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La tentazione della cittadinanza troppo facile

di Massimo Introvigne (il Giornale della Libertà, anno I, numero 26, 30 novembre 2007)

Lo scorso 20 novembre il Presidente della Repubblica ha invitato a “cambiare una norma che è troppo restrittiva” sulla cittadinanza italiana. È possibile che Napolitano abbia voluto solo fare riferimento a qualche pietosa situazione individuale, in cui non è questione di leggi ma di lentezze della burocrazia. Se invece si tratta di un appoggio implicito alle proposte del governo sulla cittadinanza, dobbiamo dire con rispetto ma con chiarezza che si tratta di un progetto sciagurato e pericolosissimo.

La riforma prevede infatti la possibilità di diventare cittadini italiani dopo cinque anni di residenza per gli extracomunitari e tre anni per i comunitari (dunque, tra l’altro, per centinaia di migliaia di romeni, rom compresi), senza nessuna soglia di reddito. I minori che hanno frequentato un corso di studio (per esempio, le elementari) potrebbero diventare immediatamente cittadini. E si ventila anche la possibilità di considerare subito cittadini i nati in Italia da genitori non italiani, rovesciando la nostra tradizionale impostazione che privilegia lo ius sanguinis (cioè la nazionalità dei genitori) sullo ius soli (il luogo di nascita). Una vera rivoluzione, dal momento che oggi la naturalizzazione si acquisisce solo dopo dieci anni di residenza in Italia (sei mesi se si è sposato un coniuge  italiano), e alla condizione dell’assenza di precedenti penali.

La legge proposta dal governo Prodi – che il centrosinistra minaccia di fare approvare nei prossimi mesi – anzitutto costerebbe, secondo il Ministero dell’Interno, quarantotto milioni di euro per l’impalcatura burocratica destinata ai nuovi cittadini e per le indennità di accompagnamento che spetterebbe ai neo-cittadini con familiari invalidi (veri o fasulli). I nuovi cittadini sarebbero subito circa un milione (in maggioranza romeni, marocchini e albanesi). In dieci anni, combinando le norme sulla cittadinanza con le facilitazioni all’immigrazione del pacchetto Amato-Ferrero, potrebbero essere cinque milioni. È vero che molti sarebbero minorenni, ma quando tutti costoro fossero diventati maggiorenni si tratterebbe del 13% degli elettori. È sognando questo tesoretto elettorale che la sinistra ha lanciato lo slogan “tutti cittadini”.
Uno slogan irrealistico e anti-europeo. La proposta degli italiani di Rifondazione Comunista di elevare i cinque anni di residenza a criterio per la cittadinanza nell’intera Unione Europea è stata sonoramente bocciata a Bruxelles. Altrove si pensa semmai a criteri più restrittivi, a norme contro i matrimoni fasulli, a soglie di reddito e d’istruzione cui collegare la cittadinanza. Il fiume in piena di nuovi cittadini travolgerebbe infatti qualunque politica di sicurezza e sociale.

Voterebbero tutti per il Partito Democratico o per la Cosa Rossa? Qui si apre un importante discorso politico. Il centrodestra deve, certo, sensibilizzare gli italiani sulla gravissima sciagura – di cui si parla meno di altre – che la riforma della cittadinanza fa incombere come una spada di Damocle sul futuro della nazione. Ma, nello stesso tempo, dovrà prendere atto che molti immigrati – speriamo dopo dieci anni e severi controlli, non dopo cinque o tre – alla fine diventeranno cittadini ed elettori. E pensare per tempo – come hanno fatto i conservatori canadesi e Sarkozy in Francia – ad entrare in contatto con chi, in questo nuovo elettorato, è venuto in Italia per lavorare e non per delinquere, e magari condivide i valori del centrodestra. In Canada, per esempio, i conservatori sono tornati al potere nel 2006 dopo sedici anni di governi socialisti grazie al massiccio sostegno di immigrati, anche musulmani, contrari al matrimonio fra omosessuali introdotto dai socialisti. Sarkozy ha potuto contare sull’anticomunismo dei nuovi cittadini venuti dall’Europa dell’Est e sul richiamo ai valori morali e all’ordine pubblico che è condiviso anche da tanti immigrati. Ne è un simbolo il nuovo ministro della Giustizia Rachida Dati, seconda tra undici figli di un muratore marocchino, che ha iniziato la sua ascesa sociale grazie a una borsa di studio che ha permesso a lei, musulmana, di studiare in una scuola privata cattolica. Il centrodestra non deve dare per scontato che i futuri cittadini di origine romena vogliano votare per chi a suo tempo inneggiava al comunismo e a Ceausescu. Né che i musulmani voteranno i sostenitori delle unioni omosessuali o dell’eutanasia. Ma a questo nuovo elettorato certe cose bisognerà spiegarle.