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Teologia della liberazione, comunismo e suicidio. A trent’anni dalla tragedia del Tempio del Popolo a Jonestown

di Massimo Introvigne

imgTrent’anni fa, la sera del 18 novembre 1978, 918 membri del Tempio del Popolo, il movimento americano fondato dal reverendo Jim Jones (1931-1978), muoiono a Jonestown, la città che hanno fondato nella giungla della Guyana, nel più tragico suicidio di massa del XX secolo. Gli episodi successivi del movimento esoterico Ordine del Tempio Solare (ripetutisi tre volte nel 1994, 1995 e 1997 in Svizzera, Francia e Québec) e del culto dei dischi volanti Heaven’s Gate (a Rancho Santa Fe, in California, nel 1997) sono certo ugualmente tragici, ma con dimensioni numericamente assai più modeste. Sono anche episodi molto diversi, così che lo stereotipo della “setta”, che alcuni media hanno riesumato in occasione delle rievocazioni del trentennale, richiede di essere precisato. Infatti, anzitutto, formalmente l’organizzazione di Jim Jones non era un nuovo movimento religioso. Era un movimento laicale all’interno di una rispettata denominazione protestante liberal, i Discepoli di Cristo. Ancora nell’anno del suicidio, il 1978, l’annuario dei Discepoli di Cristo citava il Tempio del Popolo fra i movimenti, e Jim Jones fra i pastori, riconosciuti dalla denominazione.

Più importante ancora – per capire le specificità di Jonestown – è la discussione sul ruolo dei fattori, rispettivamente, interni ed esterni, nella genesi della tragedia. La studiosa della Loyola University di New Orleans Catherine Wessinger e Rebecca Moore, sociologa della San Diego State University le cui due sorelle sono state fra le principali dirigenti del Tempio del Popolo e sono morte nella tragedia del 1978, insistono sui fattori esterni, sull’impressione che Jim Jones aveva di essere perseguitato e spiato dal governo americano. Personalmente ho intitolato un libro sul tema, del 1995, Idee che uccidono, in quanto ritengo che – per quanto i fattori esterni non debbano essere sottovalutati – ultimamente è l’ideologia a spiegare perché un gruppo in conflitto con la società arriva al suicidio mentre altri reagiscono in modi meno tragici. La questione essenziale riguarda però la natura del Tempio del Popolo: “setta” o movimento religioso oppure gruppo politico estremista? O entrambi? Il professor John R. Hall (dal cui Gone from the Promised Land del 1987, tuttora il libro più importante su Jim Jones e che ha avuto una seconda edizione nel 2004, sono tratte le citazioni che seguono), definisce l’operazione di Jones “un inganno fondato sull’uso della religione per promuovere il socialismo”, e ritiene che i numerosi riferimenti a Dio nel linguaggio del Tempio del Popolo fossero semplici metafore che rimandavano alla nozione marxista di un mondo in evoluzione verso il comunismo. Altri interpreti sono più perplessi, e vedono nell’ideologia di Jim Jones una forma estrema di “teologia della liberazione” di impronta marxista, non priva però di un riferimento cristiano, più o meno vago ma non solo e necessariamente posticcio.

I documenti pubblicati da John R. Hall e da altri studiosi illuminano la singolare carriera di Jim Jones. Nato nell’Indiana – terra di predicatori, ma anche di radicalismo politico - Jones, secondo l’espressione di Hall, già da giovanissimo “s’innamora di Stalin e dei sovietici”. Non studia religione, ma sociologia, laureandosi (con fatica) alla Butler University. Vorrebbe iscriversi al piccolo Partito Comunista degli Stati Uniti, ma – secondo un resoconto dello stesso Jim Jones – un dirigente gli consiglia: “Non diventare un membro del Partito – lavora per il Partito”, suggerimento che Jones (sono sempre parole sue) traduce in un compito che eseguirà con successo: “Infiltra una Chiesa”. Diventa così pastore pentecostale, “usando – per citare ancora John R. Hall – i diritti dei neri come grido di richiamo per un movimento di agitazione comunista”, quindi pastore indipendente, finché nel 1960 è accolto dai Discepoli di Cristo. Fonda il Tempio del Popolo, che diventa un movimento laicale all’interno dei Discepoli di Cristo con un forte orientamento verso la teologia della liberazione d’impronta marxista. Sostenuto dalla moglie del futuro presidente Carter, Rosalynn, inizia una carriera all’interno del Partito Democratico. Nel frattempo invita i suoi seguaci a vivere in comune e raccoglie un notevole seguito soprattutto fra i più poveri e fra le minoranze etniche. Negli anni 1970 a San Francisco fa parte della “squadra” di George Moscone (1929-1978), l’uomo politico radicale (e omosessuale) che nel 1976 conquista il comune alla testa di una variopinta coalizione di minoranze. Il sindaco Moscone ricompensa Jones con una carica – Commissario per gli alloggi – equivalente a quella di assessore. Ma la California degli anni 1970 non è solo lo Stato di Moscone. E’ anche lo Stato di Ronald Reagan (1911-2004), e di una stampa repubblicana che scopre rapidamente gli scheletri nell’armadio del reverendo assessore Jones. Nelle sue comunità – che assomigliano alle comuni californiane sia politiche sia religiose – si pratica, secondo un discorso dello stesso Jones puntualmente registrato dai suoi avversari, “la via socialista che comporta la condivisione dei mariti e delle mogli”. Il reverendo ha decine di relazioni sia eterosessuali sia omosessuali; si parla anche di depositi di armi e di contatti con i servizi segreti cubani. I Discepoli di Cristo lo difendono, ma Jones fiuta il vento infido. Nel 1977 rompe gli indugi e parte per la Guyana, dove realizza nella giungla il suo sogno più megalomane: un’intera città votata alla sua gloria e organizzata secondo le sue idee, Jonestown, la “città di Jones” dove si trasferisce con un migliaio di seguaci.

Riferimenti a Gesù Cristo (ma non alla Bibbia, chiamata anzi “il nemico”) coesistono nei sermoni di Jones riservati ai membri del Tempio del Popolo con espressioni che fanno ritenere a una parte degli studiosi che quella religiosa sia piuttosto una facciata. Jones dichiara che “i gloriosi fini del socialismo giustificano i mezzi”, e Hall lo descrive come “congelato in un orientamento leninista-stalinista”, in un “accostamento stalinista al bolscevismo”. In Guyana – secondo gli studi di Rebecca Moore – l’orientamento si fa ancora più esplicito. Uno striscione proclama “Qui nessuno crede in Dio”, e l’inno canta: “Siamo comunisti oggi, e ne siamo felici”. Qualche riferimento a Dio – ma a quale Dio? - riecheggia però, contraddittoriamente, ancora in diversi sermoni. Molti dei cittadini di Jonestown sono disoccupati più o meno disperati, ma alcuni sono rampolli di buone famiglie, che si preoccupano e chiedono alle autorità di indagare. Così il 17 novembre 1978 un deputato, Leo Ryan (1925-1978), arriva a Jonestown, accompagnato da familari di membri del Tempio del Popolo e giornalisti. È possibile che l’atteggiamento di alcuni accompagnatori di Ryan sia stato, come alcuni oggi ritengono, inutilmente provocatorio. Ma nulla giustifica la reazione: dopo un tentativo di accoltellamento, Ryan è abbattuto con altre cinque persone mentre il suo aereo sta ripartendo dalla vicina Port Kaituma dal servizio di sicurezza del Tempio, chiamato (con allusione non casuale al movimento terroristico italiano di cui Jones era grande ammiratore) “Brigata Rossa”. Jones annuncia che è avvenuto l’irreparabile, e – dopo avere inviato il denaro del Tempio all’erede designato, l’ambasciata sovietica in Guyana (un fatto oggi confermato, al di là di ogni possibile dubbio, da documenti emersi dagli archivi dell’ex Unione Sovietica e da quelli statunitensi) – propone, come si sente in un nastro registrato ritrovato a Jonestown, “un suicidio di massa per la gloria del socialismo”. Chi accetta beve un letale miscuglio di cianuro, sedativi e dolcificante. Chi non accetta – tra cui numerosi bambini, così che il suicidio è anche un omicidio – è ammazzato a revolverate. L’ultimo messaggio, mentre il nastro del registratore sta per finire, è di Jim Jones: “Non ci siamo suicidati. Abbiamo compiuto un atto di suicidio rivoluzionario per protestare contro le condizioni di un mondo inumano”.

Certo la politica, i contatti con i servizi sovietici e cubani, la sorveglianza della CIA hanno alimentato aspetti paranoici del carattere di Jones e  contribuito alla tragedia. Ma certo molte responsabilità ultime sono delle “idee che uccidono” che il Tempio del Popolo aveva diffuso a piene mani. Era una miscuglio esplosivo tipico degli anni 1970, il che rende Jonestown un caso diverso dal Tempio Solare o da Heaven’s Gate (anche se in questi episodi degli anni 1990 il desiderio di “imitare” Jonestown è stato proclamato esplicitamente dai leader). Jonestown, secondo diversi studiosi che hanno partecipato a dibattiti e tavole rotonde in occasione del trentennale, non fa parte solo della storia dei movimenti religiosi ma anche di quella delle conseguenze malate del 1968, e la mentalità dei suoi dirigenti più che a quella dei capi delle “sette” dovrebbe essere paragonata alle idee e agli atteggiamenti dei leader delle Brigate Rosse o di altri movimenti terroristici di estrema sinistra, tutti alimentati anche dalla teologia della liberazione d’ispirazione marxista che non è un fenomeno soltanto cattolico ma anche protestante (lo stesso “processo di formazione del terrorismo italiano”, secondo uno scritto del 1992, Svolta dell’Europa? [pp. 125-126], dell’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede cardinale Joseph Ratzinger, “rimane incompensibile” se non si studiano le sue radici in questa teologia). C’è anche un altro aspetto per cui Jones è figlio del 1968 e della sua versione americana, “the Sixties”: per lui la rivoluzione sessuale era inseparabile dalla rivoluzione comunista. Dopo trent’anni risuonano ancora sinistre queste parole terribili: “L’ultimo orgasmo che mi piacerà avere sarà la morte, se potrò portarvi tutti con me”.