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Massimo Introvigne, Il dramma dell'Europa senza Cristo. Il relativismo europeo nello scontro delle civiltà

Recensione di G. Esposito (La Civiltà Cattolica, anno 156, n. 3763, 7 aprile 2007, pp. 96-97)

In un Occidente caratterizzato, fra l’altro, dalla separazione tra politica e morale e dal “suicidio demografico”, l’uomo appare “malato”, debole, in grave crisi di identità. E accetta, impotente, la sistematica “falsificazione della storia”, con l’invenzione e la diffusione di un passato storico modificato a fini ideologici. In questo volume l’A., direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni, fa sua l’analisi di R. Stark, che, insieme ad altri, ha formulato una “teoria dell’economia religiosa”, diventata un modello sociologico per interpretare la situazione della religione non solo in Occidente. Due elementi della teoria meritano almeno un cenno. Il primo prevede che una religione in regime di monopolio e quindi senza lo stimolo della concorrenza a lungo andare generi pigrizia e minore zelo missionario nel clero, indolenza e mancanza di entusiasmo nei credenti e la nascita di movimenti di contestazione nella periferia della scena religiosa, movimenti che finiscono per avere successo. Un secondo elemento della teoria è che un monoteismo fondato su un Dio personale dispone di maggiore forza concorrenziale rispetto sia ai politeismi, sia alle religioni che propongono un Essere astratto e distaccato dai problemi dell’uomo.

L’analisi della “falsificazione” della storia proposta dallo Stark pone in evidenza il diffuso anticattolicesimo dominante tra gli esperti, unito alla tendenza ad accettare acriticamente le interpretazioni dominanti. L’analisi critica degli eventi, invece, ridimensiona e spesso smentisce il pensiero dominante. Mette in crisi, ad esempio, i luoghi comuni sull’azione negativa della Chiesa in alcuni ambiti scottanti: la nascita della scienza, l’evoluzionismo, la caccia alle streghe, la schiavitù, le origini dell’economia moderna… Una conclusione che l’A. ribadisce con decisione è che il cristianesimo non solo non ha ostacolato la civiltà occidentale ma addirittura l’ha creata. È quindi inaccettabile ciò che pretende il laicismo “cristofobico” dominante: una visione del continente europeo separata dalla religione, il taglio delle radici cristiane dell’Europa. Questo, fra l’altro, secondo l’A. genera l’assurdo di un nazionalismo senza nazione, di un “multiculturalismo” ideologico che, fondato sul relativismo, causa numerose contraddizioni. Introvigne, poi, ribadite le distinzioni tra laicismo, laicità e fondamentalismo, chiarisce e valorizza il concetto di “laicità sana”, che non ha come obiettivo l’opposizione al cristianesimo. Quindi richiama l’attenzione sull’assurdità di un assioma in fase di consolidamento, vero e proprio “ricatto” secondo cui “chi non è laicista è fondamentalista, e siccome il fondamentalismo ‘mette le bombe’ è obbligatorio essere laicisti” (p. 82).

Presentando analisi storiche e antropologiche forse poco note ai più, l’A. mostra la precarietà di alcune facili generalizzazioni dominanti e invita al rispetto della complessità. In definitiva l’A., molto critico sulla latitanza dell’Europa nel dialogo delle civiltà, si schiera apertamente contro il multiculturalismo laicista e l’anti-occidentalismo, sottolineandone le caratteristiche striscianti e i rischi per il futuro. E, senza tanti giri di parole, sostiene con forza che il vero dramma attuale dell’Europa deriva dall’aver “voltato le spalle a Cristo”. E, soprattutto nei passaggi in difesa del cristianesimo, scrive con una notevole vis polemica e senza risparmiare note sarcastiche che a volte possono risultare un po’ eccessive. Comunque, pur senza esser tenuti a condividere la chiara scelta di campo dell’A. e ricordando che tutte le macroanalisi – di qualunque “colore culturale” – sono opinabili, il lettore può essere sollecitato a porsi alcuni interrogativi che non si possono eludere con facilità.

C’è innanzitutto una vulgata: i rapporti intersoggettivi e di conseguenza anche le relazioni tra i popoli diventano più facili quando l’altro può confrontarsi con una nostra identità debole. Il presupposto, inaccettabile per qualunque teoria psicologica, è che una identità ben “definita” ostacoli e addirittura impedisca le relazioni. Una conseguenza sarebbe che una identità europea occidentale debole, se non proprio la sua completa mancanza di identità, può favorire il dialogo delle civiltà. C’è poi la convinzione diffusa che, sempre in ogni caso, multiculturalismo, laicismo e relativismo siano sinonimi di modernità, tolleranza, apertura culturale e politica, garanzia di pace. E c’è l’illusione che dietro tali posizioni “neutre” non ci siano giudizi di valore, ideologie, prese di posizione non solo pro alcuni valori, ma anche contro altri valori. C’è, inoltre, la “verità” fondamentalista che mettere in discussione relativismo e laicismo significhi inevitabilmente essere fondamentalisti. In ultimo, c’è la convinzione – non nuova e già più volte smentita dalla storia – che il “destino” del cristianesimo sia irrimediabilmente segnato. Si tratta, evidentemente, di temi fondamentali e dalle notevoli implicazioni sulla vita concreta, temi che dovrebbero spingere soprattutto il credente a una riflessione più attenta e più critica.

Massimo Introvigne, Il dramma dell'Europa senza Cristo. Il relativismo europeo nello scontro delle civilta
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Massimo Introvigne
Il dramma dell'Europa senza Cristo. Il relativismo europeo nello scontro delle civiltà
Sugarco, Milano 2006