La cronaca brucia i suoi eroi in poche settimane. A distanza di un anno, chi si ricorda più di Ariel Toaff, che infiammò le pagine culturali dei giornali italiani nel febbraio 2007? Lo storico israeliano – figlio del più famoso rabbino d’Italia, Elio Toaff – aveva pubblicato presso il Mulino un volume, Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali, in cui ritornava sull’“accusa del sangue”, l’antica accusa mossa agli ebrei di sacrificare ritualmente bambini cristiani per cibarsi del loro sangue a Pasqua. Sull’argomento esisteva già un’ampia letteratura, che nella sua dimensione accademica considerava l’“accusa del sangue” un mito folklorico popolare privo di consistenza storica, utilizzato da diverse forme di antigiudaismo e antisemitismo per i loro rispettivi fini. Ariel Toaff sosteneva invece – a partire non dalla scoperta di nuovi documenti, ma da una rilettura dei documenti da anni noti del caso più celebre e dibattuto, quello del piccolo Simone che sarebbe stato ucciso ritualmente da ebrei a Trento nel 1475 – che alcuni gruppi di ebrei ashkenaziti avrebbero effettivamente praticato “rituali di sangue” cibandosi del sangue di fanciulli cristiani uccisi.
Dal momento che l’“accusa del sangue” ha certamente avuto un ruolo centrale nella costruzione di tutti gli antisemitismi, compresi quello nazista e quello recente dell’ultra-fondamentalismo islamico, si comprende come l’opera di Toaff abbia sollevato polemiche feroci, che hanno indotto lo storico a ritirare il volume dal commercio e ora, nel marzo 2008, a pubblicarne una seconda edizione ampiamente rivista. Che cosa si rimproverava a Toaff? Si possono elencare tre critiche principali. La prima è che il suo libro avrebbe fatalmente alimentato l’antisemitismo, compreso quello oggi più aggressivo di matrice ultra-fondamentalista islamica, che ha il suo principale (ma certo non unico) campione nel presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, Mahmud Ahmadinejad. La seconda metteva in luce che – precisamente in quanto non aveva lavorato su nuovi documenti, ma solo sull’interpretazione di documenti noti – la nuova lettura dei testi da parte di Toaff era inficiata da un errore metodologico. Richiamandosi allo storico Carlo Ginzburg (che da parte sua avrebbe poi stroncato Pasque di sangue in una recensione, imputando al volume una fondamentale incomprensione del suo metodo, e stigmatizzandolo come “libro pessimo”, esempio di “superficiale irresponsabilità”), Toaff sosteneva che non tutto quanto è confessato sotto tortura è necessariamente falso. Mentre tutti gli storici hanno liquidato come fasulle le confessioni degli ebrei di Trento perché estorte sotto tortura, Toaff – citando le tesi di Ginzburg a proposito dei processi per stregoneria – affermava che la tortura di per sé non esclude che molte cose che gli accusati affermano siano vere. Prendendo per buone affermazioni estorte sotto tortura, Toaff arrivava a concludere che certo non “gli ebrei” in genere, ma alcuni gruppi di ebrei ashkenaziti dediti a superstizioni intorno al sangue e al suo uso rituale si erano in effetti resi colpevoli dei crimini loro imputati.
La terza critica era che, nel giungere a queste conclusioni, Toaff ignorava non solo i lavori di molti storici ma un’ampia serie di documenti e indagini sull’“accusa del sangue” che si situano fra il 1247 e il 1760 della Chiesa cattolica – non solo poco sospetta di volere difendere comunque e per principio gli ebrei, ma particolarmente ben situata per indagare sul problema –, i quali concludono, per usare le parole del Papa Beato Gregorio X (1210-1276) nella sua bolla del 7 ottobre 1272, che si tratta di accuse “falsissime”, “stupide” e “incredibili”. Benché ora Toaff consideri le mie critiche particolarmente “malevole”, mi ero del tutto astenuto dall’intervenire sul primo tema: di per sé, la verità storica resta tale che faccia comodo o meno ad Ahmadinejad, ferma la ripugnanza che destano le provocazioni antisemite del presidente iraniano. Sul secondo, le mie considerazioni sono molto simili a quelle della maggioranza degli storici italiani e stranieri che sono intervenuti sul tema. Il terzo punto è stato sollevato quasi solo dal sottoscritto.
Non volendo ricambiare l’antipatia che a più riprese mi testimonia Toaff nella nuova come nella vecchia versione di Pasque di sangue, dico subito che la seconda edizione ha un grande merito. Di rado – tanto più nel giro di un solo anno – un accademico ha il coraggio di rovesciare completamente una tesi, prendere atto delle critiche e sostenere il contrario di quanto aveva affermato in precedenza. Toaff ha questo coraggio, che non è segno di debolezza ma di buon senso e onestà intellettuale. Non solo lo storico israeliano aumenta l’uso del condizionale e dei “forse” (che per la verità era già ampio nella prima edizione), ma le conclusioni dell’opera sono oggetto di quello che il filosofo cattolico Augusto Del Noce (1910-1989), che amava questa espressione, avrebbe chiamato “un rovesciamento”. Chi afferma che Toaff tra la prima e la seconda edizione continua a sostenere le stesse tesi o non ha letto la seconda edizione, o non ha letto la prima, o ancora ha trascurato di confrontarle. Ora Toaff ci dice di “non avere dubbio alcuno sul fatto che i cosiddetti ‘omicidi e infanticidi rituali’ siano da relegarsi al rango di miti e non di riti effettivamente praticati dalle comunità ebraiche”: “l’omicidio rituale è e rimane uno stereotipo calunnioso” (pp. 363-364). Toaff spiega che in alcuni riti minoranze superstiziose all’interno del mondo ebreo ashkenazita utilizzavano in effetti sangue di minori non ebrei: ma questo sangue era ottenuto da “interessati ‘donatori’ vivi e vegeti e per lo più appartenenti a famiglie indigenti”. Queste minoranze non uccidevano fanciulli cristiani ma compravano qualche goccia di sangue dei figli da famiglie cristiane povere. Si tratta di un’ipotesi nuova rispetto al volume precedente, che depotenzia l’“accusa del sangue” riducendola da furia omicida a commercio del sangue ottenuto da “donatori” poveri tramite una sorta di AVIS illegale e a pagamento. Resta sì l’accusa sgradevole ad alcuni ebrei di assumere sangue (dei “donatori”), che a me continua a sembrare ampiamente gratuita in quanto l’ipotesi ingegnosa dell’esistenza di una rete di “donatori” continua a essere sprovvista di prove convincenti. Ma “tra questo sangue essiccato” (comprato) e i “presunti omicidi rituali non esisteva rapporto alcuno se non nella mente dei giudici” (p. 365). È possibile che “in qualche caso azioni criminali” contro ragazzi cristiani siano state compiute per vendetta da ebrei memori delle persecuzioni subite dalla maggioranza cristiana, e coperte da “rozze messinscene rituali”: ma questo non c’entra veramente con l’“accusa del sangue”, e in ogni caso per concludere che sia andata così abbiamo solo il “problematico conforto” di confessioni “estorte con la violenza delle torture e dei tormenti, la cui veridicità rimane tutta da dimostrare” (p. 364).
Il ringraziamento ad Ariel Toaff per avere sottratto a molti suoi improvvidi sostenitori – che ora certo strilleranno che la ritrattazione è stata a sua volta “estorta con la violenza delle torture e dei tormenti”, almeno morali, allo storico – un argomento che, mentre rovesciava cinquant’anni di storiografia accademica, dava una qualche dignità scientifica a farneticazioni antisemite sul tema come quelle tuttora diffuse dai governi siriano e iraniano e dagli Hezbollah libanesi, è cordiale e sincero. Si potrebbe chiudere qui la controversia, concludendo che molto rumore si è fatto per nulla. È senz’altro la conclusione più opportuna del “caso Toaff” nella sua dimensione giornalistica. Dal punto di vista scientifico, quanto lo storico ha ritenuto di aggiungere in tema di metodologia nella seconda edizione richiede invece qualche commento.
Anzitutto, se pure è psicologicamente comprensibile, è fattualmente inesatto sostenere, come fa ora Toaff, che la seconda edizione comporti “lievi modifiche” per evitare “interpretazioni errate e fuorvianti” (p. 5), attribuite ad “alcuni studiosi”, mentre “le ipotesi di fondo avanzate nella prima edizione rimangono le stesse” (p. 6). Per fortuna non è così, ed è sufficiente rileggersi la prima edizione (ritirata dal commercio ma disponibile in qualche biblioteca e perfino su Internet, grazie alla cattiva volontà di qualche antisemita). In quella prima edizione si affermava che, certo, solo una minoranza – non, però, piccolissima né irrilevante – di ebrei ne erano stati responsabili, ma gli omicidi rituali che fondavano l’accusa del sangue si erano per davvero verificati. Passare dai fanciulli cristiani sacrificati della prima edizione ai “donatori vivi e vegeti” della seconda non è una “lieve modifica” (dopo tutto fra un prelievo di sangue e un omicidio una certa differenza c’è), come non lo è la trasformazione dei minuziosi rituali elaborati da rabbini per omicidi di cui del 2007 si diceva che – per quanto in un’area geografica limitata – erano davvero avvenuti, nelle “rozze messinscene rituali” del 2008 per coprire semplici attività criminali la cui reale esistenza peraltro “rimane tutta da dimostrare”. C’è forse bisogno ancora di uno sforzo per non avere paura di avere coraggio. Forse per questo continua a mancare ogni riferimento all’ipotesi alternativa sul caso di Trento, accolta dalla maggioranza degli storici: quella di una montatura ai danni della comunità ebraica orchestrata per ragioni di risentimento e d’interesse,
Più importanti – dal mio punto di vista – sono le risposte di Toaff nella seconda edizione alle due critiche più sopra citate di avere male applicato la metodologia di Carlo Ginzburg e di avere ignorato le indagini e i documenti della Chiesa cattolica. Sul primo punto, Toaff da una parte accusa lo stesso Ginzburg di avere cambiato idea nel corso della sua carriera sul tema delle confessioni estorte sotto tortura, dall’altra nota che in altri casi diversi dall’omicidio rituale – per esempio nei processi ai marranos, ebrei convertiti al cattolicesimo in Spagna ma accusati di avere simulato la conversione – gli stessi autori che hanno criticato Pasque di sangue si servono regolarmente di materiale acquisito tramite confessioni sotto tortura per ricostruire un ambiente e il suo folklore. Sul fatto che almeno in parte il materiale acquisito mediante la tortura sia utilizzabile dallo storico, Toaff invoca gli interventi a sua difesa sul caso Pasque di sangue di due storici di matrice cattolica, Franco Cardini e Roberto de Mattei (messa a confronto con gli scritti dei quali risalta – sembra di capire – la particolare “malizia” del sottoscritto).
Sembra però qui che Toaff – un cui reale difetto (già emerso nella prima edizione, e non corretto neppure su punti specifici, quali nomi e date, che gli erano stati segnalati) è la lettura frettolosa dei suoi critici – non abbia completamente afferrato di che cosa si sta parlando. Ginzburg, che sul punto non ha cambiato idea, non sostiene affatto che tutto quanto è affermato da imputati sotto tortura sia falso e inutilizzabile dagli storici. Né lo penso io (che non sono uno storico, ma ho qualche competenza di carattere sociologico su come si formano i miti calunniosi ai danni di minoranze religiose), così che su questo punto non c’è reale dissenso con de Mattei e Cardini – e neppure con Toaff. Certamente i verbali degli interrogatori resi sotto tortura vanno letti, e ci insegnano molte cose. Era la lezione di Ginzburg nel suo libro sui cosiddetti benandanti del Friuli, che Toaff ha ragione di difendere.
La questione però è un’altra: dopo avere convenuto che ha torto chi dice che le testimonianze rese sotto tortura sono inutili e devono essere semplicemente buttate via, dobbiamo effettuare un altro “rovesciamento” e concludere che tutto quanto è affermato sotto tortura è vero? Questo, appunto, è il nocciolo della critica di Ginzburg a Toaff (e anche di alcune mie osservazioni nella recensione apparsa su il Domenicale del 24 febbraio 2007, che apparentemente Toaff non ha letto, dal momento che cita solo il breve estratto comparso sul quotidiano il Giornale il precedente 12 febbraio).
In tema di stregoneria Ginzburg sostiene che, anche sotto tortura, le presunte streghe conservavano certamente il loro linguaggio e mescolavano a quel che interessava ai giudici (tra cui l’ammissione di avere avuto commercio carnale con il Diavolo) informazioni reali sul loro mondo e sulle tradizioni contadine. Se affermiamo che tutto quello che le accusate di stregoneria raccontavano nei processi era falso, certamente sbagliamo. Ma sbagliamo in modo più grave se crediamo che tutto quanto risulta dai verbali dei processi per stregoneria sia vero. Come le donne (e gli uomini) accusati di stregoneria raccontavano particolari spesso veri – e preziosi per gli storici contemporanei – su pratiche magiche e superstiziose, ma certamente davano voce ad affabulazioni loro o dei giudici quando raccontavano di essersi accoppiate con il Diavolo o di volare a cavallo delle scope, così è possibile che gli ebrei torturati a Trento ci aprano una finestra su un mondo di superstizioni popolari dell’epoca, ma questo non significa che sia un fatto oggettivo anche quanto raccontano a proposito dell’omicidio rituale del piccolo Simone.
Sia io sia altri recensori avevamo notato che il libro di Toaff illustrava molti particolari curiosi e interessanti (anche se non del tutto inediti) in tema di maledizioni anticristiane in rituali ebraici e folklore e superstizioni ebraiche all’inizio dell’età moderna. In questo senso non vi era in verità nulla da obiettare all’uso – cauto – anche di confessioni rese sotto tortura. Ma, se si fosse limitato a questo, di Pasque di sangue non avrebbero parlato i grandi quotidiani e i talk show televisivi. No: Toaff è diventato un personaggio da prima serata perché nella prima edizione del volume sosteneva che le testimonianze degli ebrei di Trento erano vere quanto al fatto essenziale di rilievo giuridico, e cioè quanto all’avvenuto omicidio rituale di un fanciullo cristiano, e non soltanto quanto ai dettagli sul folklore e sulle superstizioni degli ebrei di Trento, che ben potevano essere veri. Consapevole che Toaff considera quest’affermazione come particolarmente offensiva, ripeto quanto ho notato – confortato dal fatto che lo ha scritto anche Ginzburg, il cui metodo lo storico israeliano pretendeva di applicare – a proposito della prima edizione: sarebbe come affermare che nei processi per stregoneria il vero o verosimile confessato sotto tortura non era costituito (come pensa appunto Ginzburg) dagli scorci di vita e superstizioni contadine, ma dal fatto centrale secondo cui le streghe volavano a cavallo delle scope per recarsi a incontrare il Demonio nei sabba infernali.
Concludo con la reazione di Toaff alla seconda critica, quella secondo cui ignora il fatto che dal 28 maggio 1247, data della prima bolla sul tema di Papa Innocenzo IV (1195-1254) alla Rivoluzione francese (più raramente dopo, per ragioni che ho illustrato altrove), ci sono numerosi documenti in cui i Papi dichiarano di avere fatto svolgere indagini sulla questione e di avere concluso che si tratta di accuse “falsissime”. È il tema del mio libro Cattolici, antisemitismo e sangue. Il mito dell'omicidio rituale (Sugarco, Milano 2004). Qui il piatto piange: anche nella seconda edizione Toaff continua a ignorare questo aspetto del problema. Eppure, fra le “agenzie” che avevano i mezzi per indagare sulla questione dell’“accusa del sangue” fra il Medioevo e il Settecento, la Chiesa cattolica non era precisamente la più piccola né la meno culturalmente apprezzata, così che l’opinione del magistero pontificio dovrebbe avere qualche interesse. Anzi: nella seconda edizione Toaff si concede qualche pennellata anticattolica, sostenendo che nell’ipotesi (“tutta da dimostrare”) che ci siano stati delitti di ebrei contro fanciulli cristiani – pure, ci dice ora, non collegati all’“accusa del sangue” – questi sono, se non giustificati, spiegati dalla straordinaria virulenza dell’antigiudaismo cattolico. La rappresentazione a tinte da film dell’orrore di quest’ultimo avrebbe certo perso un po’ di vivacità se Toaff avesse illustrato ai suoi lettori come i Papi si opposero per secoli all’“accusa del sangue” e intervennero attivamente – spesso (anche se purtroppo non sempre) con successo – perché gli ebrei ingiustamente accusati fossero prosciolti e liberati.
Toaff, certo, sega il ramo su cui si erano improvvisamente seduti alcuni polemisti, cui – per dire tutta la verità – non può importare di meno del folklore ashkenazita e dell’uso terapeutico del sangue essiccato. Il loro scopo – non sempre esplicito – era quello di usare Toaff per riabilitare una vecchia letteratura cattolica sull’omicidio rituale, e di attaccare come frutto avvelenato di un presunto irenismo relativistico e filo-ebraico del Concilio Vaticano II il decreto della Sacra Congregazione dei Riti del 4 maggio 1965 che poneva fine al culto del beato Simonino di Trento come martire ucciso dagli ebrei, spiegando come e perché la Chiesa non si era mai pronunciata in favore del fatto storico di tale martirio. In verità, in quell’antica letteratura cattolica (che non era affatto stata sempre opera di autori culturalmente sprovveduti) c’era sì qualche cosa da salvare, ma i polemisti commettevano nei suoi confronti lo stesso errore di Toaff a proposito delle carte processuali. Gli autori cattolici di secoli passati avevano ragione quando accumulavano documentazione sulle formule anticristiane in uso in certi rituali ebraici e sull’animus anticristiano diffuso in ambiente ebraico, così che nei dolorosi conflitti di epoche antiche non tutti i torti potevano essere attribuiti a una sola parte. Ma avevano torto sulla realtà empirica, storica dell’omicidio rituale. Avendo seguito Toaff sulla strada scivolosa dell’illusione di poter provare la realtà dell’omicidio rituale, quei polemisti devono ora patire la delusione della riduzione da parte dello stesso Toaff dell’omicidio rituale da fatto a mito. I più estremi elaboreranno senz’altro spiegazioni “complottiste” sul voltafaccia di Toaff. Gli altri faranno come il corvo della favola di Jean de La Fontaine (1621-1695) il quale, ingannato per l’ennesima volta dalla volpe, honteux et confus, jura mais un peu tard qu’on ne l’y prendrait plus, “con vergogna e confuso, giurò – ma un po’ tardi – che non ci sarebbe cascato più”.
Il caso Toaff - Documentazione