Ci risiamo. Al Cairo, dove mi trovo, il ministro degli Esteri ha convocato l’ambasciatore svedese minacciando la rottura delle relazioni diplomatiche. Il 18 agosto un quotidiano svedese, Nerikes Allehanda, ha pubblicato una vignetta che ritrae il profeta Muhammad come un cane da guardia (corpo di cane e testa del profeta) che spaventa i media scandinavi dopo il caso dei cartoon danesi.
Come nel caso della Danimarca, l’indignazione scoppia a orologeria, due settimane dopo una pubblicazione che all’inizio avevano notato in pochi. E il momento è sospetto. Infatti l’Accademia di Ricerche Islamiche della prestigiosa università al-Azhar del Cairo ha appena proposto una legge-modello contro l’islamofobia, che dovrebbe vietare nell’Unione Europea e altrove la pubblicazione di «vignette offensive o scritti contro l’islam e il suo profeta». La proposta è stata adottata e fatta propria dall’Assemblea del Popolo, il parlamento egiziano, ed è probabile che sia appoggiata anche dall’Organizzazione degli Stati Islamici e dalla Lega Araba. Secondo chi ha proposto la norma, gli Stati a maggioranza islamica dovrebbero rompere le relazioni diplomatiche con chi non adotta leggi contro l’islamofobia. Ma in Europa, assicurano, non ce ne sarà bisogno: l’Unione Europea, che già si occupa da mesi di islamofobia, sarebbe favorevole alla proposta.
Ho ascoltato le spiegazioni, approfittando di una visita ad al-Azhar, di uno dei redattori della legge-modello, il professor Mustafa el Shekaa. Con molta cortesia, ha spiegato che quando i profeti sono raffigurati con il corpo di un cane la misura è colma, e che i cristiani dovrebbero appoggiare i musulmani perché anche loro sono sempre più spesso colpiti. Il giurista egiziano ha le sue ragioni: i crocifissi mescolati all’urina e le Madonne che piangono sperma esposti in Italia offendono il sentimento religioso di milioni di persone, che è meritevole di una qualche tutela giuridica. Considerato che in Europa ci sono milioni di musulmani, lo stesso può forse valere per raffigurazioni e vignette di natura offensiva per gli islamici, talora neppure riabilitate da una qualche pretesa artistica. E tuttavia la proposta di Shekaa è sbagliata e pericolosa. Infatti, non si limita a parlare di «vignette offensive» (secondo chi?), ma comprende gli «scritti contro l’islam e il suo profeta».
Qui si misura la differenza di mentalità tra accademici musulmani, anche cortesi e sorridenti, e l’Occidente. Shekaa fa notare che anche il cristianesimo è sotto attacco e che si pubblicano libri al vetriolo contro la fede cristiana, da Hitchens a Dawkins (se li conoscesse, potrebbe aggiungere Odifreddi e Viano). Ma, per l’appunto, nessun cristiano - che io sappia - chiede all’Europa (che reagirebbe pensando a uno scherzo) leggi contro la «cristofobia», che pure è un’espressione usata dal grande giurista ebreo Joseph Weiler per designare un costume sempre più diffuso. Nessuno di noi vuole evitare che Odifreddi o altri pubblichino i loro attacchi al cristianesimo, liberi i cristiani di rispondere che si tratta di sciocchezze. Non è solo questione di tradizione e di costume. Il problema - come ha notato spesso Benedetto XVI - investe i rapporti fra fede e ragione. I cristiani vogliono protestare contro i loro detrattori con argomenti di ragione, non di polizia.
L’islam si fida poco della ragione, e preferisce i poliziotti. Per questo anche in tema di vignette e caricature sarà bene pensarci due volte prima di legiferare contro l’islamofobia.