I cattolici non accettano di riconoscere uguale ruolo sociale agli atti e alle unioni omosessuali rispetto all’amore e al matrimonio fra un uomo e una donna. Attenzione: «atti e unioni» omosessuali, non persone. Non conosco nessun intervento della Chiesa dove non si cominci con il sottolineare la dignità della persona omosessuale in quanto persona. La magna charta della Chiesa sul tema, la lettera del 1986 firmata da Joseph Ratzinger a nome della Congregazione per la dottrina della fede, esprime la più recisa condanna delle «espressioni malevole e azioni violente» contro qualunque omosessuale, dichiarandole «lesive dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile». La Chiesa, dunque, non ha bisogno di lezioni: quando è in gioco la difesa della dignità di ogni persona - credente o non credente, eterosessuale o omosessuale, sano o malato - si trova sempre in prima linea. Ma l’uguale dignità della persona omosessuale non significa che la sua unione con una persona dello stesso sesso abbia lo stesso ruolo sociale e debba godere dello stesso riconoscimento giuridico del matrimonio.
Chi attacca la Chiesa ha capito poco o nulla del metodo Ratzinger. Dal momento che i cattolici - che nel mondo non sono maggioranza - devono allearsi con altri per vincere le loro battaglie, compresa quella contro il matrimonio gay, il Papa preferisce non argomentare anzitutto sulla base della teologia e del Vangelo, ma della ragione.
Anche in tema di omosessualità il documento del 1986 - seguito da una buona ventina d’interventi dell’attuale Papa - si appella in primo luogo alla «ragione umana». Se si limitasse a citare il Vangelo, parlerebbe ai soli cattolici. È invece utilizzando argomenti di ragione che Ratzinger cerca di mettere insieme credenti e non credenti, uniti dall’idea che gli atti e le unioni omosessuali non possano vedersi riconosciuto lo stesso ruolo sociale del matrimonio senza minare le basi stesse su cui si regge da secoli la società. A chi obietta che l’idea di ragione della Chiesa non è la stessa, per esempio, di Zapatero, Ratzinger ha risposto in uno splendido discorso del 5 ottobre scorso che non ci sono una ragione cattolica, una laica e una musulmana o buddhista. C’è una ragione capace di leggere correttamente il reale e una che sbaglia. E chi sbaglia non lo decide il Papa, ma il buon senso. Il comune buon senso sa che rubare, uccidere, spacciare droga è male. Sa anche che le unioni omosessuali non sono la stessa cosa del matrimonio: non fanno nascere bambini, non sono il luogo normale dove i minori sono educati, non hanno costruito quella famiglia che è stata per secoli, piaccia o no, la cellula fondamentale della società occidentale e ne ha garantito la sanità e la coesione.
L’ipotesi secondo cui qualcuno nasce omosessuale non è nuova: è stata formulata nel 1897 da Magnus Hirschfeld. Nonostante abbia conquistato lobby influenti nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, non è mai stata dimostrata. Il biologo Simon Le Vay, ripetutamente indicato come scopritore del fondamento genetico dell’omosessualità, ora dichiara di «non avere mai asserito questo». Gli studi sui gemelli di Bailey e Pillard, che avrebbero dovuto dare la prova finale che omosessuali si nasce, hanno concluso che questa prova non c’è. I dati più recenti di Dean Hamer, celebrato come lo scopritore del cosiddetto «marcatore omosessuale», sottolineano che oltre il 70% degli omosessuali non presenta tale «marcatore». Allo stato delle ricerche degli scienziati (non dei preti o pastori) si può parlare in «casi singoli» di una «predisposizione», ma non di una determinazione genetica comune e irrevocabile. L’educazione e la socializzazione sembrano i fattori cruciali.
La Chiesa attende serena. Più laica delle lobby omosessuali, chiede solo che il dibattito scientifico sia condotto senza divieti formulati sulla base di pregiudizi, secondo cui «gay si nasce» è un dogma e chi sostiene che «gay si diventa» è un nazista.