Ill.mo Dr. Gianfranco Montera
Procuratore Generale f.f.
Procura Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di MILANO
Via Freguglia, 1
20122 Milano
e, p.c.
Al Presidente della Repubblica
Al Presidente della Corte Costituzionale
Al Presidente del Senato
Al Presidente della Camera dei Deputati
Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Al Ministro della Giustizia
Al Ministro del Welfare
Ai Sottosegretari alla Salute
LORO SEDI
Ill.mo Signor Procuratore Generale,
Appresa dalla stampa la disponibilità di un collega neurologo a
interrompere l'idratazione e la nutrizione assistita con cui è
alimentata e mantenuta in vita Eluana Englaro, i sottoscritti
neurologi operanti nelle Università e negli Ospedali del Servizio
Sanitario Nazionale esprimono una posizione fortemente alternativa
alla decisione del collega ed alle sentenze della Corte di Cassazione
e della Corte di Appello di Milano che lo autorizzerebbero
all'interruzione della alimentazione, con conseguente inevitabile
morte della paziente.
Sentono inoltre il dovere di riaffermare alcune fondamentali evidenze
scientifiche ed etiche, senza le quali il vivere civile,
l'organizzazione sociale e la nostra professione corrono il rischio di
allarmanti derive.
Il paziente in stato vegetativo non necessita di alcuna macchina per
continuare a vivere, non è attaccato ad alcuna spina.
Non è un malato in coma, né un malato terminale, ma un grave disabile
che richiede solo un'accurata assistenza di base, analogamente a
quanto avviene in molte altre situazioni di lesioni gravi di alcune
parti del cervello che limitano la capacità di comunicazione e di
auto-sostentamento.
La nutrizione e l'idratazione del paziente, per quanto assistite, non
sono assimilabili a una terapia medica, ma costituiscono da sempre gli
elementi fondamentali dell'assistenza, proprio perché indispensabili
per ogni persona umana, sana o malata. La cannula attraverso cui la
nutrizione viene fornita non altera tale elementare verità, essendo al
massimo assimilabile ad una protesi o ad un ausilio.
La stessa Corte di Cassazione, nella sua sentenza, riconosce che
l'alimentazione assistita "non costituisce oggettivamente una forma di
accanimento terapeutico e che rappresenta, piuttosto, un presidio proporzionato al mantenimento del soffio vitale...". La nutrizione e
l'idratazione assistite, infatti, possono essere praticate nelle
persone che lo necessitano senza causare sofferenza o violenza alcuna
e senza addirittura interferire con l'eventuale attività lavorativa.
Queste persone sono decine e decine di migliaia (centinaia di volte di
più dei Pazienti in stato simile a quello della Sig.ra Englaro che in
Italia si stimano essere circa 1500) e per una parte la loro
incapacità a nutrirsi è anche associata ad un deficit cerebrale
marcato che non le differenzia molto dallo stato di Eluana.
Ci chiediamo cosa faremo con tutte loro e su che base sarà possibile
scegliere. Dobbiamo lo Stato, la Comunità, i Medici, eliminarle tutte?
Dal punto di vista antropologico, inoltre, desideriamo ribadire che il
paziente in stato vegetativo non è un vegetale, ma una persona umana.
Come la stessa Cassazione riconosce, "chi versa in stato vegetativo
permanente è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno, che deve
essere rispettata e tutelata nei suoi diritti fondamentali, a partire
dal diritto alla vita e dal diritto alle prestazioni sanitarie, a
maggior ragione perché in condizioni di estrema debolezza e non in grado di provvedervi autonomamente".
Proprio per questo, afferma la Cassazione, la persona in stato
vegetativo ha in campo sanitario gli stessi diritti degli altri
cittadini (diritti che per la Englaro sono stati rispettati, facendole
trascorrere questi anni curata ed assistita amorevolmente in un centro
specializzato) e "la tragicità estrema di tale stato patologico - ...
che nulla toglie alla sua dignità di essere umano - non giustifica in
alcun modo un affievolimento delle cure e del sostegno solidale, ... a
prescindere da quanto la vita sia precaria e da quanta speranza vi sia
di recuperare le funzioni cognitive".
Dal punto di vista neurologico, il paziente in stato vegetativo non è in morte cerebrale, perché il suo cervello, in maniera più o meno
imperfetta, non ha mai smesso di funzionare, respira spontaneamente,
continua a produrre ormoni che regolano molte delle sue funzioni,
digerisce, assimila i nutrienti.
Non è neanche in coma, perché ha un ciclo relativamente conservato di
veglia e di sonno, riesce a muoversi anche se non a camminare o stare
in piedi, ed in una qualche misura (a noi ancora ampiamente
sconosciuta, ma che le più recenti metodiche di analisi della funzione
cerebrale stanno portando alla luce) ha una sua - per quanto
grossolana - modalità di percezione.
E' infatti utile ricordare che studi recenti di imaging funzionale e
di neurofisiologia clinica dimostrano con chiarezza che in alcuni di
tali pazienti è possibile evocare risposte che testimoniano di una
residua possibilità, più o meno elementare, di percepire impulsi
dall'ambiente con susseguente analisi e discriminazione delle
informazioni. In ogni caso, allo stato attuale delle conoscenze, le
esatte basi anatomiche e fisiologiche della coscienza non sono
conosciute, mentre sono sempre maggiori le evidenze che collocano i
processi della coscienza anche in sedi del sistema nervoso centrale
diverse dalla corteccia cerebrale (principale sede di danno nello
stato vegetativo). Non vi è certezza assoluta neanche sul fatto che il
paziente in stato vegetativo non possa provare qualche forma di
sofferenza e la stessa sentenza dei giudici di Milano si preoccupa che
alla Englaro vengano somministrati sedativi durante il processo di
morte per disidratazione.
Pur essendo le possibilità di recupero sempre minori con il passare
del tempo dall'insulto cerebrale, oggi il concetto di stato vegetativo
permanente è da considerarsi superato e sono documentati casi, benché
molto rari, di recupero parziale di contatto con il mondo esterno
anche a lunghissima distanza di tempo. E' pertanto assurdo poter
parlare di certezza di irreversibilità.
Sulla base di queste considerazioni, riteniamo che la sentenza sul
caso Englaro non rappresenti un intervento per por fine ad un
accanimento terapeutico o a pratiche assistenziali improprie, ma il
tentativo di far entrare per vie giudiziarie nella nostra legislazione
il potere assoluto di autodeterminazione da parte del paziente o - in
questo caso - di chi lo rappresenta o crede di rappresentarlo, fino
alla scelta della morte, se la vita viene ritenuta indegna di essere
vissuta.
Riteniamo ancor più inaccettabile che la volontà di terzi (fossero
anche i genitori) possa sostituirsi, interpretandola, alla volontà del
paziente, innescando il rischio, in simili casi, di pratiche
discriminatorie basate sulla percezione esterna della qualità della
vita altrui.
Per quanto riguarda la nostra professione, riteniamo che in tale
contesto, il rapporto medico-paziente è ridotto a mero contratto ed il
medico a prestatore d'opera tecnicamente qualificata, intesa, nel caso
specifico, ad affrettare la morte del paziente, contravvenendo ai
fondamenti della professione medica e le regole basilari della società
civile.
Siamo anche molto preoccupati che le considerazioni della magistratura
sulla possibilità di por fine ai pazienti in stato vegetativo come
Eluana Englaro possano finire per estendersi ad altre categorie di
pazienti neurologici, come i dementi o i cerebropatici gravi che, in
fase avanzata di malattia, possono trovarsi in condizioni cliniche non
dissimili da quelle dei pazienti in stato vegetativo.
Infine, riteniamo disumano il modo proposto di mettere a morte la
paziente, attraverso il digiuno e la sete, in una lenta agonia che
porterà alla morte attraverso la lenta devastazione di tutto
l'organismo.
Per tutti questi motivi, Signor Procuratore Generale, le chiediamo un
intervento urgente che blocchi, prima che sia troppo tardi,
l'esecuzione di quella che sempre più appare come una sentenza di
condanna a morte.
A nome e per conto degli aderenti sottoelencati, confidando nella sua
attenzione, le porgo i più distinti saluti e ossequi
Prof. Gian Luigi Gigli
Sergio Barbieri
Direttore Neurofisiopatologia, Ospedale Maggiore, Milano
Professore Associato di Neurologia, Università di Milano
Paolo Bergonzi
Professore Ordinario di Neurologia, Università di Udine
Dario Caldiroli
Direttore Neuro-Anestesia e Rianimazione, Istituto Neurologico Besta, Milano
Massimo Camerlingo
Direttore Neurologia, Zingonia-Osio Sotto (BG)
Antonio Carolei
Professore Ordinario di Neurologia, Università dell'Aquila
Gerardo Ciardo
Direttore Neurologia e Riabilitazione, Ospedale di Tricase (LE)
Giancarlo Comi
Professore Ordinario di Neurologia, Universit Vita e Salute, Milano
Domenico Consoli
Direttore Neurologia, Ospedale di Vibo Valentia
Erminio Costanzo
Direttore Neurologia, Azienda Ospedaliera "Cannizzaro", Catania
Giuliano Dolce
Direttore Scientifico, Istituto Sant'Anna, Crotone
Gian Luigi Gigli
Professore Straordinario di Neurologia, Università di Udine
Mario Guidotti
Direttore Neurologia, Ospedale Valduce, Como
Nicola Latronico
Direttore Neuroanestesia e Neurorianimazione Azienda Ospedaliera
Spedali Civili di Brescia
Professore Associato di Anestesia e Rianimazione Università di Brescia
Matilde Leonardi
Coordinatore Progetto Nazionale Funzionamento Disabilit e Stato Vegetativo, Istituto Neurologico Besta, Milano
Maria Grazia Marciani
Professore Ordinario di Neurologia, Università di Roma "Tor Vergata"
Anna Mazzucchi
Direttore, IRCCS Fondazione Don Gnocchi, sede di Parma
Arrigo Moglia
Professore Ordinario di Neurologia
Direttore del Dipartimento di Scienze Neurologiche dell'Università di Pavia
Alessandro Padovani
Professore Ordinario di Neurologia, Università di Brescia
Aldo Ragazzoni
Dirigente Neurologo Azienda Sanitaria di Firenze
Professore a contratto, Clinica Neurologica, Università di Firenze
Paolo Rossini
Professore Ordinario di Neurologia, Università "Campus Bio-Medico", Roma
Walter Sannita
Professore Associato di Neurologia, Università di Genova
Roberto Sterzi
Direttore Neurologia, Ospedale Niguarda, Milano
Danilo Toni
Direttore Unità Terapia Neurovascolare
Università di Roma "La Sapienza"
Emilio Ubiali
Direttore Neurofisiopatologia, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di
Bergamo
Davide Zarcone
Direttore Neurologia, Azienda Ospedaliera di Gallarate