Colpisce come molti non credenti - non solo in Italia ma negli Stati Uniti, in Francia e perfino in Cina - abbiano aderito all’appello del cardinale Ruini per esprimere a Piazza San Pietro solidarietà a Benedetto XVI. E molti fanno riferimento al magnifico discorso, diffuso dalla Santa Sede, che al Papa è stato impedito di pronunciare alla Sapienza.
La linea che percorre tutto il magistero di Benedetto XVI è che oggi non è in crisi soltanto la fede, ma anche la ragione. Ai credenti nelle varie religioni - specie a quelli, come i musulmani, da qualche secolo sospettosi nei confronti della ragione - il Papa ricorda il necessario dialogo fra fede e ragione. Ai non credenti Benedetto XVI parla in nome della ragione, che sola può costruire quella che il Papa chiama una grammatica comune della vita sociale che s’imponga ai cattolici come agli atei, ai cristiani come ai musulmani e ai buddhisti, e consenta loro di vivere in pace.
Mentre altre voci tacciono, quella del Papa si leva alta e forte per difendere l’esistenza della verità, la capacità della ragione umana di conoscerla - sia pure mai in modo completo e perfetto - e di trarne regole comuni su temi come la libertà, la giustizia, la vita, la famiglia.
Nel discorso che avrebbe voluto pronunciare alla Sapienza Benedetto XVI affronta le due principali obiezioni che gli sono rivolte su questo punto. C’è, anzitutto, chi sostiene - come Vattimo e altri teorici del relativismo - che la verità non esiste. Ciascuno ha la sua verità, e nessuna è più vera delle altre. Il Papa risponde, con il filosofo non credente Jürgen Habermas, che questa è una posizione che nel 2008 semplicemente non ci possiamo permettere. Se la verità di chi difende la libertà e la giustizia è considerata moralmente uguale alla verità di Hitler o di Bin Laden rimaniamo disarmati di fronte al nazista o al terrorista. La stessa democrazia, scrive Habermas, può oggi essere difesa solo con argomenti «sensibili all’idea di verità».
Secondo: anche tra chi non nega il valore della ragione, c’è chi sostiene che il Papa in realtà «trae i suoi giudizi dalla fede» e poi li spaccia come razionali. Bene, risponde Benedetto XVI: giudicate i miei argomenti in modo laico, sulla base del vostro esercizio della ragione e del buon senso. Il Papa cita un altro filosofo non cattolico, John Rawls, il quale sosteneva che i giudizi proposti dalla Chiesa in nome della ragione non devono essere considerati a priori più veri di quelli esposti da altri; ma neanche pregiudizialmente meno veri solo perché è la Chiesa a proporli. Anzi, la Chiesa per Rawls ha dalla sua una lunga «tradizione responsabile e motivata», per cui va semmai ascoltata con più attenzione dell’ultimo sofista.
È perché vedono in lui, contro un relativismo che disarma l’Occidente nei confronti dei suoi avversari, un testimone appassionato della ragione e della libertà, che tanti non credenti sono oggi in piazza a fianco del Papa.