La transazione per l’astronomica cifra di 660 milioni di dollari che ha chiuso una serie di cause civili contro l’Arcidiocesi di Los Angeles per casi di veri o presunti abusi sessuali compiuti da sacerdoti contro minorenni, merita qualche commento che parta da una conoscenza realistica del sistema legale americano. È anzitutto ipocrita parlare di 660 milioni versati “alle vittime”. Una parte cospicua della somma è destinata a coprire le spese legali. Inoltre, la maggioranza delle persone che hanno agito contro l’Arcidiocesi ha sottoscritto con i propri studi legali di solito sempre gli stessi, ormai specializzati in questo tipo di cause patti di quota lite (contingency), cioè accordi in virtù dei quali gli avvocati non si fanno pagare per rappresentare i clienti ma intascano poi in caso di transazione o di successo una percentuale importante (spesso il cinquanta per cento) di quanto al cliente spetta a titolo di risarcimento. I patti di quota lite che il decreto Bersani ha introdotto anche in Italia, e contro i quali hanno a lungo protestato gli Ordini degli Avvocati sono per definizione segreti e si prestano a evidenti abusi. Ma è pressoché certo che almeno la metà, e forse ben di più, dei famosi 660 milioni sono finiti non alle vittime ma nelle capaci casse di un piccolo numero di voraci avvocati.
È anche vero che le decisioni sulle transazioni in casi di richieste di risarcimento per abusi sessuali sono ormai prese non dalle istituzioni religiose attaccate non tutte cattoliche, dal momento che richieste di danni miliardari hanno colpito anche protestanti, induisti ed ebrei ma dalle compagnie di assicurazione. Queste ultime in particolare una, indiscussa leader su questo mercato assicurano le istituzioni religiose (e non solo) contro il rischio di pagare danni per casi di abuso sessuale anche verificatisi molti anni prima della stipula della polizza. Le assicurazioni pagano una parte consistente di questi risarcimenti, ma gestiscono le transazioni e qualche volta preferiscono pagare senza discutere per poi alzare i premi, già tutt’altro che modesti, che ormai tutte le organizzazioni religiose, scolastiche e sportive degli Stati Uniti pagano per assicurarsi contro il rischio di catastrofi economiche che seguono accuse di abusi sessuali.
Lo schema illustrato in una serie di studi fondamentali sul tema del sociologo Philip Jenkins vede dunque in campo dal punto di vista economico due attori principali che restano poco noti al pubblico: le società di assicurazione, che pagano una buona parte dei risarcimenti (e si rifanno alzando i premi), e gli studi legali specializzati, che incassano il grosso delle somme. Né le une né gli altri sono particolarmente interessati all’accertamento della verità.
Per questo, le somme astronomiche di cui si parla e si parlerà ancora, perché il caso di Boston su cui si sta ancora trattando non è molto più piccolo di quello di Los Angeles in realtà ci dicono poco sulla questione dei preti pedofili, anche se sono utili a chi vuole attaccare la Chiesa con titoli sensazionali. La realtà rimane quella descritta dal rapporto del John Jay College del 2004, il più autorevole studio sul tema che tutti citano ma pochi hanno letto. In cinquantadue anni i preti americani accusati di pedofilia sono stati 958, quelli che hanno subito una condanna penale 53. Troppi: anche un solo prete pedofilo è uno di troppo, e basta a giustificare la linea di tolleranza zero di Papa Benedetto XVI sul punto e le scuse del cardinale Mahony. Ma i dati veri sono questi.