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Ma la Palestina è già morta

di Massimo Introvigne (il Giornale, 15 giugno 2007)

È ora che qualcuno a Gaza, divisa in due fra un nucleo urbano ancora martoriato dagli scontri tra Hamas e Fatah e il resto della striscia dove Hamas ha vinto ed è passata ai rastrellamenti e alle esecuzioni degli oppositori, gridi forte che il re è nudo. A gridare non sarà Massimo D'Alema, che ancora qualche settimana fa prevedeva la nascita di uno Stato palestinese entro il 2007. Né Romano Prodi, per cui le tensioni nei Territori sono sempre colpa di Israele, che questa volta non ha mosso un dito.

Ma bisogna gridarlo lo stesso: il progetto di Stato nazionale palestinese è morto ora, nel giugno 2007. Ha ragione - sul punto - Bat Ye'or, la studiosa inglese autrice di Eurabia, da poco tradotto in italiano: i palestinesi a rigore non esistono, e l'uso del termine - certo, ispirato agli antichi Filistei della Bibbia - è diventato corrente solo nel XX secolo. Prima esistevano arabi che vivevano nell'area che comprende gli attuali Israele, Giordania ed Egitto a Est del Canale di Suez, così come esistevano nella stessa regione ebrei e cristiani. La sistemazione del 1948 - allora accettata da Onu, Stati Uniti, Unione Sovietica ed Europa - lasciava agli ebrei lo Stato d'Israele e ripartiva gli arabi fra Egitto e Giordania. Sono state le aggressioni arabe a Israele a far nascere «i Territori»: porzioni di Egitto (Gaza) e Giordania (la Cisgiordania) che Israele ha occupato nel corso delle varie guerre, e che sarebbe ben lieta di restituire agli egiziani e ai giordani, che però non le vogliono. Infatti, con una politica miope, per decenni i governi arabi hanno giocato con il fuoco, inventando i palestinesi come eterni profughi, apolidi dovunque. Il loro destino non detto è impadronirsi di Israele buttando a mare gli ebrei, ma per ora si comincia a chiedere uno Stato nazionale che peraltro nascerebbe come composto da due regioni non comunicanti, la Cisgiordania e Gaza. Dal momento che i «palestinesi» - il cui nazionalismo inventato ma furibondo è stato alimentato dall'Unione Sovietica in funzione anti-americana e dal mondo arabo in funzione anti-israeliana - hanno ripetutamente morso la mano che li nutriva in Giordania e altrove, giordani ed egiziani hanno solennemente dichiarato di rinunciare alla sovranità rispettivamente sulla Cisgiordania e su Gaza.

Anche le nazionalità inventate, dopo qualche anno, esistono. E ai «palestinesi» è stata ripetutamente data l'occasione di esistere: l'Occidente gli ha offerto il loro Stato, purché accettassero le risoluzioni Onu e l'esistenza di Israele. Arafat ha perso ripetutamente l'occasione, temendo che il riconoscimento di Israele ne mettesse in pericolo il potere e le enormi ricchezze che aveva accumulato. Morto Arafat, l'occasione è stata offerta ad Hamas, con cui Sharon era perfino disposto a trattare. Ma anche Hamas ha fallito, preferendo la tutela dell'Iran al dialogo con l'Occidente. Non rimane nessuno, e l'idea dello Stato palestinese è morta perché forse né Fatah né Hamas ci hanno mai creduto. A parole chiedevano uno Stato nei Territori, ma in realtà volevano la distruzione di Israele, un sogno maligno per cui non ci sono né ci saranno mai le condizioni morali, politiche e militari.

Non è bello, non è gentile, non è politicamente corretto dirlo. Ma il dramma di questi giorni prova che i «palestinesi» - laici o religiosi - non sono in grado non solo di gestire, ma neppure di pensare un loro Stato. Forse la soluzione della crisi sta in un'eresia: Giordania ed Egitto, che hanno eserciti e polizie piuttosto efficienti, si riprendano la Cisgiordania e Gaza.