Per scrivere la biografia di qualcuno, nulla di meglio di un amico. Padre Tito Sante Centi O.P., che ha appena compiuto novantatré anni, può essere definito il migliore amico di san Tommaso d’Aquino (1227?-1274) nell’Italia del XX secolo. Padre Centi, infatti, è il traduttore italiano della Somma Teologica e della Somma contro i Gentili, e ha passato tutta la sua vita di studioso in simbiosi con quello che definisce il più grande filosofo di tutti i tempi e il più grande teologo nella storia della Chiesa. Nel segno del sole. San Tommaso d’Aquino (Ares, Milano 2008) non è però una sintesi della filosofia e della teologia dell’Aquinate. L’autore la definisce modestamente una «biografia aneddotica», adatta anche ai giovani. Ma è molto di più. In cento pagine, lo studioso domenicano riesce a riassumere non solo gli episodi salienti della vita di san Tommaso ma anche il loro significato nella storia della Chiesa e dell’Europa. Non basta: il santo è presentato appunto come un santo, non solo come un grande uomo di cultura. La sua vita spirituale e mistica è posta nel giusto rilievo, ma nello stesso tempo san Tommaso emerge dalle pagine come un personaggio vivo, affabile e simpatico. Si ha quasi l’impressione che l’autore lo conosca personalmente: e da un certo punto di vista è proprio così.
Il primo episodio che padre Centi mette in luce a proposito di san Tommaso è la sua lotta per entrare, a meno di vent’anni, fra i domenicani, contro il volere della nobile famiglia, che sarebbe disposta a vederlo religioso purché si tratti dei potenti benedettini e non di un ordine mendicante. L’episodio ricorda le «deprogrammazioni» in voga negli anni 1970 e 1980, quando adepti di nuovi movimenti religiosi erano fatti rapire dai loro genitori, rinchiusi in casa o in qualche motel e sottoposti a pressioni di ogni genere finché non accettassero di lasciare il movimento accusato di averli «plagiati». E di «plagio», secondo padre Centi, i fratelli di san Tommaso accusano i domenicani: rapiscono il santo, lo rinchiudono nei loro castelli di Roccasecca e Monte San Giovanni, lo fanno supplicare dalle amate sorelle, e gli mandano perfino una ragazza di facili costumi come cameriera sperando che lo distolga dalla vocazione. Proprio quest’ultimo episodio, e la sdegnata reazione del giovane Tommaso, portano le sorelle (una delle quali diventerà poi suora) a passare dalla sua parte, e a facilitarne la fuga. Ma prima di scappare calandosi da una finestra Tommaso è rimasto prigioniero per quasi due anni. Ne ha approfittato per imparare a memoria la Bibbia e il Libro delle Sentenze di Pietro Lombardo (ca. 1065-1160), il più famoso manuale di teologia del Medioevo. Della sua tentata «deprogrammazione» san Tommaso si ricorderà quando scriverà a Parigi l’opuscolo Contro la dottrina pestilenziale di coloro che distolgono gli uomini dall’abbracciare la vita religiosa, le cui idee centrali derivano – riferisce padre Centi – da un’improvvisa illuminazione che ha mentre pranza alla tavola del re di Francia Luigi IX (1214-1270), che sarà anch’egli canonizzato come santo .
Divenuto domenicano, prosegue la formazione a Parigi e a Colonia, sotto la guida di sant’Alberto Magno O.P. (1206-1280). Il suo carattere riflessivo e taciturno – è soprannominato «il bue muto» - rischia d’indurre in errore sulle sue capacità. Ma non s’ingannano né sant’Alberto né i superiori, che favoriscono la sua rapidissima carriera accademica. Appena completati gli studi, comincia subito a insegnare a Parigi, da dove si trasferirà nel 1259 in Italia come professore allo Studium Curiae, primo abbozzo di un’università pontificia. Gli anni 1259-1268 sono quelli in cui più fiorisce la sua opera: completa la Somma contro i Gentili e buona parte della Somma Teologica, che alla sua morte peraltro resta ancora incompiuta. Nell’inverno 1268-1269 torna a Parigi, per difendere gli ordini mendicanti dai loro avversari e la sua teologia dalle opposte critiche di un razionalismo ispirato ad Averroé (1126-1198) e del fideismo di quello che padre Centi chiama «un malinteso agostinianismo tradizionalista». Contro questi due errori contrapposti, il pensiero di san Tommaso emerge definitivamente come il punto più alto di quell’equilibrio fra fede e ragione che dà all’Europa cristiana la sua identità. Nel 1272 torna in Italia per insegnare all’Università di Napoli.
Una carriera accademica, dunque, tanto rapida quanto sbalorditiva per la capacità di produrre così tante opere fondamentali in pochi anni. Ma l’autore insiste sempre sul fatto che si tratta non solo di un filosofo ma di un santo e di un mistico. Esperienze sovrannaturali e prodigi ne accompagnano tutta la vita. E Tommaso non è solo l’autore della Somma teologica ma anche di opere poetiche, tra cui i cantici – Lauda Sion, Pange Lingua, Adoro te devote – commissionati al santo da Papa Urbano IV (1195 ca. -1264) con la Messa e l’Ufficio del Corpus Domini, festa che il pontefice aveva istituito nel 1264 sulla scorta delle visioni della Beata Giuliana di Liegi (1192-1258). Per la verità, l’attribuzione a san Tommaso di questi cantici carissimi al popolo cattolico è stata revocata in dubbio. Padre Centi riprende dallo storico belga Pierre Mandonnet O.P. (1858-1936) una serie di argomenti secondo cui l’Ufficio, con i cantici, è proprio di san Tommaso, e aggiunge un ulteriore elemento, di carattere numerologico, che non mancherà d’interessare i lettori contemporanei abituati a opere che cercano «codici» più o meno dappertutto. San Tommaso ama i numeri, specie quando si tratta dell’Eucarestia. Così le strofe della sequenza del Corpus Domini sono esattamente ventiquattro, «ossia il raddoppio del dodici, il quale è notoriamente [per i medievali] il simbolo della Chiesa di Cristo» (p. 43): dodici strofe per la Chiesa militante, dodici per la Chiesa trionfante, ventiquattro in totale. «Le strofe degli inni del vespro e delle lodi sono precisamente sei, come sono sei gli articoli che formano le questioni 73, 78, 83 della Terza Parte [della Somma Teologica], dedicate rispettivamente al Sacramento [dell’Eucarestia] in sé stesso, alla sua forma e al suo rito. Che poi san Tommaso, d’accordo con i contemporanei, attribuisse al numero sei un simbolismo particolare quale primo dei numeri perfetti, non è possibile dubitarne. In una sua questione quodlibetale viene discusso addirittura il problema seguente: “Se il numero sei, in forza del quale tutte le cose create si dicono perfette, sia creatore o creatura” (Quodlib. 8, q. I, a. 1). Dopo di che sembra legittimo concludere che non è casuale neppure il numero delle strofe in cui si articolano l’inno del mattutino e l’Adoro te devote: le sette strofe evocano le sette divisioni principali del trattato e più a monte la preminenza del mistero eucaristico fra tutti i [sette] sacramenti» (pp. 43-44).
Chiamato da Papa Gregorio X (1210-1276) a Lione per il Concilio ecumenico, vede la sua salute – già da tempo malferma – aggravarsi per le asprezze del viaggio. Muore il 7 marzo 1274 nell’abbazia cistercense di Fossanova (Latina) senza avere potuto raggiungere Lione. Padre Centi dedica ampio spazio alle vicende quasi romanzesche delle sue reliquie, oggetto di un’aspra contesa fra i cistercensi di Fossanova e i domenicani. Divise in varie parti per accontentare tutti coloro che desiderano conservarle, attraverso complesse vicende in cui interviene anche una suora chiamata Caterina – che l’autore, contro altre ipotesi, identifica in santa Caterina da Siena (1347-1380) – sono infine depositate (almeno per quanto riguarda la loro porzione essenziale, così che né a Fossanova né altrove si può parlare a rigore di «tombe» di san Tommaso) a Tolosa, presso la chiesa conventuale dei Giacobini, considerata allora la più bella chiesa domenicana d’Europa. Nel 1791 la chiesa è profanata e trasformata in caserma dalla Rivoluzione Francese, ma le reliquie sono salvate e trasportate nella chiesa di Saint-Sernin. Di lì, dopo una ricognizione affidata a una commissione di storici che ne certifica l’autenticità, ritornano alla chiesa dei Giacobini finalmente restaurata e riconsacrata nel 1974. Ma pochi, nota l’autore, lo sanno: «Quasi nessun cattolico, all’infuori della diocesi di Tolosa e dell’Ordine domenicano, immagina che le reliquie di san Tommaso siano a Tolosa» (p. 83).
Testimonianza, questa, del fatto che si pensa di conoscere e si tende a dare per scontato san Tommaso, mentre su di lui ci sono tante cose che non sappiamo. Padre Centi ci offre anche, in appendice, un saggio del metodo del santo, pubblicando – preceduta da una sua Introduzione (pp. 91-105) – una traduzione dell’opuscolo De aeternitate mundi contra murmurantes («L’eternità del mondo», pp. 107-117). In questo testo difficile san Tommaso sostiene che noi sappiamo per fede che il mondo non è stato creato da Dio dall’eternità, ma ha avuto un inizio nel tempo: ma non potremmo arrivare con certezza a questa conclusione sulla base della sola ragione. Pertanto l’ipotesi di una creazione ab aeterno – che il cristiano è obbligato a escludere per fede – da un punto di vista puramente razionale non è assurda, mentre sarebbe assurdo negare che il mondo sia stato creato da Dio o anche negare la differenza sostanziale fra Creatore e creature. Padre Centi fa notare che alcune argomentazioni di san Tommaso sono qui legate a una fisica aristotelica che noi oggi non condividiamo più. Ma quello che sta a cuore al santo filosofo – la difesa dell’autonomia della ragione contro il fideismo, e il fatto che la nozione di un Dio creatore distinto dal creato s’imponga sulla base della stessa ragione, a prescindere dalla fede, anche ai non credenti – ha grande rilievo ancora oggi, in dibattiti che riguardano la scienza, l’evoluzionismo e anche l’islam e la sua nozione di Dio.
San Tommaso, dunque, parla ancora oggi. Riscoprire le radici cristiane dell’Europa significa riscoprire san Tommaso come parte integrante di queste radici. Radici di vita, e non solo di dottrina. È la lezione di san Tommaso d’Aquino: ma anche della lunga e operosa vita religiosa e accademica di padre Tito Sante Centi.