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La Lega Elettorale Cattolica Brasiliana (1932-1937)

di Massimo Introvigne

imgLa Contro-Rivoluzione dall’Europa al Brasile

Il 13 dicembre 2008 cade il primo centenario della nascita di Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), dirigente cattolico, uomo politico e accademico brasiliano che ha dato nel secolo XX quello che è forse il maggiore contributo alla scuola cattolica detta contro-rivoluzionaria, echi significativi della quale si trovano nel magistero dei Pontefici del XX e del XXI secolo.
 
Secondo la ricostruzione di Giovanni Cantoni (Cantoni 2005), questa scuola di pensiero ha le sue radici profonde in una visione drammatica della storia che vede l’umanità chiamata a scegliere fra una «porta larga» e facile che conduce all’Inferno e una «porta stretta» e difficile che conduce al Paradiso – una metafora che si trova già nel Vangelo (Mt 7, 13-14; Lc 13, 24) ed è ripresa dai primi scritti apostolici –; fra la «Città del Diavolo» e la «Città di Dio» di sant’Agostino (354-430) – fra cui si muove la «terza città», la città degli uomini –; fra le «due bandiere» di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), analoghe ma non identiche alle «due città» in quanto inserite in una visione che sottolinea il ruolo attivo del cristiano e il dovere dell’apostolato. Dopo la Rivoluzione francese, una riflessione sul male presente e attivo nella storia dà origine alla scuola contro-rivoluzionaria in senso stretto, preceduta prima del 1789 dalla critica cattolica dell’assolutismo e alimentata dopo il 1789 dalle riflessioni sui fatti di Francia dell’anglicano Edmund Burke (1729-1797) e del cattolico Joseph de Maistre (1753-1821). «Rivoluzione» e «Contro-Rivoluzione» diventano così non solo riferimenti all’ideologia e alla pratica del giacobinismo e alla sua critica, ma modelli che attraversano – se non tutta la storia umana – almeno la storia dell’Occidente.

La critica di questi autori alla Rivoluzione francese è letta con interesse sia da cristiani – protestanti e cattolici – sia da non credenti come lo stesso fondatore del positivismo filosofico, Auguste Comte (1798-1857) e il suo discepolo Hippolyte Taine (1828-1893), che vedono nella Rivoluzione l’instaurazione di un regime «artificiale» e contrario all’ordine naturale delle cose. Questa seconda lettura – per così dire «di sinistra» – dei critici della Rivoluzione francese ne mette in rilievo alcuni aspetti, non secondari, ma ne misconosce l’essenziale: per Burke e soprattutto per de Maistre la Rivoluzione è anzitutto anti-religiosa e la Contro-Rivoluzione non può prescindere da un ritorno personale e sociale alla religione. La lettura «di sinistra» (un’espressione che qui va naturalmente al di là dei consueti riferimenti politici) della Contro-Rivoluzione si esprime in un filone che arriva fino a Charles Maurras (1868-1952) e alla sua Action Française. Quella propriamente religiosa e cattolica ha sviluppi diversi in relazione ai diversi contesti nazionali.

Una particolare fioritura del pensiero cattolico contro-rivoluzionario si ha in America Latina, dove la critica dell’assolutismo regio si era espressa in un filone importante delle lotte per l’indipendenza dei Paesi latino-americani e della critica alla monarchia – più «illuminista» che «illuminata» – degli imperatori che avevano retto il Brasile dal 1821 al 1889. La fine della monarchia e l’instaurazione della Repubblica nel 1889 non avevano però portato a un miglioramento delle condizioni della Chiesa, colpita anzi dalle leggi di separazione dello Stato dalla Chiesa e da un’ideologia ufficiale che proponeva sistematici riferimenti, non solo simbolici, al positivismo. Non a caso lo stesso motto che figura sulla bandiera brasiliana, «Ordem e Progresso», è di origine positivista, e solo in Brasile si trovano ancora oggi seguaci del bizzarro tentativo di Auguste Comte di trasformare il positivismo in una religione completa di chiese, riti, e di una grande sacerdotessa, l’amante del filosofo Clotilde de Vaux (1815-1846), di cui nel tempio di Rio de Janeiro si venera devotamente un ricciolo (Toscano 1992). La rivolta contadina di Canudos (1893-1897), episodio assai complesso e che ha ricevuto diverse interpretazioni – grazie anche ai romanzi dedicati al tema nel 1902 da Euclides da Cunha (1866-1909) e nel 1981 da Mario Vargas Llosa – conferma comunque il disagio del popolo cattolico di fronte alla nuova Repubblica.

La stragrande maggioranza della popolazione brasiliana è cattolica. Le élite – politiche, letterarie e giornalistiche – sono per lo più positiviste e anticlericali. Questa anomalia è notata da molti, e porta a un rinnovato interesse in Brasile per il filone contro-rivoluzionario europeo, sia nella sua incarnazione «di sinistra» – lungo una linea che porta alle «camicie verdi» e all’Azione Integralista Brasiliana di Plínio Salgado (1895-1975) – sia nella sua versione cattolica.

Due eventi portano la Contro-Rivoluzione al centro del dibattito politico brasiliano: la lettera pastorale del 1916 di monsignor Sebastião Leme da Silveira Cintra (1882-1942), arcivescovo di Olinda – che nel 1930 sarebbe stato nominato arcivescovo di Rio de Janeiro e cardinale (Leme 1930) –, e la conversione al cattolicesimo, nel 1918, del letterato decadentista Jackson de Figueiredo (1891-1928).

 

Jackson de Figueiredo e il Centro Dom Vital

Nella lettera pastorale del 1916 il futuro cardinale Leme parla dei cattolici brasiliani come di una «maggioranza asfissiata. Il Brasile che vediamo, la nazione brasiliana, non è nostra. È la minoranza che ci permette per gentile concessione di sopravvivere. Quale umiliazione per la nostra fede!» (Leme 1930, 2). L’arcivescovo pone così il problema culturale e politico dei cattolici brasiliani: riaffermare i diritti della maggioranza in un Paese dominato dalle minoranze laiciste. La risposta considerata da molti provvidenziale all’appello dell’arcivescovo Leme è la conversione di uno dei più noti intellettuali non credenti brasiliani: Jackson de Figueiredo, un avvenimento così importante che una storica non spinta da particolare simpatia per il convertito (cerca anzi di interpretarlo attraverso un paradigma psicoanalitico), Margaret Todaro Williams, scrive che «una storia del cattolicesimo in Brasile potrebbe essere correttamente divisa fra un’epoca pre- e una post-jacksoniana» (Todaro Williams 1974b, 139). Lo stesso Plinio Corrêa de Oliveira scriverà nel 1938: «Il Brasile non attraversò mai una stagione così asfissiante, dal punto di vista spirituale, morale e intellettuale, come i lunghi anni di ristagno che precedettero l’apostolato di Jackson. […] Fu in questo scenario che Jackson sorse: e sorse con la missione provvidenziale di dinamitare la pietra grigiastra e informe della spensieratezza dell’ambiente, seminando inquietudine e lotta in mezzo alla letale e vergognosa placidità del Brasile dell’epoca» (Corrêa de Oliveira 1938, cit. in de Mattei 1996, 59).

Jackson de Figueiredo nasce ad Aracajú (Sergipe) nel 1891. Di famiglia anticlericale, frequenta una scuola protestante di cui guida i compagni in «spedizioni punitive» per assaltare le chiese e distruggere le immagini sacre (Todaro Williams 1974b, 143). Nel 1909 si trasferisce a Salvador de Bahía per studiare legge, ma comprende che le sue vere vocazioni sono la poesia e la critica letteraria. Passa dal positivismo al decadentismo, un movimento letterario che dall’Europa si era diffuso all’America Latina e che sottolineava la noia e il disgusto rispetto alla società dominante, la vita libera dalle convenzioni e bohémien, l’interesse in polemica con il positivismo – ma ugualmente lontano dalla religione tradizionale – per temi arcani e occulti. Jackson diventa così un modello per un’intera generazione di giovani intellettuali, e la sua fama è all’apice quando nel 1915 si trasferisce a Rio de Janeiro per perseguire una carriera di giornalista (de Figueiredo Fernandes 1987). Tuttavia, mentre il decadentismo era per molti un semplice atteggiamento poseur e superficiale, per chi lo prendeva sul serio non poteva non lasciare un senso di amarezza e di vuoto. Inizialmente, Jackson si avvicina al filosofo spiritualista, teorico dell’«eterno ritorno», Raimundo de Farias Brito (1862-1917). Ma solo l’enorme risonanza in tutto il Brasile della lettera pastorale dell’arcivescovo Leme comincia a mostrare a Jackson nel 1916 come sia possibile riempire quel vuoto. Nel 1918 la notizia della sua conversione al cattolicesimo desta grande scalpore e «avvia un risveglio morale e intellettuale senza precedenti fra i laici delle classi media e alta, così significativo da essere noto nella storia brasiliana come il Risveglio Cattolico» (Todaro Williams 1974b, 163). Soprattutto, dal 1921 Jackson inizia un’attività di conferenziere e apologeta della fede cattolica di rilievo nazionale, ancorché negli scritti che continua a dedicare alla letteratura rimangano anche tracce delle idee precedenti.

Nel 1921 l’arcivescovo Leme da Olinda si trasferisce a Rio de Janeiro come vescovo ausiliare. L’evento segna l’inizio di una feconda collaborazione fra Leme e Jackson, che nello stesso anno fonda un giornale cattolico, A Ordem, e un centro culturale, il Centro Dom Vital. Il nome del centro deriva da Dom Vital Maria Gonçalves de Oliveira (1844-1878), predecessore di Leme nella sede arciepiscopale di Olinda, fiero avversario del laicismo, incarcerato dopo una campagna di diffamazione orchestrata dalla massoneria, morto avvelenato (forse da esponenti della stessa massoneria) nel 1878 e di cui è in corso la causa di beatificazione. Il Centro Dom Vital emerge rapidamente come il luogo di coordinamento di tutte le iniziative del laicato cattolico non solo di Rio, ma brasiliano, in campo sociale e politico. Il programma dell’arcivescovo Leme inteso a riaffermare i diritti della maggioranza inizia a trovare attuazione. Nello stesso tempo Jackson – sia pure con uno stile più letterario che sistematico – comincia a elaborare una versione brasiliana del pensiero contro-rivoluzionario che muove dalla critica della Rivoluzione francese e del laicismo latino-americano per concentrarsi su un’apologia della nozione di «ordine». Fa anche conoscere a un vasto pubblico brasiliano il pensiero di Joseph de Maistre.

La forza del Centro Dom Vital, nei primi anni della sua esistenza, è Jackson, con il suo grande prestigio e l’entusiasmo che è capace di suscitare. Ma la debolezza del Centro Dom Vital è lo stesso Jackson. A mano a mano che dall’agiografia e dai ricordi della cerchia familiare si passa alla storiografia accademica, emergono anche gli aspetti problematici della figura di Jackson, tipici della prima generazione di una scuola di pensiero – quella contro-rivoluzionaria brasiliana – che ancora cerca faticosamente la sua via. Teorico dell’ordine, Jackson continua a frequentare l’ambiente dei letterati decadentisti, molti dei quali vivono nel disordine, con quella che a molti sembra una dicotomia fra il suo pensiero rigorosamente cattolico e i suoi gusti letterari (non invece quelli artistici, dove condivide con molti cattolici la critica del «modernismo» esploso nel 1922 a San Paolo con la Semana de Arte Moderna, cui non a caso aveva partecipato invece Plínio Salgado, che vi vedeva la promessa di un’arte rivoluzionaria ma nazionalista affine a quella di un certo futurismo italiano). Peraltro, nulla gli è personalmente rimproverato quanto alla morale, e queste frequentazioni gli permettono di ottenere almeno una conversione di grande spicco, quella del ricco critico letterario Alceu Amoroso Lima (1893-1983), che scrive con lo pseudonimo Tristão de Ataíde e che succederà a Jackson come presidente del Centro Dom Vital prima di diventare co-fondatore e poi rettore della Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro. Jackson chiama scherzosamente l’ambiente letterario da cui non ha voluto staccarsi la sua «seconda Chiesa»: gli amici che ne fanno parte hanno diritto alla sua lealtà e alla sua indulgenza, per quanto egli non ne condivida le idee (cfr. sul punto l’autobiografia romanzata Aevum, interrotta e pubblicata postuma: de Figueiredo 1932; e Centro de Documentação do Pensamento Brasileiro 1999).

Jackson, inoltre, non comprende alcuni limiti del pensiero di Charles Maurras, che ripropone con entusiasmo ai suoi lettori, e giudica positivamente il fascismo di Benito Mussolini (1883-1945: cfr. Todaro Williams 1974b, 149) – di cui peraltro, scrivendone nel 1925, non conosce che la prima fase. Questi giudizi derivano pure da una repulsione per le rivolte popolari che lo porta a interpretare in modo estremamente restrittivo la dottrina cattolica tradizionale sul diritto di resistenza al governo ingiusto. Ultimamente – come scrive lo storico Francisco Iglésias, e come si orientava a pensare anche il suo mentore, l’arcivescovo e poi cardinale Leme – Jackson «preferiva l’ingiustizia al disordine» (Iglésias 1981, 141).

Jackson, inoltre, manifesta un anti-americanismo e un anti-giudaismo che – se comprendono critiche condivisibili della cultura diffusa dalle élite che dominano la letteratura e il costume degli Stati Uniti dell’epoca (in parte espressione di un certo mondo ebraico «riformato» o secolarizzato) – conservano anche un aspetto estetizzante meno apprezzabile, più direttamente collegato al passato letterario e decadentista dello scrittore. Egli paragona la raffinata cultura dei saloni di Rio alle periferie degli immigrati che fanno la coda per vedere l’ultimo film di quart’ordine venuto dagli Stati Uniti, e considera – certo con eccessiva severità – questi immigrati (non solo ebrei, ma anche italiani: Todaro Williams 1974b, 152) come portatori di una sotto-cultura pronta ad abbracciare in massa idee anarchiche e comuniste. Sul finire della vita, scrivendo all’amico di sempre Alceu Amoroso Lima, Jackson sembra considerare l’anti-giudaismo più come un difetto di carattere e di cultura che come un’idea che è disposto a difendere sul piano dottrinale: «Sono davvero malato, Alceu. Non mi piacciono gli ebrei. Non riesco neppure a trattarli con giustizia. Non mi piacciono neppure le caratteristiche che di solito mi piacciono, se le trovo in un ebreo» (lettera del 19-20 ottobre 1927, cit. in Todaro Williams 1974b, 152).

Plinio Corrêa de Oliveira riprenderà da Jackson de Figueiredo un interesse per gli «ambienti», un amore per l’eleganza e un odio per la volgarità, senza però attribuire quest’ultima a determinati gruppi etnici o sociali. Si tratta di un tema di grande importanza. Molto prima della celebrata micro-sociologia contemporanea di studiosi come Randall Collins (cfr. Collins 2004), la linea di pensiero che va da Jackson de Figueiredo a Plinio Corrêa de Oliveira (che sarebbe interessante paragonare alla «psicologia sociale» di un sociologo anch’egli brasiliano, Francisco José de Oliveira Vianna, 1883-1951: cfr. Cantoni 1997, 118) nota l’influenza della cultura popolare, dei piccoli rituali quotidiani della buona educazione, degli abiti, dei cibi, dei passatempi sulla formazione delle idee. Nello stesso tempo, Corrêa de Oliveira unirà alla denuncia della «cultura di Hollywood» un apprezzamento per il ruolo politico svolto dagli Stati Uniti nella lotta per la difesa dei valori occidentali contro il comunismo, e anche contro il nazional-socialismo e i regimi autoritari e statalisti europei, per i quali non avrà alcun apprezzamento.

Gli ultimi anni di Jackson sono anche caratterizzati da un ritorno nell’opera poetica e letteraria sul tema, caro ai decadentisti, della morte. La caduta da uno scoglio e la morte per annegamento avvenuta a Barra de Tijuca il 4 novembre 1928, mentre pesca con il figlio e con un amico, sono per i suoi sostenitori – e per la Chiesa brasiliana dell’epoca – il risultato di una tragica fatalità. Per gli avversari, se non di un vero e proprio suicidio, si tratta invece (psicoanaliticamente) dell’emergere «di uno scenario che già esisteva nel suo inconscio» (Todaro Williams 1974b, 162). Ma questo genere di speculazioni lascia molto perplessi, così come è inutile chiedersi se, di fronte al precipitare della tragedia europea, Jackson avrebbe finito per correggere i giudizi inizialmente positivi sul fascismo. È più corretto ricordare anzitutto l’impatto enorme della sua scelta per la Chiesa – paragonabile, in Italia, all’effetto che avrebbe prodotto un’ipotetica conversione di un Gabriele d’Annunzio (1863-1938) all’apice della sua fama – che, insieme all’opera dell’arcivescovo Leme, crea il Risveglio Cattolico degli anni 1920. E ricordare, quindi, il grande bene che Jackson ha fatto al cattolicesimo brasiliano in un’epoca difficile della sua storia, deponendo nella sua cultura semi di Contro-Rivoluzione che, depurati da talune scorie che si possono attribuire alla peculiare personalità dell’illustre convertito, sarebbero germogliati nella generazione immediatamente successiva alla sua.

 

La sfida di Vargas e la risposta della LEC

Nel 1930, con il colpo di Stato di Getúlio Vargas (1882-1954), finisce la República Velha (1889-1930), la prima Repubblica brasiliana. Formatosi nel positivismo, Vargas è un personaggio complesso. Lo statalismo e il centralismo lo avvicinano da una parte ai regimi autoritari europei della sua epoca, dall’altra al New Deal e al Welfare State (in opposizione al quale, precisamente, si costituisce il moderno movimento conservatore americano) del presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt (1882-1945). Vargas utilizza una retorica tipicamente populista e non esita a servirsi per i suoi scopi di strumenti e alleati contraddittori: elezioni e colpi di Stato, cattolici e anticlericali, socialisti vicini al comunismo e anticomunisti viscerali, le camicie verdi di Plínio Salgado e i loro avversari (quando Salgado e le sue simpatie per l’Asse diventeranno scomode, Vargas non esiterà prima a imprigionarlo e poi a mandarlo in esilio). L’enigmatico Vargas non rassicura né la Chiesa cattolica né la maggioranza dell’opinione pubblica brasiliana. Nel 1931, in maggio e in ottobre, il cardinale Leme e il Centro Dom Vital organizzano due grandi manifestazioni popolari che – mentre circolano voci d’introduzione del divorzio – non criticano direttamente il governo ma lo invitano a rispettare i principi cattolici (do Santo Rosario 1962, 289). Una rivolta detta «costituzionalista» scoppia a San Paolo il 9 luglio 1932. Vargas risponde non solo reprimendo la rivolta sul piano militare, ma offrendo anche una data per le elezioni di un’Assemblea Costituente: il 3 maggio 1933.

Il sistema elettorale scelto è molto complesso, e include per la prima volta nella storia del Brasile il diritto di voto per le donne, un’innovazione cui è favorevole il cardinale Leme, che si attende dall’elettorato femminile una scelta prevalente per i candidati cattolici. La legge prevede la consegna all’elettore di due schede, una per la scelta di un solo candidato, e un’altra su cui potrà scrivere un numero massimo di nomi pari ai seggi da assegnare nel suo distretto più uno, traendoli anche da partiti diversi. Nell’estate del 1932 il cardinale Leme – che continua a essere il motore dell’impegno sociale e politico dei cattolici brasiliani – organizza diverse riunioni di esponenti dell’episcopato, che si trova di fronte alla scelta fra un partito cattolico e una lega elettorale quali erano state dapprima in Italia la UECI, l’Unione Elettorale Cattolica Italiana, che anziché costituirsi in partito politico aveva sottoposto ai candidati una lista di impegni irrinunciabili (sette, il cosiddetto «eptalogo», nelle elezioni del 1913), sostenendo poi quei candidati che li avevano sottoscritti, quindi in Francia la Fédération Nationale Catholique (FNC) del generale Edouard de Curières de Castelnau (1851-1944), fondata nel 1925. Il sistema elettorale in vigore in Brasile – fondato su una legge del 1932 (decreto 24 febbraio 1932, n. 21.076, istitutivo del Codice Elettorale) che permette all’elettore di votare nello stesso tempo per candidati di diversi partiti – favorisce di per sé una soluzione simile alla UECI italiana e alla FNC francese, e così si orienta l’episcopato, dove molti vescovi – memori anche delle difficoltà del Partido Católico, che era stato fondato nel XIX secolo subito dopo la proclamazione della Repubblica – non sono favorevoli all’idea di un partito unico dei cattolici.

Nasce così la Liga Eleitoral Católica (LEC), che propone ai candidati all’Assemblea Costituente non un «eptalogo» come aveva fatto la UECI ma un decalogo:
«(1) promulgazione della nuova Costituzione nel nome di Dio;
(2) riconoscimento costituzionale dell’indissolubilità del matrimonio e della validità civile del matrimonio religioso;
(3) istruzione religiosa cattolica nelle scuole pubbliche primarie e secondarie durante il normale orario scolastico;
(4). assistenza religiosa cattolica garantita per le Forze Armate, le prigioni e gli ospedali;
(5) pluralismo e libertà sindacale;
(6) esenzione del clero dal servizio militare obbligatorio in armi;
(7) legislazione sul lavoro ispirata alla giustizia sociale e ai principi dell’ordine cristiano;
(8) difesa del diritto di proprietà privata;
(9) preservazione dell’ordine sociale contro ogni attività sovversiva;
(10) eliminazione di ogni legislazione che si opponga implicitamente o esplicitamente a principi fondamentali della dottrina cattolica» (Junta National da LEC 1932, 1-2).

Di questi impegni i numeri (2), (3) e (4) sono considerati «irrinunciabili»: come si vede, si tratta della famiglia e dell’educazione, due dei tre «principi non negoziabili» che saranno ripetutamente enunciati nel XXI secolo da Papa Benedetto XVI (il terzo, la vita, non viene qui in questione dal momento che nel 1932 in Brasile nessuno propone l’aborto o l’eutanasia, ed è «sostituito» dalla garanzia della presenza di cappellani nelle Forze Armate, nelle prigioni e negli ospedali, che in altri Paesi latino-americani come il Messico era negata). Il candidato non deve limitarsi a sottoscrivere l’impegno – quasi nascondendolo al suo partito – ma deve invece allegare un’autorizzazione della direzione del partito, secondo una vera e propria formula contrattuale:

«Tra la Giunta ___ [Statale, Regionale o Locale] di ___ della Lega Elettorale Cattolica, rappresentata dai sottoscritti membri, e il Signor ___, candidato alla carica di deputato per il distretto di ___ nelle prossime elezioni per l’Assemblea Costituente, si stipulano i seguenti reciproci impegni alle seguenti condizioni:

(1) La Giunta ___ [Statale, Regionale o Locale] della Lega Elettorale Cattolica includerà il nome del Signor ___ nella lista dei suoi candidati elettorali raccomandati.
(2) Il Signor ___ s’impegna, in caso di elezione, a difendere nell’Assemblea Costituente i seguenti punti del programma della LEC:
(a)
(b)
(c)
ecc.
(3) Entrambe le parti s’impegnano con la loro parola d’onore a dare corso fedelmente a quanto è qui stipulato.
(4) Allegata al presente Atto è l’autorizzazione della Direzione del Partito ___ che autorizza il suo candidato Signor ___ a sottoscrivere questo impegno» (Junta National da LEC 1932, 8-9).

Sul piano organizzativo la LEC è guidata da laici, che peraltro si consultano regolarmente con i vescovi, e si articola in una Giunta Nazionale, in Giunte Statali nei singoli Stati del Brasile federale, Giunte Regionali (diocesane) e Giunte Locali (parrocchiali). Di fatto le Giunte Statali del Distretto Federale (cioè della capitale del Brasile, che è allora Rio de Janeiro, prima del trasferimento nel 1960 della capitale – e del Distretto Federale – a Brasilia) e di San Paolo, che si occupano delle due maggiori metropoli del Paese, dominano la politica della LEC, anche se la Giunta del Distretto Federale, che opera a stretto contatto con il cardinale Leme e comprende molti dirigenti del Centro Dom Vital (fra cui il suo presidente, Alceu Amoroso Lima), coincide ampiamente con la Giunta Nazionale (Todaro Williams 1974a, Lustosa 1983). La LEC si occupa anzitutto di convincere i cattolici a registrarsi nelle liste elettorali (in mancanza di registrazione non potrebbero votare); quindi indica i candidati che hanno sottoscritto l’impegno con la LEC e a quali punti del programma della LEC hanno aderito, invita i cattolici a votarli e assicura che vigilerà sul rispetto degli impegni presi. Come si è accennato, il sistema elettorale che permette all’elettore di votare una lista relativamente lunga di candidati scelti anche tra diversi partiti si rivela ideale per la LEC, che può munire gli elettori cattolici di foglietti con l’elenco dei nomi di candidati da trascrivere sulla seconda delle due schede elettorali (sulla prima l’elettore indica un solo nome). La richiesta dell’autorizzazione scritta del partito fa sì che questo non possa poi all’Assemblea Costituente ignorare l’impegno sottoscritto dal candidato con la LEC, invitandolo a votare piuttosto secondo la disciplina di partito.

Il sistema non funziona perfettamente ovunque. Nello Stato di Rio Grande do Sul l’intervento dell’arcivescovo di Porto Alegre monsignor João Baptista Becker (1870-1946), personalmente piuttosto favorevole al regime di Vargas, induce la locale LEC a sostenere attivamente il filo-governativo Partito Repubblicano Liberale, che nello Stato peraltro sottoscrive in quanto partito i tre punti «irrinunciabili» del programma della LEC, ancorché anche tra i partiti di opposizione ci siano candidati che sottoscrivono gli stessi punti e una parte del clero e del laicato si opponga all’arcivescovo (Todaro Williams 1974a, 312-315). L’episodio dimostra come, in caso di conflitto, prevalga ultimamente il parere dei vescovi.

Un altro caso particolare – di notevole importanza – è quello dello Stato di San Paolo. Qui, sotto gli auspici della Camera di Commercio dello Stato (memore del fatto che la rivolta «costituzionalista» del 1932 era scoppiata anche perché Vargas era ritenuto ostile agli interessi di San Paolo), è presentata una lista unica (Chapa Única) che comprende tutti i partiti che hanno qualche speranza di successo, uniti dal motto «Gli interessi superiori di San Paolo sono al di sopra degli interessi di partito». Evidentemente, la lista unica è certa di eleggere tutti i suoi candidati, con o senza l’appoggio della LEC. Come assicurare che i princìpi cattolici siano rappresentati all’Assemblea Costituente anche nella delegazione di San Paolo (che non è certo l’ultima del Brasile)? Il segretario generale della Giunta Statale di San Paolo si rivolge alla Giunta Nazionale che, in deroga al principio secondo cui i dirigenti della LEC non si presentano come candidati e non aderiscono a partiti, sulla base della considerazione secondo cui la Chapa Única non è un partito, autorizza lo stesso segretario generale e altri due esponenti della LEC locale a entrare in tale lista unica. La deroga di San Paolo sarebbe poi stata usata per casi individuali anche in altri Stati.

Il segretario generale della Giunta Statale della LEC di San Paolo è un giovane da poco (1930) laureato in legge: Plinio Corrêa de Oliveira, che proviene dal mondo delle Congregazioni Mariane – uno dei centri motori del Risveglio Cattolico degli anni 1920 – ed è stato fra i fondatori dell’attiva Azione Universitaria Cattolica di San Paolo. È stato con la LEC fin dal momento della fondazione, e ha contribuito a elaborarne le idee guida. Sarà anche uno dei protagonisti della vittoria della LEC nelle elezioni per l’Assemblea Costituente. Secondo la citata storica statunitense Margaret Todaro Williams, «la vittoria elettorale dei candidati “certificati” dalla LEC va al di là delle attese anche dei suoi più ottimisti sostenitori» (Todaro Williams 1974a, 317). Il successo è pieno sul piano elettorale, sul piano dell’immagine e sul piano politico. Sul piano elettorale la LEC fa eleggere nelle elezioni del 1933 un numero di deputati in grado di condizionare i lavori dell’Assemblea: «la sua vittoria è schiacciante» (Todaro Williams 1974a, 318). Quanto all’immagine, Plinio Corrêa de Oliveira a San Paolo – a soli ventiquattro anni – entra all’Assemblea come il candidato più votato dell’intero Brasile. Sul piano politico, infine, l’Assemblea Costituente nel 1934 vota una Costituzione che non comprende solo i tre punti «irrinunciabili» del programma della LEC, ma anche gli altri sette. La LEC si conquista la gratitudine imperitura dei cattolici brasiliani e della gerarchia ecclesiastica. Ma non quella del presidente Getúlio Vargas.

 

La riforma elettorale del 1935, il colpo di Stato del 1937 e la fine della LEC

Non c’è dubbio che la «vittoria schiacciante» della LEC nel 1933 sia stata facilitata da un sistema elettorale che consente agli elettori di scegliere le persone prima dei partiti. Vargas risponde nel 1935 con un nuovo Codice Elettorale (legge 4 maggio 1935, n. 48), che riduce le due schede a una sola e permette all’elettore – pur mantenendo le preferenze – di votare per un solo partito (escludendo dunque la possibilità di scegliere singoli candidati di diversi partiti secondo il sistema del Codice Elettorale del 1932). Per testimonianza unanime, il Codice Elettorale del 1932 aveva salvato il Brasile dai brogli consueti nelle precedenti elezioni. Le proteste contro la legge elettorale del 1932 (non così inconsueta, dal momento che sistemi di split ticket in base ai quali si può votare per singoli candidati di diversi partiti esistono ancora oggi in vari Paesi) venivano da uomini politici disturbati dall’azione della LEC e non dagli elettori. All’elettorato brasiliano non era chiaro perché si dovesse cambiare il Codice Elettorale dopo soli tre anni dalla sua entrata in vigore. Secondo la testimonianza di Osvaldo Euclides de Sousa Aranha (1894-1960), uomo politico e illustre diplomatico brasiliano (nel 1947 sarà presidente dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite) che è all’epoca il più fedele amico e alleato di Vargas, il Codice Elettorale del 1935 «fu creato espressamente contro la LEC. Protetta dalla sua posizione non partitica, la LEC stava disturbando eccessivamente i partiti» (cit. in Amoroso Lima 1958, 63).

Con il Codice Elettorale del 1935 è certo ancora possibile indicare preferenze. Ma occorre prima votare per un partito, ed è possibile che il candidato cui è andata la preferenza dell’elettore cattolico non sia eletto e che il suo voto a quel partito porti invece all’elezione di un candidato anticlericale della stessa lista che abbia ricevuto un numero di preferenze maggiore. La questione diventa comunque puramente teorica nel 1937, quando Vargas con un ulteriore colpo di Stato scioglie i partiti e instaura la dittatura, l’Estado Novo, che durerà fino al 1945. La LEC è a sua volta anch’essa sciolta.

La reazione dei tre principali protagonisti della vittoriosa stagione della LEC a questi avvenimenti prende diverse direzioni. Alceu Amoroso Lima, sotto l’influenza degli scritti dell’epoca del filosofo francese Jacques Maritain (1882-1973), finisce per criticare la strategia che aveva portato alla scelta della LEC e a operare per la fondazione nei vari Paesi del Sudamerica di partiti democratico-cristiani. Plinio Corrêa de Oliveira distingue fra una sfera politica in senso proprio e una partitica, impegnandosi nell’Azione Cattolica per un’azione pre-politica e pre-partitica secondo le indicazioni del magistero sociale pontificio, fino a quando la crisi dell’Azione Cattolica brasiliana lo porterà nel 1960 a fondare la Società Brasiliana di Difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP), primo nucleo di un movimento destinato ad assumere dimensioni internazionali. Il cardinale Sebastião Leme opta per una cauta collaborazione con la dittatura di Vargas, convinto che «la vera utilità della LEC non fosse stata tanto in quello che aveva cercato di compiere e ottenuto, ma nel modo in cui aveva trasformato la percezione di Vargas quanto al peso politico della Chiesa» (Todaro Williams 1974a, 320). Il dittatore aveva potuto misurare – grazie alla sfida della LEC – quanto contasse la Chiesa in Brasile, e quante e quali forze fosse in grado di mobilitare. Il cardinale Leme decide di giocare su questa percezione per convincere Vargas a mantenere almeno i principi «irrinunciabili» del programma della LEC nella Costituzione dell’Estado Novo e nella politica del regime. Leme muore nel 1942, prima della fine dell’Estado Novo, forse senza avere potuto misurare quanto la sua acquiescenza al regime, pure ottenendo alcuni vantaggi concreti per la Chiesa, ne abbia dato un’immagine di istituzione «cooptabile» (Todaro Williams 1974a, 322), meno capace di quanto era stata in passato di denunciare con vigore le ideologie stataliste e centraliste dominanti (altri vescovi bene intenzionati, nello stesso periodo, si esporranno in diversi Paesi del mondo alle stesse critiche).

Quanto alle figure di seconda fila della LEC, s’incontrano talora traiettorie paradossali, che testimoniano tutto il disorientamento dell’epoca. È il caso del sacerdote Hélder Pessoa Câmara (1909-1999), che aveva coniato lo slogan «un voto per la LEC è un voto per Nostro Signore Gesù Cristo» (Todaro Williams 1974a, 310). Deluso dagli sviluppi successivi, don Câmara diventa uno dei leader dell’Azione Integralista Brasiliana di Plínio Salgado, una sorta di «cappellano» delle «camicie verdi», prima di una clamorosa «svolta a sinistra» dopo la consacrazione episcopale del 1952 (Serbin 1996), che ne fa negli anni in cui è arcivescovo di Olinda e Recife (1964-1985) il protagonista, dal seggio episcopale che era stato di dom Vital e del cardinale Leme, di una delle più accese campagne in favore della «teologia della liberazione».

L’avventura della LEC e, in genere, tutto il periodo del Risveglio Cattolico in Brasile che va dalla lettera pastorale dell’arcivescovo Leme del 1916 alla sua morte nel 1942 e alla grave crisi dell’Azione Cattolica del 1943 – tema del primo volume importante di Plinio Corrêa de Oliveira (1943) –, passando per la clamorosa conversione di Jackson de Figueiredo nel 1918 e per la vittoria elettorale del 1933, non vanno comunque dimenticati. Se determina una forte reazione del secolarismo e del laicismo – la quale finirà per avere ripercussioni anche interne alla Chiesa, così che proprio il Brasile sarà uno dei Paesi più colpiti dalla crisi «progressista» e dalla «teologia della liberazione» d’impronta marxista – fa anche sì che sia precisamente in Brasile che, attraverso l’opera matura di Plinio Corrêa de Oliveira, la scuola cattolica contro-rivoluzionaria conosca nella seconda parte del secolo XX uno dei suoi più significativi sviluppi.

 

Riferimenti bibliografici

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