CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne
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Liberato De Vita - Luca Frezza - Alessandro Iovino, "La Missione Evangelica Zigana - Una minoranza italiana" (Guida, Napoli 2008) - Presentazioni di Massimo Introvigne, Paolo Ricca e Domenico Maselli

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Presentazione

La pubblicazione di questo lavoro sulla Missione Evangelica Zigana in Italia, curato da Alessandro Iovino, rappresenta un autentico evento culturale. Nel proporre quest’affermazione mi rendo conto che oggi con troppa facilità si annunciano eventi culturali quasi a ogni piè sospinto, rendendo difficile all’opinione pubblica distinguere fra autentiche innovazioni nel mondo della cultura e semplice retorica di circostanza.

Tuttavia la valutazione a mio avviso va mantenuta, e da due punti di vista. Anzitutto nell’ampia discussione che si è sviluppata sui Sinti e i Rom in Italia l’elemento religioso – tanto più quando riguarda, come in questo caso, le minoranze religiose – è stato ampiamente trascurato. La bibliografia si riduce a qualche articolo, seppure pregevole. In realtà considerare la cultura di queste popolazioni a prescindere dall’elemento religioso che le pervade non ha molto senso: si rischia di limitarsi a ripetere luoghi comuni che nascono spesso da un’informazione insufficiente. Talora sembra che discutere della religione dei Sinti e dei Rom distolga da un dibattito tutto incentrato sulla criminologia e sulle misure di prevenzione dei reati commessi da alcuni esponenti di queste antiche etnie: misure, sia detto subito, che cercano di risolvere, più o meno felicemente a seconda dei tempi e dei luoghi, un problema di ordine pubblico assolutamente reale e cui è necessario che i governi diano puntuali risposte. E tuttavia – giacché tutti sono d’accordo sul fatto che anche la risposta alla devianza non può essere soltanto repressiva, ma dev’essere necessariamente anche preventiva – non si può non chiedersi se l’adesione «forte» di popolazioni Sinti e Rom alla religione sia parte del problema o parte della soluzione.

Non manca chi, di fronte a queste adesioni, e a fenomeni come quello del successo pentecostale tra i Sinti e Rom italiani ed europei – che, come il testo mostra, porta con sé una modifica di abitudini radicate –, si chiede se abbracciare una fede forte e viva non comporti una perdita, potenzialmente distruttiva, delle proprie identità e delle proprie tradizioni. Si pone così un problema reale, che tuttavia non può essere disgiunto da un’altra domanda: tutti gli usi tradizionali dei Sinti e dei Rom meritano di essere conservati? O alcuni determinano fatalmente, nel contesto odierno, incomprensioni e scontri con la popolazione maggioritaria? Tradizione non è tutto il passato, ma solo il passato che merita di permanere nel presente e diventare futuro. Soltanto un relativismo estremo – lo stesso che protesta quando popolazioni di isole remote si convertono al cristianesimo, magari diventando così meno interessanti per gli antropologi … e per i turisti – esclude che la rinuncia a determinati usi possa, in certe circostanze, costituire uno sviluppo.

Sono problemi che, naturalmente, non possono essere studiati in astratto, ma vanno verificati caso per caso tramite ricerche sul campo. Di qui l’estremo interesse di questo volume, che peraltro apre un campo di ricerca dove saranno necessari ulteriori approfondimenti, anche di carattere più strettamente sociologico.

Ma vi è anche un secondo senso in cui lo studio curato da Alessandro Iovino è particolarmente degno di nota. Si tratta infatti, insieme ad altri lavori già pubblicati o in fieri, del frutto maturo di una ricerca che, con la collaborazione di non pentecostali, viene dall’interno del movimento pentecostale italiano il quale, ben lungi dal rimanere ai margini della vita accademica e della ricerca oggi ha nel suo seno i suoi studiosi e i suoi specialisti, giovani certo ma promessi a una brillante carriera. Certo, qualcuno ci dirà che l’accostamento «religionista» o emic e l’atteggiamento «di studio» o etic sono sempre e per definizione diversi. Uso qui una terminologia che lo storico delle religioni olandese Wouter Hanegraaff, con cui da anni mantengo un dialogo sul punto, sviluppa sulla scorta del linguista statunitense Kenneth Lee Pike (1912-2000). L’aggettivo etic non va assolutamente confuso con ethic, «etico». Etic è un neologismo coniato da Pike sulla base di phonetics, «fonetica», ed è intraducibile in italiano (così come non è traducibile emic). La descrizione emic di un fenomeno si pone dal punto di vista dell’attore sociale; la descrizione etic, da quello di un osservatore esterno. Hanegraaff non ne conclude che — secondo una comune fallacia o presunzione delle scienze sociali — l’accostamento etic debba essere considerato necessariamente più «vero» del materiale emic che lo studioso interpreta. Nessuna interpretazione può avere l’ultima parola.

Le teorie delle scienze sociali devono avere l’umiltà necessaria per confrontarsi continuamente (e non solo dire che si stanno confrontando) con la «materia prima» emic, pena il rischio di «girare a vuoto». Se non lo fanno, finiscono per rappresentare soltanto se stesse anziché descrivere e interpretare fenomeni che esistono davvero, «là fuori», sia pure, come tipicamente fanno le teorie, attraverso una forma di rappresentazione non «figurativa» che talora, secondo una metafora del filosofo italiano Enrico di Robilant, è semmai più vicina all’astrattismo.

Gli attori sociali — tanto più quelli religiosi — devono forse, dal canto loro, riconoscere la legittimità dello sforzo etic di rappresentare e spiegare i loro sforzi analizzandoli con categorie che non sono le loro, prendere da questi sforzi quanto può servire e per il resto andare tranquillamente per la propria strada.

Ma perché questo fecondo interscambio – che nel campo delle scienze sociali della religione appare particolarmente necessario – sia possibile è necessario che alcuni studiosi siano «bilingui», sappiano cioè parlare sia il linguaggio della comunità scientifica sia quello degli attori sociali oggetto della loro ricerca. Negare a questi studiosi «bilingui» diritto di cittadinanza nella comunità delle scienze sociali che si occupano di religione significa, come ha notato Rodney Stark, riservare lo studio scientifico delle religioni alle sole persone non religiose o addirittura anti-religiose: sarebbe come, afferma il sociologo americano, se dello studio dell’aviazione si potesse occupare soltanto chi ha paura di volare o non ha mai preso un aereo.

Ben venga, dunque, una riflessione su esperienze pentecostali come quella della Missione Evangelica Zigana da parte di autori che nel mondo pentecostale italiano sono cresciuti e vivono. Certo, essi non si nascondono le difficoltà del cammino che hanno deciso d’intraprendere, ed è possibile che alcune delle loro metodologie debbano essere affinate nel dialogo con studiosi che si pongono da una prospettiva esclusivamente etic. Ma è nel corso di questo cammino che molti problemi potranno essere risolti.

Massimo Introvigne
Direttore CESNUR

Prefazione

Chiedete a una persona qualunque chi sono gli «zingari» 1 . Non lo sa. Non lo vuole sapere. Nessuno vuole sapere nulla di loro, perché nessuno li vuole, neppure se sono italiani, italianissimi. Italiani o stranieri, sono «zingari». Nessuno vuole avere gli «zingari» nelle vicinanze. Il desiderio generale è che se ne vadano al più presto, che scompaiano dal nostro orizzonte e tornino nella immaginaria no man’s land dalla quale provengono. Ma i Sinti e i Rom (questi sono i nomi dei due maggiori gruppi di «zingari» presenti in mezzo a noi - «Rom» tra l’altro vuol dire, secondo molti studiosi, «uomo», mentre il significato di «Sinti» è incerto) – i Sinti e i Rom, dicevo, non vengono da un’immaginaria «terra di nessuno», bensì – secondo la tesi più accreditata sulla loro origine – provengono nientemeno che dalla nobile terra dell’India. La loro lingua infatti appartiene alla famiglia indoeuropea.

Il saggio storico curato da Alessandro Iovino che apre questo volume, dedicato alle vicende spesso drammatiche di questo popolo, rievoca, sia pure per sommi capi, una storia due volte millenaria per lo più sconosciuta, per non dire volutamente ignorata, colmando così un vuoto di memoria europea che ha avuto e può continuare ad avere conseguenze nefaste. Ripercorro qui alcuni momenti salienti di questa storia.

Intorno all’anno 1000 avanti Cristo i Sinti e i Rom emigrarono verso Occidente e soggiornarono a lungo in terre nelle quali si parlava greco, che ha lasciato molte tracce nella loro lingua. L’Europa sudorientale è diventata una loro seconda patria, mentre l’indole itinerante di questo popolo è dovuta anche al fatto che esso veniva spesso cacciato dai luoghi in cui avrebbe voluto fissare la sua dimora. Non tutti i Sinti e Rom sono nomadi. Ve ne sono anche di sedentari. Il nomadismo in loro non è innato; non poche volte è stato subìto.

L’Europa cristiana è stata matrigna con loro 2 . Nel Medioevo sono sorte leggende sul loro conto, come quella secondo cui  essi sarebbero discendenti di Caino, o quella secondo cui sarebbero stati loro a forgiare i chiodi utilizzati per crocifiggere Gesù. Si è quindi sviluppato nei loro confronti un atteggiamento di sospetto, rigetto e discriminazione simile a quello esistente nei confronti degli Ebrei. La figura dello «zingaro nomade» e quella dell’«ebreo errante» si sono sovrapposte. In diversi luoghi furono accusati di paganesimo, oppure di praticare la magia, e in generale li si considerò soggetti asociali. Le prime condanne a morte di «zingari» di cui ci è giunta notizia risalgono al 1456 in Francia. Nel 1498 la Dieta imperiale li dichiarò «fuorilegge» e come tali potevano essere uccisi impunemente. Legislazioni di questo genere rimasero in vigore in molti Stati europei fino al XVIII secolo e, in qualche caso, fino al XX.

Ma il XX secolo è quello del loro genocidio, perpetrato dalla Germania nazista, con circa 500.000 vittime, eliminate nei campi di sterminio. Una circolare del 1942, destinata alla polizia e all’esercito tedesco, affermava: «Gli Zingari costituiscono in generale un fattore di insicurezza e quindi sono un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza. A motivo della loro indole interiore e del loro atteggiamento esteriore uno Zingaro non può essere un membro utile della società». Nei piani del nazismo, la «soluzione finale», cioè l’annientamento fisico dell’intero popolo ebraico, doveva valere anche per Sinti e Rom. Non è un caso che nel 1940 il gas «Zyklon B» che venne poi largamente utilizzato per lo sterminio di milioni di esseri umani (ebrei in primo luogo, poi «zingari», omosessuali e oppositori politici e religiosi del nazismo), venne sperimentato per la prima volta su 250 bambini Rom, che ne furono le prime vittime.

È solo dopo la fine della seconda guerra mondiale che, sia pure molto faticosamente, si è cominciato in vari paesi a porsi il problema dei diritti umani da far valere anche nei confronti dei Sinti e dei Rom.

Sul piano religioso, il quadro è variegato. La maggioranza è cattolico-romana, con settori che praticano una intensa pietà mariana collegata ad alcuni santuari: particolarmente frequentato è quello di Saintes-Maries-de-la-Mer, meta di molti pellegrinaggi. Esistono poi cospicui gruppi di fede evangelica, come pure, nell’Europa sudorientale, di fede ortodossa. Nei paesi musulmani, la maggioranza dei Sinti e dei Rom è musulmana.

Sono dunque due i contesti nei quali va collocato il lavoro curato da Alessandro Iovino su laMissione Evangelica Zigana per coglierne il valore. Il primo è quello di un popolo antico e singolare, che ha resistito attraverso i secoli a tutti i tentativi di omologazione e assimilazione e la cui lunga storia è stata intessuta anche di marginalità e discriminazione che il lavoro curato da Iovino contribuirà senz’altro a superare. Il  secondo è quello di un popolo la cui vita religiosa è caratterizzata da un notevole pluralismo, al cui interno acquista meritatamente un rilievo particolare la Missione Evangelica Zigana.

Paolo Ricca
Docente Emerito
Facoltà Valdese di Teologia

Introduzione

E’ per me un piacere e un onore introdurre il saggio La Missione Evangelica Zigana: una minoranza italiana a curadi Alessandro Iovino.

Mi pare uno scritto molto interessante e di grande attualità. In primo luogo rappresenta un interessante tassello della storia del protestantesimo italiano contemporaneo. In secondo luogo pare sfatare molte convinzioni preconcette nei riguardi dei Rom che vivono nel nostro paese. Riguarda, infatti, una comunità di Sinti italiani, che possono risalire ad antenati già viventi in Italia nel XV secolo, che hanno cittadinanza italiana e che in maggioranza appartengono a cooperative che comprano e raccolgono materiale ferroso e lo vendono in territori molto bene delimitati spesso corrispondenti agli antichi stati preunitari, senza uscire dalla nazione. Hanno anche spesso situazioni economiche agiate e traggono dalla fede evangelica stimolo per l’astensione dal furto, accattonaggio e altre pratiche illecite. Anche il loro aspetto esteriore corrisponde a carattere di piena normalità, ciononostante in questo momento storico essi trovano difficoltà di integrazione nel nostro popolo. Il libro sottolinea come questa comunità si sforzi di mantenere i caratteri della propria identità spirituale, in primo luogo seguendo i dettami del credo evangelico secondo l’interpretazione pentecostale che viene chiaramente espressa. In secondo luogo mantengono la propria caratteristica di cultura Sinti, coltivando la lingua romanès, in casa, mantenendo le abitudini patriarcali, il nomadismo pur con aspetti ormai chiari di sedentarietà come il percorrere itinerari noti e appoggiarsi a basi costanti.

Infine essi si sentono italiani e vorrebbero essere riconosciuti come tali, pur portando note distintive particolari. Da questo punto di vista è da notare lo sforzo di scolarizzare i figli almeno per la scuola dell’obbligo e la stessa adesione della Missione alle Assemblee di Dio in Italia, chiesa che gode dell’Intesa con lo Stato, secondo quanto previsto dal III comma dell’articolo 8 della Costituzione.

Perciò il libro lancia un giusto appello alle autorità e alla società italiana. Al di là dei diritti generali spettanti a tutti i Rom, anche se stranieri, i Sinti italiani presenti nel paese da più di 500 anni, forniti di cittadinanza italiana rivendicano la loro perfetta uguaglianza con gli altri appartenenti alla nostra nazione e chiedono che valga per loro l’articolo 6 della Costituzione che riconosce le minoranze linguistiche presenti sul territorio della Repubblica. Inoltre la Missione Evangelica Zigana chiede di poter godere di fatto quella libertà di culto e di propaganda religiosa che la Costituzione riconosce a tutti i cittadini e che inoltre è esplicitata nell’Intesa tra il governo e le ADI a cui aderiscono. In particolare chiedono che venga riconosciuto il diritto a usare per i propri convegni gli spazi da tempo identificati nei vari centri italiani e utilizzati in altri giorni per manifestazioni di fiere e mercato. Vi è poi in questo libro la storia della Missione dai suoi inizi in Francia nell’ultimo dopoguerra per arrivare poi in Italia nella metà degli anni Ottanta. Si apprende così che tra i fondatori vi sono anche evangelici di altre denominazioni (valdesi, battisti salutisti) e che, pur non raggiungendo l’estensione dell’analoga istituzione francese raggiunge alcune migliaia di aderenti e estende la sua opera anche tra i cittadini sedentari, con cui i suoi membri hanno contatto anche nel corso degli affari. Se il mondo protestante è noto per l’amore per la musica e il canto, questi Sinti evangelici sviluppano nei loro riti la musica tradizionale zigana a cui è riservato un capitolo del libro. Concludendo raccomando la lettura di questo libro nella speranza che possano cadere dei tabù diffusi nel nostro popolo e spesso ingiusti per tutti i Rom, ma addirittura inspiegabili se rivolti a chi lavora per l’integrazione dei propri simili e per fare loro accettare quell’Evangelo che è Parola di grazia e di rinnovamento morale, sociale e spirituale.

Speriamo che la conoscenza di questa esperienza possa contribuire a togliere pregiudizi e a rendere più serena l’atmosfera della nostra nazione in questo inizio di millennio e a riconoscere a tutti i cittadini italiani uguali diritti cui corrispondano uguali doveri.

Domenico Maselli
Presidente F.C.E.I.

 

 

  «Zingaro» è un termine da bandire perché è – come dice giustamente Alessandro Iovino nella Premessa a questo volume - «retaggio di pregiudizio e negatività» - proprio come, in altro contesto, il termine «negro», anch’esso da bandire.

  Diverse informazioni qui riferite si trovano nella voce «Sinti und Roma» della Theologische Realenzyklopädie.