Nello scorso mese di marzo ho letto sul New York Times una recensione dell’ultimo libro dello storico cattolico inglese Michael Burleigh firmata da Tony Judt, un intellettuale inglese ultra-liberal che vive a New York e appartiene a quella categoria di ebrei che si sono costruiti una reputazione attaccando in modo così virulento la “lobby ebraica” negli Stati Uniti e Israele da essere denunciati dall’American Jewish Committee come “neo-antisemiti”. Judt definiva il volume “disgustoso”, bieco prodotto di una “apologetica cattolica”. Con una simile raccomandazione, mi sono affrettato a ordinare non solo il libro - Sacred Causes (Harper Collins, New York 2007) ma anche il primo volume della storia d’Europa di Burleigh di cui Sacred Causes costituisce il “seguito”: Earthly Powers, pubblicato dallo stesso editore del 2006. Ora finalmente Sacred Causes esce in italiano, tradotto da Rizzoli come In nome di Dio. Religione, politica e totalitarismo da Hitler ad Al Qaeda. Pazienza se per la traduzione è stata usata l’edizione inglese del 2006 anziché quella americana del 2007 (le differenze non sono essenziali). Più grave è l’abitudine degli editori italiani di cui è stato vittima anche il grande sociologo Rodney Stark , di fronte a un’opera in più tomi, a pubblicare nella nostra lingua solo l’ultimo, magari attirati da qualche controversia.
Ma guardiamo il bicchiere mezzo pieno: anche il lettore di lingua italiana ha ora accesso a un grande storico che manda in bestia i liberal per il metodo prima ancora che per il merito. Burleigh, infatti, è un allievo di Eric Voegelin (1901-1985), e a differenza dei liberal di questo mondo considera la religione non una nota a pié di pagina della storia, ma l’elemento centrale delle vicende umane. Anche quando sembra che non sia così. Infatti, come insegnava Voegelin, i totalitarismi del XX secolo come il nazional-socialismo e il comunismo (ma già il giacobinismo laicista del XVIII e del XIX) sono “religioni politiche”, tentativi di assorbire tutta la vita sociale nello Stato, cui è affidato anche il compito di rispondere alle grandi domande (religiose) sulla vita e sul destino dell’uomo. La modernità per Burleigh è così la storia di un conflitto insanabile fra le religioni in senso proprio e le “religioni politiche”. E per Burleigh nella storia moderna le religioni tradizionali stanno dalla parte della libertà, e le “religioni politiche” laicismo, comunismo e nazional-socialismo da quella della tirannide.
Naturalmente Burleigh conosce tutte le sfumature della storia e sa bene che raramente questa si presenta come un semplice scontro fra i “buoni” e i “cattivi”. Per queste visioni in bianco e nero ci sono i vecchi film western e ora in Italia c’è Beppe Grillo. Quella di Burleigh invece è una storia a colori, dove la realtà è sempre più complicata degli schemi in cui si cerca di racchiuderla. Così vediamo le Chiese compresa quella cattolica compiere talora scelte sbagliate, appoggiare dittatori o politicanti corrotti guardando a vantaggi immediati e perdendo di vista la prospettiva generale. Queste accuse alle Chiese, nota Burleigh, sono qualche volta esatte, altre volte come nella vexata quaestio dei rapporti fra Pio XII e la Germania nazista (di cui lo storico inglese è uno dei maggiori specialisti viventi) “oscenità” distorte post factum da una propaganda laicista. Né tutti i singoli giudizi storici di Burleigh si possono immediatamente condividere. Tuttavia resta il quadro di fondo: di fronte all’attacco degli statalismi totalitari dal giacobinismo fino all’islam politico di Tariq Ramadan , il cristianesimo e in particolare la Chiesa cattolica hanno costituito nella storia d’Europa, e sono ancora oggi con Benedetto XVI, il più sicuro presidio della ragionevolezza della politica e della libertà. Ce né abbastanza perché al medio liberal venga voglia di bruciare Burleigh. E forse al medio lettore del Foglio di leggerlo.