passare di moda –, «dal Santo Curato d’Ars noi sacerdoti possiamo imparare […] un’inesauribile fiducia nel sacramento della Penitenza che ci spinga a rimetterlo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali» (ibidem).
Il frutto di una vita sacerdotale radicata in una spiritualità seria e profonda e che metta al centro l’Eucarestia e la confessione non è solo una rinnovata e forte consapevolezza dell’identità del sacerdote. È anche una riscoperta della gioia della vita cristiana, sia per i preti sia per i laici. «La religione del Curato d’Ars è una religione della felicità, non una ricerca morbosa della mortificazione, come a volte si è creduto: “La nostra felicità è troppo grande; no, no, non lo capiremo mai” ([B.] Nodet [(a cura di), Le curé d’Ars. Sa pensée - Son cœur, cit.], p. 110), diceva. O ancora: “Quando siamo in cammino e vediamo un campanile, questa visione deve far battere il nostro cuore come quella della casa dove dimora il suo amato fa battere il cuore della sposa” (Ibidem)» (Benedetto XVI 2009h).
Riferimenti
Benedetto XVI. 2009a. Ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero (16 marzo 2009) – Indizione dell’Anno Sacerdotale.
Benedetto XVI. 2009b. Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale in occasione del 150° anniversario del «dies natalis» di Giovanni Maria Vianney (16 giugno 2009).
Benedetto XVI. 2009c. 19 giugno 2009 – Apertura dell’Anno Sacerdotale. Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù: Omelia del Santo Padre Benedetto XVI.
Benedetto XVI. 2009d. Udienza Generale, 24 giugno 2009, Anno Sacerdotale.
Benedetto XVI, 2009 e. Udienza Generale, 1° luglio 2009, Anno Sacerdotale (2).
Benedetto XVI. 2009f. Udienza Generale, 5 agosto 2009, San Giovanni Maria. Vianney, il Santo Curato d’Ars.
Benedetto XVI. 2009g. Udienza Generale, 12 agosto 2009, Maria Madre di tutti i Sacerdoti.
Benedetto XVI. 2009h. Videomessaggio ai partecipanti al Ritiro Sacerdotale Internazionale [Ars, 27 settembre - 3 ottobre 2009] (28 settembre 2009).
Giovanni XXIII. 1959. Lettera enciclica Sacerdotii nostri primordia, nel primo centenario del piissimo transito del Santo Curato d’Ars, del 1° agosto 1959.
Giovanni Paolo II. Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici su vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, del 30 dicembre 1988.