Introduzione
Ricostruire la storia del movimento pentecostale in Italia significa trovarsi di fronte a due sostanziali difficoltà. La prima è la difficile reperibilità delle fonti storiche la seconda è dovuta all’assenza di un metodo di ricerca scientifica su come ricostruire la storia del movimento pentecostale. Per quanto riguarda le fonti storiche si tratta praticamente di una duplice difficoltà: c’ è stata poca ricerca sul movimento in relazione alla sua enorme diffusione e, fatto non trascurabile, sono stati pochi i pionieri che si sono interessati alla trasmissione scritta della storia delle origini del movimento. Per quanto riguarda l’altro punto si sta tentando, in taluni ambiti, di ricostruire una metodologia delle ricerca storica inerente il movimento pentecostale che tenga conto di fatti ed interpretazioni storiche che devono ritenersi ormai acquisiti.
Le origini (1908-1929)
La dinamica della spiritualità pentecostale non ha seguito strade omogenee nelle varie nazioni in cui il movimento pentecostale si è sviluppato e diffuso. Il pentecostalesimo italiano rappresenta, dunque, uno di questi filoni che per caratteristiche socioculturali si delinea con una sua precisa specificità. Una valutazione del pentecostalesimo italiano deve tenere conto del rilievo internazionale che nel corso degli anni ha assunto in ragione di una diffusione che, essendosi realizzata lungo le vie dell’emigrazione avvenuta all’inizio del Novecento, ha contribuito per molti versi a mantenere vivo il senso dell’identità nazionale nei luoghi verso i quali essa conduceva caratterizzandolo come “un fenomeno nel fenomeno” di cui la configurazione assunta in Italia è solo un’appendice; esiste, infatti, un pentecostalesimo di matrice italiana in Sud America (segnatamente in Brasile ed in Argentina) di gran lunga più numeroso e significativo di quello presente in Italia e ne esiste uno in Nord America e in Nord Europa meno numeroso, ma con una sua caratterizzazione rilevante. Il pentecostalesimo italiano, come anche quello mondiale, ha avuto come sua caratteristica di espandersi in modo autonomo e autoctono; non esisteva alle origini una strategia missionaria di espansione, ma la propagazione avveniva molto spesso per iniziativa individuale e assumeva forme e caratteri che risentivano del contesto entro il quale si diffondeva. In Italia soprattutto questo atteggiamento fu molto marcato e ciò ha fatto in modo che nelle varie regioni e, persino all’interno delle stesse regioni, nascessero e si sviluppassero comunità pentecostali che spesso divergevano su determinate questioni; spesso le divergenze non riguardavano differenze dottrinali e teologiche in senso stretto, ma piuttosto la concezione della struttura ecclesiastica. Il pentecostalesimo, inoltre, non nacque per un dissenso teologico o ecclesiologico, ma sulla base di un’ esperienza spirituale che accomunava tutti quelli che la realizzavano. Quando i primi pentecostali furono costretti ad organizzare il movimento e delinearne una struttura organizzativa, perché rifiutati dalle chiese di origine, si rifecero ognuno ai modelli organizzativi dai quali provenivano. Ciò spiega la frammentazione organizzativa della presenza pentecostale in Italia e nel mondo, nonostante vi siano ormai denominazioni pentecostali che aggregano centinaia di migliaia di credenti.
Date queste premesse e secondo rigorose ricostruzioni storiche, il 15 settembre 1907 può essere considerata la data in cui ebbe inizio il movimento pentecostale italiano. Pietro Ottolini descrisse quel momento come “un giorno di sacra memoria” e Luigi Francescon lo definì “l’indimenticabile 15 settembre”. Entrambi furono tra i più significativi pionieri del movimento pentecostale italiano e le loro espressioni possono ritenersi, oltre che storicamente attendibili, patrimonio comune del movimento pentecostale italiano, a prescindere dalle divisioni e le lacerazioni che sono nate al suo interno durante il Novecento. Nell’aprile del 1907 Luigi Francescon conobbe il pastore William H. Durham (1873 - 1912), il quale aveva ricevuto lo Spirito Santo a Los Angeles l’anno precedente. Il suo cuore e la sua mente si aprirono alla fede pentecostale e il 25 agosto dello stesso anno egli sperimentò il battesimo dello Spirito Santo. Il 9 e 10 di settembre anche Pietro Ottolini ricevette il battesimo dello Spirito Santo. L’esperienza di fede pentecostale si diffuse anche nella chiesa presbiteriana italiana di Chicago. Il 15 settembre del 1907 quindi, l’Assemblea Cristiana di Chicago divenne la prima Chiesa pentecostale italiana (al numero 1139 di W. Grand Avenue), i cui culti erano presieduti da Pietro Ottolini e la predicazione affidata a Luigi Francescon. Alcuni emigrati italiani convertiti, raggiunsero la nostra nazione, adoperandosi per l’evangelizzazione e la diffusione dell’Evangelo. Tra i nomi più noti del movimento italiano si ricordano Luigi Francescon, Pietro Ottolini, Giacomo Lombardi, Lucia Menna, Umberto Gazzeri e Giuseppe Petrelli. Nel novembre del 1908 Giacomo Lombardi, originario di Prezza (L’Aquila), un emigrato senza alcuna istruzione, giunse in Italia ed evangelizzò un amico di infanzia che abitava a Roma. Si formò un piccolo gruppo di credenti, il quale per circa due anni si riunì presso la casa privata dell’amico romano per lodare Dio e dopo un breve periodo, si costituì in comunità cristiana evangelica pentecostale. Nel 1909 Giacomo Lombardi ritornò negli Stati Uniti iniziando con Luigi Francescon un’opera fra gli italiani in Argentina e in Brasile. Nel 1910 Pietro Ottolini si trasferì in Italia per un periodo di quasi cinque anni. Nello stesso anno egli aprì una chiesa a Milano. Nel 1910 le comunità pentecostali in Italia erano in tutto quattro. Nel 1920 il loro numero salì a quattordici nonostante la prima guerra mondiale. Nel 1930 esistevano 148 chiese e nel 1940 divennero 175. In Italia l’assemblea costitutiva delle chiese pentecostali si tenne nel 1928 a Roma sotto la presidenza di Michele Palma, rappresentante delle Chiese Italiane del Nord America. In questa occasione il tema dell’autonomia assoluta delle chiese non venne trattato in maniera specifica. Nel 1929 in occasione della Seconda Assemblea generale, definita convegno nazionale, Luigi Francescon sostenne il congregazionalismo radicale spingendo i responsabili delle comunità in Italia radunate a Roma a non approfittare della possibilità di costituirsi in un’unica organizzazione. Nei primi decenni della sua presenza in Italia il movimento pentecostale fu totalmente isolato. I neoconvertiti provenivano direttamente dal cattolicesimo e non erano a conoscenza né dell’eredità storica della Riforma né dei precedenti risvegli evangelici; essi ritenevano che, mediante l’Evangelo, si erano congiunti direttamente al cristianesimo dell’era apostolica. L’unico loro punto di contatto che avevano con l’evangelismo italiano, era il rapporto che essi istituirono con la “società biblica” per l’acquisto della Sacra Scrittura. Si definivano semplicemente cristiani. Infatti il primo nome usato fu quello di Assemblea Cristiana.
La persecuzione (1930-1945)
Nel 1930 venne poi adottato il nome ufficiale di Congregazione Cristiana Pentecostale. Nel periodo che va dal 1935 al 1944, a causa del secondo conflitto mondiale, i pentecostali in Italia non poterono esprimere alcuna forma di comunione, neanche con le chiese italo-americane dalle quali erano giunti i primi testimoni dell’Evangelo.
Tuttavia risulta necessario fare questa doverosa precisazione storica per comprendere i motivi della persecuzione in Italia. Il Fascismo e le camicie nere della rivoluzione salirono al potere nel 1922. Il regime assunse però carattere dittatoriale nel 1925, quando Mussolini si assunse la responsabilità politica e morale del delitto Matteotti con un famoso discorso alla Camera, dando vita alla secessione dell’“Aventino”. Il Duce acquisì poteri assoluti, esautorando il Parlamento delle sue funzioni. Da quel momento furono eliminati tutti i residui liberali che, a mala pena, erano sopravvissuti in Italia dal momento in cui Mussolini venne incaricato di formare il suo primo governo (1922).
La primaria preoccupazione del regime fu quella di formare il carattere politico e morale degli Italiani, trascurando l’aspetto religioso. In un primo tempo il governo fascista (con una serie di provvedimenti, come vedremo più avanti) cercò di mostrarsi tollerante verso tutte le denominazioni religiose. Inoltre, le posizioni anticlericali e dichiaratamente anticattoliche di Mussolini, all’epoca della direzione del giornale L’Avanti, erano note e ben consolidate. La dirigenza fascista, una volta conquistato il potere, cercò di portare a termine il processo di normalizzazione nel Paese. Mussolini intuì che questo sarebbe stato possibile solo stringendo dei legami e un rapporto di reciproco rispetto con un’istituzione ben più radicata nel Paese del regime stesso: la Chiesa Cattolica. L’11 febbraio del 1929 furono perciò siglati i Patti lateranensi tra Mussolini e il cardinale Gasparri, ovvero un trattato, una parte finanziaria e un concordato.
Questi benefici di cui godeva la Santa sede fecero in modo che, da parte del clero, venisse considerata inammissibile l’esistenza di altre confessioni religiose. Per onestà storica va comunque citata anche la “Legge sui culti ammessi”, che lo Stato fascista promulgò il 24 giugno del 1929 per tutelare la libertà religiosa di denominazioni non cattoliche. Si trattava di ribadire quella che nello Statuto Albertino (nel quale veniva usata l’espressione “culti tollerati”) era la posizione dello stato nei confronti degli evangelici, che avevano goduto fino all’inizio degli anni ‘20 di una certa libertà. Questa posizione assunta dal regime sembrava, in un primissimo momento, aver oscurato ogni dubbio sull’ipotesi della repressione religiosa che i più pessimisti (ma per la verità i più realisti) intravedevano come imminente. Infatti la legge non ebbe nessun risvolto positivo e concreto per il mondo evangelico. Il riconoscimento della Chiesa Cattolica come religione di stato aveva portato, di fatto, a condizioni di esistenza che rendevano difficilissima la vita per gli evangelici. Enormi e notevoli erano gli ostacoli che incontravano gli evangelici per la costruzione di chiese, il riconoscimento dei ministeri di culto e la celebrazione stessa dei culti. Il regime, tuttavia, con la “Legge sui culti ammessi” si assicurava che nell’immaginario collettivo dei cittadini fosse ben consolidata l’idea che lo Stato rappresentasse il massimo garante della libertà di coscienza e che tutelasse ogni cittadino, a prescindere dalla sua appartenenza religiosa. Innumerevoli furono gli atti giuridici, invece, intenti a ostacolare l’operato dei pentecostali e degli evangelici in generale.
Era scontato, per le rappresentanze vaticane, che il monopolio religioso nella nazione fosse garantito solo ed esclusivamente al Cattolicesimo. Il clero vedeva nei pentecostali una pericolosa “setta” alla quale si aggiungevano, giorno dopo giorno, sempre più adepti. I preti cattolici fecero di tutto per imprimere la loro stessa visione ai fascisti, denunciando alle autorità la presenza dei pentecostali nelle proprie zone. In quei tempi, come ben definito da Francesco Toppi in E Mi Sarete Testimoni, il movimento pentecostale “operò in totale isolamento”. L’unico dato certo era che i convertiti provenivano dal Cattolicesimo romano e, pertanto, i preti ostacolavano e rendevano impossibile la vita a coloro che decidevano di seguire Cristo secondo i princìpi dell’Evangelo.
Visualizzare questi avvicendamenti storici risulta necessario per comprendere le motivazioni che portarono i pentecostali a essere perseguitati. La dura repressione era considerevole anche in Campania. Benché la persecuzione si intensificò solo dal 1935 in poi, come vedremo più avanti, i pentecostali erano già sorvegliati dalla seconda metà degli anni ‘20. Nel 1929, ad esempio, la Questura di Napoli era arrivata a individuare le attività dei pentecostali nella frazione di Ercole (in provincia di Caserta) per mezzo di una lettera di denuncia del parroco locale. Questo dimostra quanto era attiva la collaborazione fra il clero e le autorità, entrambi impegnati a combattere i “nemici del popolo”. Alcuni riferimenti di questa lettera, inviata direttamente al Duce, ben ci fanno comprendere l’avversità del parroco in questione nei confronti dei pentecostali:
… hanno fatta propaganda attivissima, non sempre efficace e sono riusciti a fare degli adepti tra il popolino, gente ignorante che, lasciato il lavoro, si è dato all’ozio, trovando la pagnotta presso quei signori … pensarono bene predicare la loro falsa dottrina nei paesi circonvicini … pseudo - predicatori prezzolanti, gente spostata ed ignorante, con ogni sforzo con arte satanica cerca di strappare la fede viva e nutrita, dai cuori del buon popolo alle mie cure affidato … Il popolo casapullese ha compreso la loro dottrina … cioè la negazione di ogni sacramento, di ogni culto esteriore, di ogni gerarchia, dell’odio satanico per il servizio militare e soprattutto per la guerra.
Da queste parole si evince che il parroco, oltre che sulla difesa delle proprie posizioni e del ruolo centrale della Chiesa Cattolica, pose enfasi su questioni particolarmente care al regime: il militarismo e la guerra. Facendo leva sulle posizioni pacifiste dei pentecostali, il clero riuscì a mettere seriamente in difficoltà il loro mondo, che per tali ragioni divenne particolarmente inviso alle autorità fasciste. L’anno 1935 fu per i pentecostali di certo l’annus horribilis. Il 9 aprile fu ufficializzata, da parte del Ministero dell’Interno, l’infamante e discriminatoria circolare n° 600/158, più conosciuta come la “Circolare Buffarini-Guidi” (dal nome del sottosegretario all’Interno che la firmò). Questa circolare fu rivolta ai Prefetti di tutto il territorio nazionale per contrastare e proibire “pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza”. Una circolare a sfondo sicuramente razziale e discriminatorio che ebbe, nel mondo pentecostale, una delle parti della popolazione più colpita. Ecco come definisce Peyrot quei momenti:
Da quella data, cioè dal 9 aprile 1935, ha inizio la persecuzione contro i pentecostali con arresti, deportazioni, confino e campi di concentramento: nessuno potrà scrivere quella storia che, d’altronde, sembra incredibile ed ha solo riscontro con quella dei primi secoli della Chiesa.
Questo il triste epilogo del periodo della persecuzione nei confronti dei pentecostali. Questo momento è stato definito propriamente dal pastore Francesco Toppi “resistenza pentecostale” (in E Mi Sarete Testimoni).
Una volta avvenuta la liberazione del Paese si avvertì l’urgenza di riprendere i rapporti di collaborazione con le chiese italiane all’estero in particolare con quelle del Nord America. In seguito, nei primi tempi della Repubblica italiana, i pentecostali sono stati fortemente osteggiati dalla politica condotta dalla classe dirigente dell’allora partito di maggioranza d’ispirazione cattolica e ancora colpiti da una Circolare ministeriale (la Buffarini-Guidi del 9 aprile del 1935), incredibilmente sopravissuta al regime fascista, rivolta ai prefetti di tutto il territorio nazionale, nella quale si intendeva contrastare e proibire quelle che venivano ritenute “pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza”. Soltanto con l’annullamento in sede giudiziale di questa circolare, il 16 aprile del 1955 si mise fine alla discriminazione ed alla persecuzione dei pentecostali.
Il dopoguerra (1944- fino ad oggi)
Nel dopoguerra le chiese pentecostali decisero di abbandonare l’antico assetto congrezionalsita in favore di una organizzazione presbitero - congrezionalista di stampo americano: nacquero le Chiese Cristiane Evangeliche delle “Assemblee di Dio in Italia”. Sono la denominazione più nota e la terza presenza religiosa organizzata in Italia (dopo Chiesa Cattolica e i testimoni di Geova); esse contano nel paese più di mille e cento chiese e centoquarantamila membri. Nel 1988 queste, attraverso le loro rappresentanze hanno stipulato un’ Intesa con lo Stato italiano, trasformata, ai sensi dell’art. 8 della Costituzione repubblicana, nella legge d’esecuzione n. 517/1988.
Tutte le altre chiese pentecostali che non aderirono a questa forma di visione ecclesiologica delle chiese conservarono una struttura più movimentista, intrattenendo dei rapporti tra loro pur sempre rimando nella piena autonomia. Da segnalare per esempio l’area sud-orientale della Sicilia che diedero vita insieme ad altre chiese alla Congregazione Cristiana Pentecostale (un forte richiamo a Chicago).Gli anni ’60 videro la nascita di alcuni movimenti pentecostali provenienti dall’America.
Il più significativo processo di unione tra le denominazioni pentecostali non affiliate alle ADI è stata la nascita della Federazione delle Chiese Pentecostali (2001). Le radici della Federazione delle Chiese Evangeliche Pentecostali in Italia risalgono al 1983 quando per impulso di alcuni pastori fu promossa la prima Conferenza Ministeriale svoltasi a Massafra (TA); da questo evento, tenendo conto delle comuni radici spirituali legate al risveglio pentecostale sorto all’inizio del XX secolo che consentivano lo sviluppo di un dialogo fraterno pur nella diversità dei percorsi fatti, prese le mosse il Raduno dei Ministri Pentecostali (RMP) che si sarebbe incontrato regolarmente una volta l’anno. Quel primo incontro rese chiara la necessità di favorire un più stretto rapporto di collaborazione tra pastori; gli anni che seguirono hanno fatto sviluppare scelte ed obiettivi tesi a realizzare, per la prima volta in Italia, un rapporto consolidato tra alcuni ministri di chiese pentecostali autonome abbastanza rappresentative.
Prospettive future
Il movimento pentecostale è in vertiginosa crescita nel mondo intero. In base all’attuale ritmo di crescita e ad alcuni calcoli statistici, è presumibile che entro il 2025 i pentecostali arrivino a raggiungere il 50% del totale dei cristiani nel mondo . Questo fenomeno di larga diffusione è dovuto al fatto che, tra credenti di tutto il mondo, cresce il desiderio di una maggiore spiritualità e la voglia di realizzare una diretta e personale esperienza di contatto con Dio, uscire dalla schematicità del formalismo religioso per favorire l’esercizio della fede e dei carismi dello Spirito Santo tra credenti nelle comunità costituite, realizzando concretamente le promesse di Dio. Il movimento pentecostale pur conservando e riproponendo i principi che furono della Riforma ( sola gratia, , sola Scriptura, solus Christus), intende incarnare l’adempimento dell’insegnamento di Gesù Cristo: “… l’Evangelo è annunciato ai poveri” (Mt. 11:5).
Un altro aspetto fondamentale del movimento pentecostale, è che si propone accessibile a tutti: al rigore liturgico (caratteristico della Chiesa Cattolica e delle Chiese Riformate) i pentecostali riconoscono e ricercano la guida dello Spirito Santo rendendo, le loro, riunioni spontanee.
Per ciò che riguarda le prospettive future, il movimento pentecostale, se pur nelle sue differenziazioni, farà fronte ad un dato comune: la crescita numerica. Sembra essere questo l’unico dato certo della realtà pentecostale: un’ esponenziale crescita. Per quanto riguarda altre questioni è chiaro che essendo diverse le denominazioni pentecostali italiane, ognuna con una propria autonomia, è impossibile tracciare un quadro comune delle prospettive future. Infatti alcuni movimenti hanno manifestato l’intento di rimanere fedeli alle radici dottrinali e comunitarie del movimento, altre invece, stanno percorrendo una strada di rinnovamento e revisione di quelle che sono state ritenute basi e caratteristiche fondamentali del pentecostalesimo italiano. Ad ogni modo l’area pentecostale italiana numericamente più significativa (ADI), ha inteso opportuno porsi uno scopo chiaro e triplice: l’adorazione di Dio in spirito e verità, l’evangelizzazione del mondo e l’edificazione dei credenti.
Un aspetto invece, sul quale sono impegnate unanimemente le chiese pentecostali italiane, insieme ad altre denominazioni evangeliche, è quello della difesa dei principi di libertà religiosa.