Chi ha letto i quotidiani in questi giorni sarà rimasto colpito dal contrasto fra il Gay pride di Roma e la stretta decisa dagli ayatollah iraniani in materia sessuale. Il Consiglio dei Guardiani - una sorte di Corte costituzionale - ha chiesto che sia applicata la legge che per gli omosessuali prevede la fustigazione, il carcere e, in caso di recidiva, la condanna a morte.
Il Parlamento di Teheran ha anche votato una legge che punisce registi e attori di film porno con la pena capitale; un’attrice è già stata lapidata. La legge tra l’altro è retroattiva, e minaccia dive iraniane per peccati di gioventù.
In una trasmissione radiofonica qualcuno, disturbato dalle immagini del Gay pride, mi ha suggerito che forse in Iran non hanno tutti i torti: «ha da venì l’ayatollah» insomma, versione aggiornata, ma non meno ingenua, dell’antico «ha da venì Baffone». Non è così: e non solo perché la nostra morale cattolica distingue fra peccato e peccatore, rifiuta l’istituzionalizzazione del legame gay, ma rispetta la persona dell’omosessuale. Ma perché le posizioni iraniane vanno considerate nel loro contesto, dove la tutela della moralità lascia parecchio a desiderare. Gli ayatollah, anzitutto, rimangono affezionati alla pratica sciita del «matrimonio temporaneo» (che non esiste nell’islam sunnita). Chi non ha raggiunto il numero coranico di quattro mogli può sposare una donna anche per un’ora; se in quell’ora ha rapporti con lei né viola i precetti dell’islam né commette peccato. È evidente che questo può essere un sistema per legalizzare la prostituzione. Di qui nasce la controversia fra le istituzioni internazionali e l’Iran sul tema. Secondo statistiche indipendenti l’Iran è fra i primi dieci paesi dell’Asia per numero di prostitute, mentre per Teheran la prostituzione è quasi inesistente.
Ma c’è di peggio. Il Consiglio dei Guardiani continua a respingere qualunque proposta di rivedere le leggi che autorizzano il matrimonio per le bambine a partire dall’età di nove anni. Alcune delle cosiddette «femministe islamiche» che si battono contro questa pratica sono state incarcerate. Secondo i manuali medici internazionali i rapporti con bambine sotto gli undici anni sono, tecnicamente, pedofilia. In Iran è del tutto legale, sulla base della tradizione secondo cui lo stesso profeta Muhammad sposò la moglie Aisha in giovane età.
Per alcune «femministe islamiche» Aisha aveva sedici anni, secondo altre interpretazioni ne aveva meno. Ma, al di là delle controversie storiche, gli ayatollah sono rigidissimi sulla lettera della tradizione. Le organizzazioni femminili denunciano l’alto tasso di suicidi fra le spose bambine. Ma è tutto inutile. Se è certo legittimo criticare i peccati dell’Occidente, chi pensa che in paesi come l’Iran la morale sia meglio tutelata dovrebbe cominciare a chiedersi di quale morale esattamente si tratti.