“Schtroumpf” in fiammingo, “Smurfs” in inglese, “Barrufets” in catalano: in 50 anni di vita i Puffi sono stati tradotti in 25 lingue diverse, arabo compreso. Inventori di un linguaggio nuovo (“puffiamo?”), hanno trasformato l’amanita muscaria in un rifugio sicuro e il loro colore cianotico nell’inimitabile “blu puffo”.
Disegnati nel 1958 dal fumettista belga Pierre Culliford, detto Peyo, sono diventati icona pop dopo la serie animata prodotta da Hanna & Barbera, studiati persino dagli antropologi. Creature sataniche, reincarnazioni dei saggi della Nuova Atlantide di Bacon, specchio di un kolchoz comunista, con l’inno dell’Urss camuffato dal tipico canticchiare “ la la lala lala la lalalala”. Umberto Eco nel 1979 scriveva per “Alfabeta” il saggio Schtroumpf und Drang, dove definiva le storie dei Puffi “deliziose, piene di humour, quasi educative”. Nel 2005 lo studioso di scintoismo Antonio Soro pubblicava il libro “I Puffi, la “vera” conoscenza e la massoneria”, sostenendo la teoria della comunità massonica. “È stato un fenomeno pensato per bambini che ha immediatamente catturato l’interesse degli adulti”, dice il sociologo Massimo Introvigne, che del libro di Soro ha firmato la prefazione. “Su quella comunità coesa si sono interrogati studiosi alle prese con la frammentazione della società moderna. Ma la teoria massonica è divertissment intellettuale, poiché i Puffi sono nati da una scuola di fumettisti belgi cattolici”.
Valore estetico e rimandi con le degenerazioni della società contemporanea: i due elementi hanno decretato il successo mondiale del personaggio di Peyo. “Lo stile è quello della ligne claire: tratto limpido e netto, con uno sfondo molto curato. Nell’epoca dei manga giapponesi creati al computer, i Puffi introducevano un senso estetico che anche i bambini sapevano riconoscere”, dice Introvigne. Il villaggio dove tutto scorre tranquillo, eccezione fatta per le incursioni dello stregone Gargamella; le mansioni affidate e tramandate senza lotte di potere; la comunità governata da un vecchio saggio; il rispetto per le minoranze, rappresentate da Puffetta. “Tutti questi elementi hanno avuto grande presa sociale, soprattutto nel momento di anomia determinata dal passaggio dalla società tradizionale a quella individuale. Dopo il 1968 si è passati ad una forma di società a coriandoli, con individui consapevoli dei propri diritti ma incapaci di sviluppare un senso di comunità. I Puffi hanno rappresentato un passato mitologico, un modello di civiltà parrocchiale di cui si aveva grande nostalgia, ma che era impossibile ricreare. Oggi i Simpson hanno lo stesso valore di denuncia sociale, ma funzionano al contrario: il villaggio è quello disfunzionale contemporaneo, con tutte le sue schizofrenie”. Mentre la famiglia americana di Matt Groening soccombe alla politica e alla corruzione, i Puffi trionfano sempre. “Vincono perché fanno squadra, mentre Gargamella impersona l’individuo assoluto contemporaneo, che vicino ha solo un gatto infido”.