Il ministro degli Interni Giuliano Amato torna sulla vecchia proposta dell’Intesa con i musulmani: «Serve una intesa con i musulmani - afferma - per poter avere con le loro organizzazioni religiose gli stessi rapporti chiari e trasparenti che ho con le altre a partire dalla Chiesa cattolica».
A prescindere dal fatto che le Intese con le minoranze religiose non hanno lo stesso statuto giuridico e costituzionale del Concordato - giustamente riservato solo alla Chiesa cattolica, di cui i costituenti vollero riconoscere il ruolo unico nella storia e nella cultura italiana -, a prima vista il ragionamento di Amato potrebbe sembrare logico. Ci sono Intese - cioè «piccoli concordati» - con gli Ebrei, i Valdesi, i Battisti, gli Avventisti, i Pentecostali, i Luterani. Prodi ne ha firmate altre, in attesa di ratifica parlamentare, tra gli altri con i Testimoni di Geova. Perché non con i musulmani?
La risposta c’è: perché i musulmani non sono una di quelle «confessioni religiose» che i padri della Costituzione avevano in mente quando formularono l’articolo 8 della nostra Carta fondamentale. Una confessione religiosa è una realtà strutturata, organizzata, gerarchica, dove ci sono delle autorità che rappresentano tutti i fedeli e possono impegnarsi per loro di fronte allo Stato. Vale per i vescovi cattolici, ma anche per il Sinodo valdese o per il presidente dei Testimoni di Geova. L’islam sunnita (quello sciita è diverso, ma in Italia è piccolissimo), detto in termini sociologici, non è una religione verticale, ma orizzontale.
Non ha un clero, non ha l’equivalente dei vescovi, del Papa e nemmeno dei parroci. Gli imam - cui i nostri media, abituati a trattare con la Chiesa cattolica, danno spesso troppa importanza - non sono le guide delle loro comunità, ma semplici incaricati temporanei di guidare la preghiera e gestire il locale di culto. Per stipulare un’Intesa, come è evidente, bisogna essere in due: lo Stato e chi esercita l’autorità nella «confessione religiosa» di cui all’articolo 8 della Costituzione.
L’islam (sunnita) si vanta precisamente di non avere autorità né gerarchie. L’unica autorità è il Corano, e il consenso nella comunità dovrebbe riconoscere l’opinione del più saggio e del più dotto. Di fatto, in molti paesi musulmani anche le questioni religiose sono decise dal re o dal governo: ma l’Italia, appunto, non è un paese musulmano.
Certo, da noi esistono diverse associazioni di musulmani, ognuna delle quali dichiara di essere «quella vera» e vorrebbe firmare l’Intesa. Quella che controlla più moschee, l’UCOII, ha una dirigenza fondamentalista e legata ai Fratelli Musulmani, i cui valori sono incompatibili con la Costituzione. Le associazioni filo-occidentali rappresentano solo una minuscola frazione dei musulmani italiani. La maggioranza degli immigrati non fa parte di nessuna associazione, e spesso non ne conosce neppure il nome. La Consulta per l’islam italiano è stata creata dal predecessore di Amato, Pisanu, come organismo dichiaratamente «non rappresentativo», con membri scelti dal ministro sia tra i responsabili delle associazioni (UCOII compresa) sia tra intellettuali che rappresentano se stessi. Pisanu non voleva certo fondare un’inesistente «Chiesa» islamica, e se la Consulta firmasse un’Intesa molti leader musulmani il giorno dopo la dichiarerebbero carta straccia. Amato si rassegni. Sarebbe certo una bella cosa se questo governo avesse una politica seria dell’islam italiano. Ma la strada non passa dall’Intesa.