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Trattare con talebani Al Qaida e mafia

di Massimo Introvigne (il Giornale, 21 febbraio 2007)

Prima di votare a favore o contro la politica di Prodi e D’Alema in Afghanistan i parlamentari dell’Unione dovrebbero chiedersi se stanno solo cercando di salvare la poltrona, o se sanno esattamente su che cosa stanno votando. D’Alema propone loro un progetto che continua a prevedere un “tavolo” e una “trattativa”, anche se questi sono già stati rifiutati dalla Nato, dagli Stati Uniti e dal presidente afghano Karzai. La vera domanda da porre a D’Alema è: con chi vuole «trattare»? Rispondere «con i talebani» è solo parzialmente esatto. In realtà, in Afghanistan ci sono tre distinti gruppi di terroristi, che D’Alema chiama guerriglieri. Il primo è composto dai talebani leali al mullah Omar: ma leali per modo di dire, perché in realtà dei talebani ci sono tre comandi diversi. Omar ne controlla solo uno, e un altro - quello che si appresta a sconfinare nella zona finora «sicura» presidiata dalle truppe italiane - è guidato da Jalaluddin Haqqani, uno spietato signore della guerra ex-nemico di Omar che ha una sua milizia indipendente. Quando parla di invitare i talebani a un tavolo politico, D’Alema dovrebbe rivedersi quel bel film che è Viaggio a Kandahar. Potrebbe così ricordarsi che il primo atto di governo dei talebani fu il divieto di insegnamento e di lavoro femminile, il che trasformò le donne afghane in una massa di mendicanti e prostitute e preparò l’attuale generazione di ragazze in maggioranza analfabete. Il cinema, la televisione, la musica, il gioco e l’arte furono interamente vietati, i monumenti artistici antichi distrutti, gli uomini la cui barba non fosse più lunga del palmo della loro mano arrestati, i musulmani che non seguivano la particolare scuola puritana di Omar decapitati o impiccati. Davvero D’Alema vuole sedersi al tavolo con questi simpatici personaggi, che perfino Ahmadinejad si rifiuta di ricevere?

Inoltre, mettersi d’accordo con i talebani non chiuderebbe i conti in Afghanistan. L'organizzazione terroristica più forte non è quella dei talebani: è guidata da Gulbuddin Hekmatyar, il più feroce tra i capi della resistenza contro l’invasione sovietica. Un uomo con cui trattare? C’è un piccolo problema: nel maggio scorso Hekmatyar ha giurato fedeltà a Bin Laden e rinominato la sua organizzazione «al Qaida in Afghanistan». Infine ci sono in Afghanistan milizie mercenarie cui non importa granché dell’Islam e che rispondono alla mafia russa e a Cosa Nostra, grazie alle cui amorevoli cure per le piantine afghane il 92 per cento della produzione mondiale di eroina ha origine in Afghanistan. Sono le milizie meglio armate, e sparano contro qualunque cosa si muova e disturbi il traffico di droga. Riepilogando, il tavolo negoziale per cui si appresta a votare l’Unione dovrebbe comprendere i talebani, la filiale afghana di al Qaida e i rappresentanti della mafia russa e italiana. Piaccia o no, sono queste le forze reali in campo in Afghanistan. Forze che sparano, e contro le quali chi vuole aiutare gli afghani sarà costretto a sparare.