Il nuovo libro di Ariel Toaff, Pasque di sangue (edito da Il Mulino: ne ha parlato ieri su queste pagine Anna Foa), prima ancora di essere un libro facilmente utilizzabile da parte di chi oggi nega la differenza fra carnefici e vittime, di chi crede di equilibrare la storia dichiarando l´equivalente malvagità degli uni e delle altre, è un libro di storia mal fatto. L´autore ritiene appropriato, è evidente da ogni capitolo e da ogni frase, restituire vita e colore alle vicende ebraiche medievali ripartendo dai processi per omicidio rituale intentati in Europa occidentale, dal dodicesimo secolo in avanti, contro varie comunità ebraiche, e di norma conclusi da condanne e stermini. Appare profonda la convinzione dell´autore che una ricostruzione retorica di passioni estreme, agguati, subdoli traffici, tentati avvelenamenti, fughe, torture e massacri, possa rendere avvincente la lettura del libro ad un pubblico assuefatto alle truculenze cinematografiche; analogamente da ogni riga affiora la convinzione storiograficamente assai pericolosa di una maggiore "leggibilità" della storia ebraica che rimandi, prendendoli sul serio, ai più triti e divulgati stereotipi antisemiti. Meglio dunque che la storia in questione abbia protagonisti variopinti e psicologicamente semplici: avventurieri ebrei dediti a "loschi traffici", un "ingegnoso medico di Candia", un "giovane e bizzarro pittore", un rabbino tedesco circoncisore ("il Tagliatore"!), "pargoli" ebrei sottoposti alla "lama letale del coltello". E poi, perché no, cannibalismo, lebbra, suicidio, fiumi di sangue. La vita ebraica, diversamente da quanto avveniva in un precedente e bel libro dello stesso Autore sugli ebrei umbri, è dunque colta, nel momento del pericolo incombente e della minaccia di morte, come una vita collettiva più interessante perché minacciata, più affascinante perché incarnata da ignobili personaggi degni del più squallido fra i romanzi. Questi ebrei inferociti e minacciosi sono in grado, d´altra parte, secondo Ariel Toaff, di essere così spaventosi perché capaci, come la polemica antisemita di matrice cattolica sostiene a partire soprattutto dal XVIII secolo, di riassumere una vasta tradizione culturale anticristiana nell´ambito di pratiche religiose e rituali decisamente pericolose per l´ambiente maggioritario circostante. Scrive Toaff che il mondo ebraico europeo occidentale era un mondo «chiuso in se stesso, impaurito e aggressivo verso l´esterno, spesso incapace di accettare le proprie dolorose esperienze e di superare le proprie contraddizioni ideologiche-- Un mondo che, sopravvissuto ai massacri e alle conversioni forzate di uomini, donne e bambini, continuava a vivere traumaticamente quegli avvenimenti in uno sterile sforzo di capovolgerne i significati, riequilibrando e correggendo la storia». Il linguaggio come sempre è indicativo, ed in questo caso rivela lo sforzo di tradurre in termini "laici", e contemporanei, la sommaria analisi dell´Ebraismo condotta tradizionalmente dall´apologetica antisemita desiderosa di far apparire i non-convertiti come dei disadattati con venature psicotiche. La retorica non riesce tuttavia a coprire le vistose lacune metodologiche e bibliografiche dell´opera. Tutto il volume è infatti fondato sulla rilettura non critica di fonti processuali cristiane, la cui logica è stata da tempo decodificata dagli storici. È notissimo che gli interrogatori dei testi fra medioevo ed età moderna venivano verbalizzati secondo una logica discorsiva che normalmente attribuiva agli accusati, previamente sottoposti a tortura, discorsi e minuziose descrizioni enunciati in realtà dai giudici, sulla base più che di "prove" (il concetto stesso di prova era molto diverso da quello poi maturato nei secoli), di convinzioni a loro volta derivate da una sistematica cultura teologica. Era sufficiente un breve assenso dell´imputato al discorso inquisitorio, perché nel verbale risultasse una confessione di più pagine. D´altra parte, la volontà dell´autore di costruire una narrazione efficace, lo induce, oltre che appunto a dare un valore di verità a testimonianze notoriamente manipolate, a passare con disinvoltura da fonti storiche significative a livello ideologico e controversistico (come quelle che rimandano alle discussioni fra teologi ebrei e cristiani nel Medioevo) a fonti storiche locali come quelle che narrano secondo logiche apologetiche ed agiografiche le vicende di beatificazione di santi e beati, primo fra tutti Simonino di Trento. Queste due tipologie di fonte storica sono connesse, spregiudicatamente, da interpretazioni libere e ingiustificate. Primeggia fra tutte l´idea, spesso ripetuta, che la rievocazione del sacrificio d´Isacco nel rituale pasquale ashkenazita sia la base del sacrificio dei fanciulli ebrei minacciati da conversioni forzate, e che, poi, fondi gli omicidi rituali. Passi dagli scritti del rabbino Efraim di Bonn vissuto alla fine del XII secolo, brani particolarmente tendenziosi dalla famigerata cronaca del processo contro gli ebrei di Trento pubblicata dal francescano Benedetto Bonelli nel 1747, il Toledot Yeshu, un testo ebraico precedente all´ottavo secolo, vengono pazientemente cuciti insieme per dimostrare la tesi dell´Autore, e cioè l´esistenza di una stretta relazione fra controversie teoriche ebraico-cristiane e aggressività ebraica anticristiana. Complessivamente colpisce la totale disattenzione dell´autore alla storiografia specifica sulle varie questioni, ma soprattutto impressiona la sua indifferenza nei confronti dei numerosi studi dedicati da cinquant´anni a questa parte a ciò che dovrebbe essere al centro di un libro sul tema dell´omicidio rituale: e cioè l´elaborazione teologica e narrativa cristiana, sin dal II-III secolo, di stereotipi della diversità ebraica, sfocianti poi, dal XII secolo, in forza delle profonde trasformazioni economiche e politiche europee, nel mito dell´aggressività distruttiva di coloro che non appartenevano alla società dei cristiani.