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Quella guerra di religione scatenata contro Sarkozy

di Massimo Introvigne (il Giornale, 19 gennaio 2007)

sarkozyProntamente seguiti da Repubblica e Manifesto, i socialisti francesi hanno scatenato contro il candidato di centrodestra alla presidenza della Repubblica, il ministro dell’Interno, Nicolas Sarkozy, una vera guerra di religione. L’espressione non è solo metaforica: la religione è al centro del manifesto dei socialisti contro «l'inquietante Monsieur Sarkozy» e delle polemiche relative. La più infame accusa Sarkozy di essere filo-israeliano in quanto «ebreo». In realtà il ministro e la sua famiglia sono cattolici, ancorché un suo nonno materno fosse un ebreo (convertito al cattolicesimo). Avere un nonno ebreo era una colpa solo nella Germania di Hitler.

Il manifesto socialista accusa Sarkozy di volere «seppellire l'eredità laica» della Francia. Addirittura. In effetti nell'attuale scenario politico francese ci si può presentare apertamente come omosessuali militanti (è il caso dell'attuale sindaco di Parigi), bisessuali, ammiratori di Oreste Scalzone o di Hamas, e passarla liscia. È invece assolutamente vietato definirsi cattolici, come ha fatto Sarkozy nel suo libro La Repubblica, le religioni, la speranza: né lo ha salvato chiarire - per non esagerare - che la sua frequenza alla Messa domenicale è «piuttosto irregolare». Sembra di essere tornati al 1905, ai tempi delle fiches, quando il governo del fanatico anticlericale Émile Combes schedava gli ufficiali dell'Esercito che frequentavano le chiese, e stroncava sistematicamente la carriera dei cattolici praticanti. Il 1905, appunto. I socialisti scrivono che Sarkozy si permette di «maltrattare la legge del 1905 e i fondamenti del laicismo alla francese». Ma che le leggi di Combes e il laicismo che vieta qualunque riferimento alla religione nelle scuole, e qualunque rilevanza pubblica alle Chiese, siano vecchi, polverosi e non adatti all'attuale pluralismo religioso lo ha scritto in due lunghi rapporti uno dei guru della sinistra, Régis Debray: sì, proprio il vecchio compagno di Che Guevara in Bolivia. Lo stesso Debray, dibattendo con chi scrive, raccontava che si convinse che l'esclusione della religione dalla scuola francese aveva fatto danni irreparabili quando un gruppo di liceali, richiesto di spiegare chi fosse il San Sebastiano raffigurato da Mantegna nel quadro del Louvre, riuscì a dire che doveva certo trattarsi di «un cow-boy riempito di frecce dagli indiani».

I socialisti accusano anche Sarkozy di volere smantellare l'enorme apparato poliziesco messo in campo contro le cosiddette «sette» da dodici anni in Francia. Il ministro non vuole certo tollerare versioni francesi delle Bestie di Satana, ma rileva giustamente che in nome del laicismo sono stati discriminati come «sette» centinaia di gruppi innocui, e che la montagna della burocrazia anti-sette, costosissima per il contribuente, ha partorito il topolino di una sola condanna, per di più contro un gruppo che, considerando imminente la fine del mondo, in tribunale ha rifiutato di difendersi. Infine l'accusa più divertente: i socialisti, che in nome dell’anti-americanismo incontrano gli Hezbollah, accusano Sarkozy di «favorire le organizzazioni islamiche». Certamente il ministro ha offerto un dialogo ai musulmani disposti a ripudiare il terrorismo e la violenza e garantire i diritti delle donne. Ha perfino trovato qualche imam che gli dà retta, e dà una mano a mantenere l'ordine pubblico. Dovrebbe buttarli fuori dal ministero dell'Interno in nome dell'odio obbligatorio contro tutte le religioni?