Ricevendo a Castel Gandolfo i parlamentari dell’Internazionale democristiana, Benedetto XVI ha definito il terrorismo un «fenomeno gravissimo che spesso arriva a strumentalizzare Dio e disprezza in maniera ingiustificabile la vita umana». Non solo: il terrorismo che aggredisce l’Occidente usa come «pretesto» il «rimprovero di aver dimenticato Dio, con cui alcune reti terroristiche cercano di giustificare le loro minacce alla sicurezza delle società occidentali».
Si tratta di un ritorno al discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006, già ampiamente ripreso nel recente viaggio apostolico in Austria. A Ratisbona il Papa era partito da un dialogo che vide contrapposti nel 1391 ad Ankara l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un saggio musulmano. L’imperatore gioca fuori casa, dopo avere ricevuto un invito che non può rifiutare ad accompagnarlo in una partita di caccia dal sultano turco Bayazet, il cui minaccioso esercito è molto più potente del suo. Certamente Manuele non può invocare il Vangelo o la teologia di fronte a un pubblico musulmano: propone allora al suo interlocutore di discutere non sulla base della fede, ma della ragione. L’islamico accetta, ma il dialogo non va da nessuna parte perché Manuele e il persiano hanno due idee diverse della ragione. Per l’imperatore greco la ragione è il fondamento filosofico di tutte le cose. Per il musulmano questo fondamento non esiste - il suo Dio, Allah, «non dipende dai suoi atti» e può cambiare ogni minuto le leggi che regolano il mondo, così che ogni conoscenza razionale è incerta e provvisoria - e per lui argomentare in base alla ragione significa semplicemente citare fatti empirici. Usa pertanto l’argomento che pensa chiuda la discussione: la prova della superiorità dell’Islam sul cristianesimo è che le armate del Profeta stanno vincendo ovunque, e lo stesso impero di Bisanzio è ridotto a uno staterello. Naturalmente tre secoli dopo, quando a partire dalla battaglia di Vienna i musulmani cominceranno a perdere, l’argomento potrà essere rovesciato. Ma non è questo il punto. Per Manuele II - e per Benedetto XVI - la vita, i diritti umani e la possibilità di convivere fra religioni diverse sono garantite solo da una fiducia nella ragione come strumento capace di conoscere la verità. Se manca questa fiducia, quale sia la verità è deciso da quali eserciti vincano, e oggi da chi sia più capace di fare esplodere bombe. La verità - e Dio stesso, che è verità - diventano semplici funzioni della violenza.
Il mondo nato da quella fiducia nella ragione e nella verità che già nel 1391 l’Islam aveva abbandonato si chiama Occidente. Ci sono oggi molti, anche tra i cattolici, che contestano la nozione di Occidente. Per alcuni si tratterebbe di un mito imperialista: l’Occidente non sarebbe mai esistito. Per altri l’Occidente non esisterebbe più: giacché ha ampiamente dimenticato Dio, avrebbe perso la sua ragion d’essere e non resterebbe più nulla meritevole di essere amato e difeso. Benedetto XVI non si vergogna di chiamare l’Occidente con il suo nome, e di denunciare come un «pretesto» la tesi - che non è esposta solo dai fondamentalisti islamici - secondo cui la società occidentale «senza Dio» non è più se stessa. No: per quanto malato l’Occidente non è morto. Anche nelle loro versioni più laiche e parziali, i suoi valori di ragionevolezza e di libertà conservano l’impronta dell’origine cristiana. Per questo vale la pena difenderli dall’aggressione terrorista. E dichiararsi, senza vergogna, occidentali.