Nel 2008 ricorre il cinquantesimo anniversario della morte di Pio XII (Eugenio Pacelli, 1876-1958), avvenuta il 9 ottobre 1958. Benedetto XVI ha ricordato il suo illustre predecessore a più riprese, in particolare – e tematicamente – nell’Omelia per la Cappella Papale nel giorno anniversario della morte (Benedetto XVI 2008a) e nel discorso dell’8 novembre 2008 ai partecipanti al congresso L’eredità del magistero di Pio XII e il Concilio Vaticano II (Benedetto XVI 2008b). In questi interventi è evidente l’intento di Benedetto XVI di non ridurre la ricchissima eredità di Papa Pacelli alla sola questione dei suoi rapporti con gli Ebrei durante la tragedia dell’Olocausto. Tuttavia – a causa di polemiche correnti, spesso strumentali – il regnante Pontefice ha dovuto occuparsi anche di questo tema.
Il cuore degli interventi di Benedetto XVI riguarda comunque l’eredità teologica di Pio XII, e s’inquadra in un più ampio magistero che invita a interpretare i documenti del Concilio Vaticano II in continuità con la tradizione precedente e non secondo un’«ermeneutica della discontinuità e della rottura» (Benedetto XVI 2005). In questa chiave, il Papa nota anzitutto un elemento di fatto: «negli interventi orali e scritti presentati dai Padri del Concilio Vaticano II si riscontrano ben più di mille riferimenti al magistero di Pio XII. Non tutti i documenti del Concilio hanno un apparato di Note, ma in quei documenti che lo hanno, il nome di Pio XII ricorre oltre duecento volte. Ciò vuol dire che, fatta eccezione per la Sacra Scrittura, questo Papa è la fonte autorevole più frequentemente citata. Si sa inoltre che le note apposte a tali documenti non sono, in genere, semplici rimandi esplicativi, ma costituiscono spesso vere e proprie parti integranti dei testi conciliari; non forniscono solo giustificazioni a supporto di quanto affermato nel testo, ma ne offrono una chiave interpretativa» (Benedetto XVI 2008a). Non si tratta di una semplice curiosità erudita. Al contrario, «certamente la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, è un organismo vivo e vitale, non arroccato immobilmente su ciò che era cinquant’anni fa. Ma lo sviluppo avviene nella coerenza. Per questo l’eredità del magistero di Pio XII è stata raccolta dal Concilio Vaticano II e riproposta alle generazioni cristiane successive» (ibid.).
Negli interventi del cinquantenario, Benedetto XVI segnala anzitutto come particolarmente importanti tre encicliche di Pio XII. La prima è la Mystici corporis del 29 giugno 1943 sulla Chiesa come corpo mistico di Gesù Cristo. L’occasione di questa enciclica – seguo qui un bell’articolo di Lorenzo Cappelletti (2003) – è una controversia teologica sorta in Germania, dopo che un parroco di Berlino, Karl Pelz (1881-1962), aveva fatto circolare nel 1939 un manoscritto dal titolo Der Christ als Christus (Il cristiano come Cristo), nel quale sosteneva che per il solo fatto della nostra umanità – dunque a prescindere dai sacramenti del battesimo e dell’eucarestia – i cristiani sono letteralmente diventati Cristo nella carne e nel corpo, e questo grazie all’evento dell’incarnazione. Il manoscritto era stato messo all’indice nel 1940, ma ancora agli inizi del 1943 l’arcivescovo di Friburgo, mons. Conrad Gröber (1872-1948), reclamava un intervento di Roma contro il diffondersi di una falsa mistica che rischiava di far venire meno la distanza fra creatore e creatura, aprendo la strada a un ritorno dello gnosticismo. Il «falso misticismo, che falsifica la Sacra Scrittura, sforzandosi di rimuovere gli invariabili confini fra le cose create e il Creatore» è infatti denunciato al n. 9 della Mystici corporis (Pio XII 1943a, n.9), che però si rifiuta di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Gli errori in campo mistico, rileva infatti Pio XII, rischiano di rendere sospetta tutta la dottrina della Chiesa come corpo mistico di Cristo, che era al centro dell’investigazione ecclesiologica del XX secolo (nel XIX s’insisteva soprattutto sulla natura giuridica della Chiesa come societas perfecta). L’enciclica ritiene che la nozione di corpo mistico vada conservata e valorizzata: il nome «corpo mistico», spiega Pio XII, «deve adoperarsi per varie ragioni, poiché per mezzo di esso si può distinguere il corpo sociale della Chiesa di cui Cristo è capo e guida, dal corpo fisico dello stesso Cristo, che, nato dalla Vergine Madre di Dio, è ora assiso alla destra del Padre in cielo e nascosto in terra sotto i veli eucaristici; e, ciò che maggiormente importa per gli errori moderni, per mezzo di questa determinazione lo si può distinguere da qualunque altro corpo, sia fisico che morale» (ibid., n. 58). Certamente è da respingere «in questa mistica unione ogni modo col quale i fedeli per qualsiasi ragione sorpassino talmente l’ordine delle creature ed invadano erroneamente il campo divino, che anche un solo attributo di Dio eterno possa predicarsi di loro come proprio» (ibid., n. 79). Va mantenuta invece l’immagine – e la sostanza – della Chiesa come corpo mistico «affinché la bellezza della Chiesa rifulga di nuova gloria, affinché si diffonda la conoscenza della singolare e soprannaturale nobiltà dei fedeli congiunti nel Corpo di Cristo col proprio Capo» (ibid., n. 11).
L’attualità della Mystici corporis può essere considerata da tre punti di vista. Nella sua parte negativa, anticipa un tema fondamentale della Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana del 1989, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede di cui era allora prefetto il cardinale Joseph Ratzinger. Al n. 14 questo testo affronta la problematica dell’unione con Dio che mistiche di tipo gnostico interpretano nel senso di una negazione della distanza fra Creatore e creatura. Al contrario, «l’uomo è essenzialmente creatura e tale rimane in eterno, cosicché non sarà mai possibile un assorbimento dell’io umano nell’io divino, neanche nei più alti stati di grazia. […] il fatto che ci sia un’alterità non è un male, ma piuttosto il massimo dei beni. C’è alterità in Dio stesso, che è una sola natura in tre persone, e c’è alterità tra Dio e la creatura, che sono per natura differenti» (Congregazione per la Dottrina della Fede 1989, n. 14). La differenza rispetto al dibattito in Germania durante la seconda guerra mondiale di cui si era occupato Pio XII è che negli anni 1980 la negazione gnostica dell’alterità Dio-creatura veniva non da una teologia mal compresa sulla Chiesa ma dall’influsso di metodi di meditazione orientali come lo yoga e lo zen. In secondo luogo, la difesa della dottrina sulla Chiesa come corpo mistico di Cristo appare profetica rispetto a un’ecclesiologia postconciliare che ha insistito in via esclusiva sulla Chiesa come popolo di Dio. Se si parla solo di popolo di Dio, affermava lo stesso cardinale Ratzinger nella famosa intervista al giornalista italiano Vittorio Messori pubblicata nel 1985 con il titolo Rapporto sulla fede, «c’è addirittura il pericolo di abbandonare il Nuovo Testamento per ritornare nell’Antico. [...] Infatti “popolo di Dio” rinvia sempre all’elemento vetero-testamentario della Chiesa, alla sua continuità con Israele. Mentre la Chiesa riceve la sua connotazione neo-testamentaria più evidente nel concetto di “Corpo di Cristo”. Si è Chiesa e si entra in essa non attraverso appartenenze sociologiche, bensì attraverso l’inserzione nel corpo stesso del Signore per mezzo del battesimo e dell’eucaristia. Dietro il concetto oggi così insistito di Chiesa come solo “popolo di Dio” stanno suggestioni ecclesiologiche le quali tornano di fatto all’Antico Testamento; e anche forse suggestioni politiche, partitiche, collettivistiche» (Messori 1985, 47). In terzo luogo, infine, la nozione di Chiesa proposta da Pio XII nella Mystici corporis non solo ha un’influenza decisiva sulla costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium del Concilio Vaticano II ma è anche uno strumento decisivo per interpretarla.
La seconda enciclica di Pio XII di cui Benedetto XVI segnala l’importanza cruciale è la Divino afflante Spiritu, pure del 1943 (30 settembre). L’enciclica riguarda lo studio della Sacra Scrittura e l’uso del metodo storico-critico, in particolare della teoria dei generi letterari. «L’approfondimento dei “generi letterari”, che intendeva comprendere meglio quanto l’autore sacro aveva voluto dire – spiega Benedetto XVI – fino al 1943 era stato visto con qualche sospetto, anche per gli abusi che si erano verificati. L’Enciclica ne riconosceva la giusta applicazione, dichiarandone legittimo l’uso per lo studio non solo dell’Antico Testamento, ma anche del Nuovo. “Oggi poi quest’arte - spiegò il Papa - che suol chiamarsi critica testuale e nelle edizioni degli autori profani s’impiega con grande lode e pari frutto, con pieno diritto si applica ai Sacri Libri appunto per la riverenza dovuta alla parola di Dio”. Ed aggiunse: “Scopo di essa infatti è restituire con tutta la possibile precisione il sacro testo al suo primitivo tenore, purgandolo dalle deformazioni introdottevi dalle manchevolezze dei copisti e liberandolo dalle glosse e lacune, dalle trasposizioni di parole, dalle ripetizioni e da simili difetti d’ogni genere, che negli scritti tramandati a mano pei molti secoli usano infiltrarsi”» (Benedetto XVI 2008a; cfr. Pio XII 1943b). Il tema è delicato, ed è stato al centro del Sinodo dei Vescovi del 2008. Da una parte, il rifiuto del metodo storico-critico per lo studio delle Sacre Scritture rischia di trasformare la Bibbia in quello che è il Corano per molti musulmani e di generare fondamentalismo, in quanto ultimamente è un rifiuto dell’uso degli strumenti propri della ragione per esaminare i testi fondamentali della nostra fede. Dall’altra, gli «abusi» del metodo storico-critico possono essere distruttivi, se questo metodo è – appunto, abusivamente – utilizzato per «purgare» il testo sacro non dalle deformazioni dei copisti di cui parlava Pio XII ma da ogni riferimento al soprannaturale, ritenuto in contrasto con lo spirito «scientifico» moderno. Nel suo libro Gesù di Nazaret – citando il Racconto dell’Anticristo del filosofo e teologo ortodosso russo Vladimir Solov’ëv (1853-1900), dove «l’Anticristo riceve la laurea honoris causa in teologia dall’Università di Tubinga: è un grande esperto della Bibbia» (Ratzinger 2007, 58) – il Papa ricorda che «l’interpretazione della Bibbia può effettivamente diventare uno strumento dell’Anticristo. Non è solo Solov’ëv che lo dice, è quanto afferma implicitamente il racconto stesso delle tentazioni [dove Satana cita maliziosamente la Scrittura]. I peggiori libri distruttori della figura di Gesù, smantellatori della fede, sono stati intessuti con presunti risultati dell’esegesi» (ibid.). Un’esegesi, aggiunge il Pontefice, che si presenta come non dogmatica ma che parte a sua volta da un «dogma fondamentale»: quello secondo cui «Dio non può affatto agire nella storia» (ibid.) e dunque un’esegesi che «legga la Bibbia nella prospettiva della fede nel Dio vivente, è fondamentalismo», mentre è «autenticamente scientifica» solo quella «al passo con i tempi» la quale afferma che per definizione «Dio stesso non dice niente e non ha niente da dire» (ibid.). L’uso del metodo storico-critico deve avvenire nella convinzione che l’interpretazione della Bibbia non è mai un’avventura individuale ma è sempre un incontro con il Signore Gesù che avviene nel luogo in cui Egli ha voluto farsi incontrare nella storia, cioè nella Chiesa. In questo senso – di fronte agli opposti rischi del fondamentalismo e dell’arbitrio – la Divino afflante Spiritu di Pio XII ha segnato dei confini che valgono ancora per noi oggi.
La terza enciclica di Pio XII su cui Benedetto XVI richiama l’attenzione è la Mediator Dei, del 20 novembre 1947. Come la Divino afflante Spiritu aveva distinto fra uso corretto e abusi del metodo storico-critico, così la Mediator Dei distingue fra gli aspetti positivi, cui l’enciclica «dette impulso» (Benedetto XVI 2008a), e possibili abusi del movimento liturgico, una vasta corrente che intendeva rinnovare la liturgia romana attraverso lo studio sistematico delle sue forme più antiche. L’enciclica propone un’opera graduale – senza alcuno stravolgimento improvviso – di restauro delle parti più antiche del rituale romano, senza peraltro eliminare gli sviluppi successivi (come voleva un certo archeologismo), perché la liturgia cattolica è un organismo vivente. S’ispireranno al testo dell’enciclica le riforme liturgiche di Papa Pacelli, di cui la più nota è quella dell’Ordo della Settimana santa (1955), inaugurata nel 1951 con il restauro della Veglia pasquale nella sua forma più antica. Ma soprattutto il testo di Pio XII – molto citato al Concilio Ecumenico Vaticano II, ma non sempre seguito nel suo spirito, che invitava a non volere «inventare» nulla, nelle riforme postconciliari – insisteva, come ricorda oggi Benedetto XVI, sull’essenza della liturgia che non sta nella forma esterna ma nell’elemento interno, l’orientamento verso Gesù Cristo vivente. Pio XII, ricorda Benedetto XVI, insisteva «sull’“elemento essenziale del culto”, che “deve essere quello interno: è necessario, difatti, - egli scrisse - vivere sempre in Cristo, tutto a Lui dedicarsi, affinché in Lui, con Lui e per Lui si dia gloria al Padre. La sacra Liturgia richiede che questi due elementi siano intimamente congiunti… Diversamente, la religione diventa un formalismo senza fondamento e senza contenuto”» (Benedetto XVI 2008a; cfr. Pio XII 1947).
Dopo avere ricordato le tre encicliche fondamentali di Pio XII e la loro relazione con il Concilio Ecumenico Vaticano II, Benedetto XVI invita anche a considerare come Papa Pacelli abbia prodotto – attraverso non solo le sue quarantuno encicliche ma anche i discorsi e i radiomessaggi che «conservano ancora oggi una straordinaria attualità» (Benedetto XVI 2008a) – un vero e proprio corpus che ha esaminato in modo sistematico la dottrina della Chiesa relativa alle «varie categorie di persone» (Benedetto XVI 2008b): sacerdoti, religiosi e religiose, laici. Pio XII, secondo Benedetto XVI – che forse ha in mente qui Papa Pacelli anche come modello e tipo del suo stile pontificio – «era contrario alle improvvisazioni: scriveva con la massima cura ogni discorso, soppesando ogni frase e ogni parola prima di pronunciarla in pubblico» (ibid.) Il regnante Pontefice ricorda in particolare due aspetti. Il primo è l’impulso dato alle missioni attraverso sia il richiamo dottrinale alle loro ragioni profonde e al «dovere di ogni comunità di annunciare il Vangelo alle genti» (Benedetto XVI 2008a) sia l’introduzione di opportune misure organizzative con le encicliche Evangelii praecones del 1951 e Fidei donum del 1957, che sono alle origini di una fioritura della Chiesa in Asia e in Africa i cui frutti possiamo apprezzare ancora oggi. Il secondo è l’incontro frequente con i laici, dove il Papa affrontava in modo capillare «i problemi delle singole professioni, indicando, ad esempio, i doveri dei giudici, degli avvocati, degli operatori sociali, dei medici: a questi ultimi il Sommo Pontefice dedicò numerosi discorsi illustrando le norme deontologiche che essi devono rispettare nelle loro attività» (Benedetto XVI 2008b), in una serie di testi ancora oggi fondamentali per la questione della fine della vita, della bioetica, della terapia del dolore.
Nell’enciclica Miranda prorsus del 1957 Pio XII – richiamata da Benedetto XVI nello stesso discorso (ibid.) – Papa Pacelli diede indicazioni anche agli operatori del cinema, della televisione e della radio, sottolineando «il dovere dei giornalisti di fornire informazioni veritiere e rispettose delle norme morali». Così pure, fra le varie categorie, Pio XII si rivolgeva insieme con ammirazione e preoccupazione agli scienziati: «restò famoso il discorso da lui pronunciato sulla raggiunta scissione degli atomi; con straordinaria lungimiranza, però, il Papa ammoniva circa la necessità di impedire ad ogni costo che questi geniali progressi scientifici venissero utilizzati per la costruzione di armi micidiali che avrebbero potuto provocare catastrofi immani e perfino la totale distruzione dell'umanità» (ibid.). Né dovrebbe essere sottovalutato il contributo di Pio XII alla dottrina socio-politica della Chiesa: tra le categorie cui si rivolgeva c’erano anche i parlamentari e gli uomini di governo, cui nell’epoca del populismo proponeva la distinzione fondamentale fra popolo e massa.
Tutto questo non deve fare dimenticare che, insieme con Giovanni Paolo II (1920-2005), Pio XII è il grande Papa della Madonna nel XX secolo. Il suo «insegnamento mariologico» è «meritevole di speciale menzione» (ibid.). Basterebbe la proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria, del 1° novembre 1950, per iscrivere Pio XII fra le figure principali nella storia della mariologia e della devozione mariana, anche senza citare numerose altre iniziative ed episodi, dalla canonizzazione, il 20 luglio 1947, di san Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716), il grande apostolo della devozione mariana, all’Anno Mariano del 1954.
E tuttavia quando si è parlato di Pio XII, deplora Benedetto XVI, « l’attenzione si è concentrata in modo eccessivo su una sola problematica, trattata per di più in maniera piuttosto unilaterale» (ibid.). Da una parte, dunque, Benedetto XVI insiste sul fatto che «un approccio adeguato ad una figura di grande spessore storico-teologico qual è quella del Papa Pio XII» (ibid.) non può concentrarsi eccessivamente, o peggio esclusivamente, sul suo rapporto con l’Olocausto. D’altro canto, siccome la polemica è un fatto che non può essere ignorato, Benedetto XVI non trascura di affrontarla, ribadendo punto su punto alle accuse dei critici. Va premesso che l’idea di una presunta responsabilità o complicità di Pio XII con Adolf Hitler (1889-1945), il regime nazional-socialista o l’Olocausto sarebbe apparsa assurda a chiunque fino al Concilio Ecumenico Vaticano II. Anzitutto, come ricorda Benedetto XVI, il futuro Pio XII era Segretario di Stato e «fedele collaboratore di Pio XI» (1857-1939), il Papa che condannò il nazional-socialismo nell’enciclica Mit brennender Sorge del 1937, alla cui stesura collaborò il cardinale Pacelli (Benedetto XVI 2008a). Si può aggiungere che, all’epoca, nessuno pensava che il Concordato del 1933 – negoziato dal cardinale Pacelli per conto della Santa Sede – con la Germania di cui dal gennaio di quell’anno era cancelliere Hitler modificasse il giudizio negativo del Papa o della Curia sul nazional-socialismo. Quel Concordato era stato proposto dalla Germania, il negoziato era iniziato prima dell’ascesa al potere di Hitler, e si trattava della tecnica giuridica allora prevalente per regolare i rapporti fra la Chiesa e regimi di ogni tipo.
Eletto Pontefice, dopo avere cercato di fermare la guerra «in tutti i modi» con il radiomessaggio del 24 agosto 1939 – al grido di «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra» – Pio XII svolse durante il conflitto, ricorda Benedetto XVI, una «intensa opera di carità che promosse in difesa dei perseguitati, senza alcuna distinzione di religione, di etnia, di nazionalità, di appartenenza politica» (ibid.). «I familiari ed altri testimoni riferirono inoltre delle privazioni quanto a cibo, riscaldamento, abiti, comodità, a cui si sottopose volontariamente per condividere la condizione della gente duramente provata dai bombardamenti e dalle conseguenze della guerra (cfr A. Tornielli, Pio XII, Un uomo sul trono di Pietro). E come dimenticare il radiomessaggio natalizio del dicembre 1942? Con voce rotta dalla commozione deplorò la situazione delle “centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento” (AAS, XXXV, 1943, p. 23), con un chiaro riferimento alla deportazione e allo sterminio perpetrato contro gli ebrei. Agì spesso in modo segreto e silenzioso proprio perché, alla luce delle concrete situazioni di quel complesso momento storico, egli intuiva che solo in questo modo si poteva evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei. Per questi suoi interventi, numerosi e unanimi attestati di gratitudine furono a lui rivolti alla fine della guerra, come pure al momento della morte, dalle più alte autorità del mondo ebraico, come ad esempio, dal Ministro degli Esteri d’Israele Golda Meir [1898-1978], che così scrisse: “Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata a favore delle vittime”, concludendo con commozione: “Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace”» (ibid.).
Alla testimonianza di Golda Meir se ne possono aggiungere molte altre, da Albert Einstein (1879-1955), che in un articolo apparso sulla rivista Time il 23 dicembre 1940 scriveva che «solo la Chiesa si è levata contro Hitler» per cui lo scienziato, che un tempo «disprezzava» la Chiesa Cattolica ora la considerava «con grande affetto e ammirazione» (cit. in Dalin 2007, 148-149) fino a un’ampia serie di personalità israeliane e dell’ebraismo italiano (fra cui il rabbino Elio Toaff) (cfr. ibid., pp. 148-154). Pinchas Lapide (1922-1997), teologo, console d’Israele a Milano e specialista dell’Olocausto, stimava che Pio XII avesse salvato tra 700.000 e 860.000 ebrei (Lapide 1967). A queste voci si è aggiunta ora quella del rabbino conservatore (conservative: una branca dell’ebraismo che è in realtà più «progressista» rispetto agli ortodossi) e storico statunitense David Dalin (il cui libro cito dall’edizione francese, aggiornata nella bibliografia: Dalin 2007), il quale ha risposto puntualmente alle accuse contro Pio XII.
Un punto essenziale del libro di Dalin è che, come si è accennato, fino al Vaticano II a nessun rappresentante significativo del mondo ebraico sarebbe venuto in mente di criticare Pio XII. Al contrario, le figure più eminenti della comunità ebraica israeliana e internazionale lodavano e ringraziavano il Pontefice. Che cosa cambia con il Vaticano II? Oggi lo sappiamo. Nel 1963 in Germania un grande lancio propagandistico e di stampa accompagna la prima del dramma di Rolf Hochhuth Il Vicario, che accusa Pio XII di complicità con Hitler. I documenti emersi dagli archivi sovietici e la testimonianza del generale Ion Mihai Pacepa (2007), già responsabile dei servizi segreti della Romania comunista e personalmente coinvolto nell’operazione, permettono di concludere senza possibilità di ulteriori dubbi che il dramma di Hocchuth fu commissionato all’autore tedesco dal KGB, in persona del generale Ivan Ivanovich Agayants (1911-1968), responsabile del dipartimento D (Disinformazione) del controspionaggio sovietico. Agayants collaborò personalmente alla redazione del testo firmato da Hocchuth, il quale era – ed è – tanto poco amico del popolo ebraico da essersi reso noto nel 2005 come sostenitore e pubblico difensore delle tesi che negano la realtà storica dell’Olocausto dell’autore britannico David Irving. Lo scopo del KGB era quello di screditare il magistero anticomunista di Pio XII e di condizionare il Concilio Ecumenico Vaticano II, impedendo in particolare una condanna pubblica del comunismo (su questo punto, si può dire che il KGB ebbe successo, ma le ragioni della mancata condanna non si riducono certamente al dramma di Hocchuth, né vi è prova che questo abbia in effetti giocato un ruolo significativo).
Avviata dal KGB, l’azione contro Pio XII che ne ha fatto – in modo storicamente assurdo e del tutto caricaturale – «il Papa di Hitler» è stata ripresa da cattolici o ex-cattolici (ex-seminaristi come John Cornwell e Garry Wills, o ex-preti come James Carroll), i quali intendono attaccare Pio XII e mettere in imbarazzo la Chiesa non più sulla questione del comunismo ma su altre che riguardano gli anticoncezionali, l’aborto o gli omosessuali (tutti temi su cui il magistero di Pio XII ha preparato quello successivo). Secondo Dalin, gli ebrei e i politici israeliani che intervengono oggi su Pio XII – ignorando completamente la migliore letteratura accademica in materia – sono vittime più o meno consapevoli di una manovra che li ha abilmente attirati in una controversia intra-cattolica. Ed è significativo che Dalin citi – a conferma della sua tesi – l’episodio relativo al principale esponente della scuola cosiddetta cattolico-democratica italiana, lo storico Alberto Melloni, che nel 2004 lanciò una nuova polemica contro Pio XII, accusato di avere dato istruzioni dopo la guerra di non restituire alle famiglie ebraiche i bambini ebrei nascosti per salvarli dall’Olocausto presso famiglie cristiane e battezzati. Qualche mese dopo, la pubblicazione del testo integrale della famosa lettera in lingua francese, mal tradotta e peggio interpretata da Melloni, dimostrava che diceva più o meno il contrario…
Ai libri di Dalin e di altri i detrattori di Pio XII hanno risposto sostenendo da una parte che Golda Meir e tanti altri testimoni ebraici mentivano sapendo di mentire per captare la benevolenza della Chiesa a favore d’Israele nella sua lotta contro i palestinesi musulmani (un argomento, come si vede, tipicamente «complottista»), dall’altra che l’azione di salvataggio di centinaia di migliaia di Ebrei nel corso della guerra fu condotta da personalità come il futuro cardinale Pietro Palazzini (1912-2000) e il diplomatico pontificio Angelo Roncalli, futuro Papa Beato Giovanni XXIII (1881-1963) all’insaputa di Papa Pacelli. Ma centinaia di documenti – e le testimonianze degli interessati – smentiscono questa tesi, presentata talora in modo grottesco. Come nota Dalin, c’è perfino chi sostiene che numerose famiglie di Ebrei romani furono nascosti nella residenza estiva del Pontefice, a Castel Gandolfo, dai collaboratori di Pio XII e a sua insaputa. Dal momento che non si trattava di una decina di persone, ma di 3.500, e che Pio XII passava molto tempo a Castel Gandolfo, è davvero difficile immaginare che oltre tremila Ebrei potessero aggirarsi per casa sua senza che Papa Pacelli, per quanto immerso in più alti pensieri, se ne accorgesse (Dalin 2007, 140)…
Pio XII avrebbe salvato un numero maggiore di Ebrei – come afferma oggi qualche critico – scomunicando Hitler e i nazional-socialisti? Non lo fece per impedire lo scatenarsi di una persecuzione nazista contro la Chiesa Cattolica? No, risponde Benedetto XVI: Pio XII si preoccupò di salvare non solo i cattolici, ma tutti i perseguitati, anzitutto gli Ebrei, e ritenne in scienza e coscienza che agire «in modo segreto e silenzioso» fosse il modo migliore di conseguire lo scopo. Una controprova – segnalata da Dalin e da altri – è la situazione olandese: una denuncia molto dura del nazional-socialismo pubblicata dai vescovi di quel Paese nonostante i consigli di prudenza di Roma portò a un’azione nazista contro le Chiese e i monasteri che smantellò la rete di sostegno alla comunità ebraica d’Olanda, 85% dei cui membri perirono nell’Olocausto, contro il 15% circa degli Ebrei in Italia, dove raramente i nazisti osarono violare i rifugi predisposti dalla Chiesa Cattolica. Pio XII, cui spetta il merito di «aver colto fin dal suo sorgere il pericolo costituito dalla mostruosa ideologia nazionalsocialista con la sua perniciosa radice antisemita e anticattolica» (Benedetto XVI 2008a), fece quanto per salvare gli Ebrei dall’Olocausto. Lo fece con successo, e fece più di qualunque altro leader del tempo. La posta in gioco della campagna contro Pio XII non è in realtà l’Olocausto – che, se non in ambienti marginali, non è certo un tema controverso – ma la Chiesa, il suo magistero e il suo insegnamento in tema teologico, sociale e morale. Per questo la voce di Benedetto XVI si leva a ricordare la grandezza di Pio XII e la rilevanza che la sua figura e il suo insegnamento hanno ancora per noi oggi.
Riferimenti
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Benedetto XVI. 2008b. Discorso ai partecipanti al Congresso su «L’eredità del Magistero di Pio XII e il Concilio Vaticano II», dell’8-11-2008. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato < http://tinyurl.com/67eeku>.
Cappelletti, Lorenzo. «La distinzione fra Creatore e creatura». 30 giorni nella Chiesa e nel mondo, anno XXI, n. 6, giugno 2003, pp. 27-30.
Congregazione per la Dottrina della Fede. 1989. «Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana», del 15-10-1989. L’Osservatore Romano, 15-12-1989.
Dalin, David. 2007. Pie XII et les juifs. Le mythe du Pape d’Hitler. Ed. francese. Tempora, Perpignan.
Lapide, Pinchas. 1967. Roma e gli ebrei. L’azione del Vaticano a favore delle vittime del nazismo. Mondadori, Milano.
Messori, Vittorio. 1985. Rapporto sulla fede. Vittorio Messori a colloquio con il cardinale Joseph Ratzinger. Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano).
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Pio XII. 1943a. Lettera enciclica Mystici corporis sul corpo mistico di Gesù Cristo e sulla nostra unione in esso con Cristo, del 29-6-1943. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato <http://tinyurl.com/6z976d>.
Pio XII. 1943b. Lettera enciclica Divino afflante Spiritu sul modo più opportuno di promuovere gli studi biblici, del 30-9-1943. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato <http://tinyurl.com/6yfu9u>.
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Ratzinger, Joseph [Benedetto XVI]. 2007. Gesù di Nazaret. Rizzoli, Milano.