Dal punto di vista dell’amministrazione dell’Arcidiocesi di Parigi e della Chiesa di Francia gli storici tracceranno un bilancio in chiaroscuro dell’azione del cardinale Jean-Marie Lustiger (1926-2007).
La sua lunga carriera coincide con la crisi più grave che la Chiesa cattolica abbia conosciuto in Francia: oggi solo un francese su dieci dichiara di andare a Messa almeno una volta al mese (un quarto rispetto all’Italia, metà rispetto alla media europea). Le ragioni di questa crisi sono complesse e certo i vescovi francesi non ne sono gli unici responsabili. Tuttavia, la loro azione non è sempre stata particolarmente efficace, e una lunga tolleranza verso progressismi teologici e politici di ogni genere ha creato confusione e divisioni.
Il cardinale Lustiger non sarà però ricordato principalmente per i suoi tentativi di fare fronte alla crisi della Chiesa francese. La sua eredità appartiene alla Chiesa universale, e lo ha ben compreso Papa Benedetto XVI che ne ha valorizzato gli ultimi anni di vita chiamandolo a operare nell’ambito della Commissione della Santa Sede per le relazioni religiose con l’Ebraismo. Gli interventi sul tema del cardinale francese, nato ebreo e convertito al cattolicesimo a quattordici anni nel 1940, non hanno mai suscitato consensi unanimi né tra gli ebrei né tra i cristiani, ma hanno profondamente influenzato il magistero di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Le critiche del cardinale Lustiger alla cosiddetta «teologia della sostituzione», secondo cui la «Nuova Alleanza» fra Dio e la Chiesa in Gesù Cristo ha «sostituito» totalmente «l’Antica Alleanza» fra il Signore e Israele, in qualche modo revocandola, sono diventate magistero pontificio con Papa Wojtyla e Papa Ratzinger, i quali hanno ripetutamente insegnato che le promesse divine al popolo ebraico sono «irrevocabili».
Seguendo uno schema che risale proprio a Lustiger - e che tiene conto della filosofia di Heidegger - al modello della sostituzione se ne è sostituito nell’insegnamento cattolico un altro, secondo cui il tempo dell’orologio, quello in cui tutti viviamo, non è l’unico tempo. Ci sono altre forme di tempo, e da questo punto di vista ebrei e cristiani si muovono in tempi diversi, così che nel tempo particolare in cui vivono gli ebrei le promesse dell’Antico Testamento sono ancora valide, fermo restando per i cristiani il principio secondo cui per tutti tali promesse dovranno un giorno trovare compimento in Gesù Cristo. E poiché il tempo delle promesse di Dio, che ancora continua, per il popolo ebraico è iniziato prima, si trova proprio nel pensiero di Lustiger la radice dell’espressione «fratelli maggiori» che Giovanni Paolo II ha usato per designare gli ebrei.
Ma c’è di più. In una conferenza tenuta in Vaticano nel 2005, Lustiger rievocava la sua stessa conversione e dichiarava l’alleanza fra cristiani ed ebrei fondamentale per «l’equilibrio del mondo».
È perché non hanno messo in comune le loro ricchezze rispettive, in un’alleanza che non elimina le rispettive identità ma riconosce radici e obiettivi comuni, che cristiani ed ebrei non hanno sempre reagito adeguatamente alla sfida dell’illuminismo laicista - verso il quale Lustiger è stato sempre più severo negli ultimi anni -, dei totalitarismi del ventesimo secolo e del terrorismo del ventunesimo.
Quella della necessità assoluta di un’alleanza fra ebrei e cristiani, fondata non sul relativismo ma su solide basi teologiche e dottrinali, resta la più feconda lezione che Lustiger lascia al nostro secolo.