C’era una volta un uomo politico italiano che confessava di essersi detto dopo l’11 settembre: «Ci bombardano. Perché New York, l’America sono casa nostra». Che si faceva beffe di quella sinistra che ha «un’avversione che riguarda l’uso della forza solo da parte degli americani e dell’Occidente». Che definiva «l’antiamericanismo un errore duro a morire» e attribuiva a Bush «notevole saggezza». Non era Silvio Berlusconi, e nemmeno Gianfranco Fini. Era Massimo D’Alema. È vero che l’intervista è di cinque anni fa, ma fa ancora bella mostra di sé sul suo sito internet ufficiale massimodalema.it.
Oggi D’Alema dice cose un po’ diverse. Gli americani bombardano Al Qaida in Somalia? Propone «un tavolo di trattative con tutte le parti interessate»: cioè, se si prendesse sul serio l’affermazione, anche con Al Qaida. I talebani e le milizie al soldo delle mafie, che difendono i campi di oppio afghani da cui esce il novanta per cento dell’eroina mondiale, fanno tremila morti, di cui cento soldati e 2.900 civili afghani innocenti? D’Alema chiede subito un bel tavolo con tutti gli interessati, che qui dovrebbero comprendere anche gli eredi di Provenzano e Riina, senza i quali è difficile perfino cominciare a capire il traffico dell’oppio afghano. In Irak si scannano sunniti e sciiti? Ci vuole un tavolo di negoziato che non escluda nessuno, proclama D’Alema. In Libano all’ipotetico tavolo delle trattative che dovrebbe mettere insieme Israele e Hezbollah D’Alema fornisce perfino il sostegno, sotto forma di contingente militare italiano: peccato che nessuna delle due parti a quel tavolo sia disposta a sedersi. In compenso, se Francesco Totti minaccia di non giocare più per la nazionale, il tifoso romanista D'Alema chiede subito «un franco confronto» tra gli interessati, cioè il solito tavolo.
La mania dalemiana dei tavoli farà certo felice qualche mobilificio di Lissone - se aumenta la produzione di tavoli non c’è che da rallegrarsi in tempi di Visco - ma rende il nostro ministro degli Esteri ormai irrilevante per chiunque altro. Si potrebbe suggerire ai giornali di risparmiare carta, con indubbi vantaggi per l’ecologia, smettendo di pubblicare tutti i giorni la stessa notizia e contrassegnando con un semplice asterisco i fatti a proposito dei quali D’Alema ha chiesto che si convochi urgentemente «un tavolo dove discutere pacatamente e senza escludere nessuno».
In Somalia, nel frattempo, i bombardieri americani - ignorando D'Alema - continuano a volare, distruggendo quanto rimane del battaglione degli «arabi afghani» che Bin Laden aveva spostato in Africa dall’Irak, sia per aprire un nuovo fronte del terrorismo, sia perché così prevedevano i suoi accordi con l’Iran, che non ama vedere in Irak troppi militanti di Al Qaida, i quali spesso danno man forte ai sunniti impegnati a massacrare sciiti. Tra i cadaveri del Sud della Somalia c’è almeno uno dei membri della cupola di Al Qaida, un fatto che suggerisce di ridurre in coriandoli gli articoli del Manifesto che assicuravano che le Corti Islamiche somale non godevano di alcun sostegno straniero e che con Bin Laden non avevano mai avuto nulla a che fare. Oltre che utilizzarli per l’ormai imminente carnevale, i giornalisti del Manifesto, noti per avere lanciato sul Papa che passava sotto le loro finestre volantini con la scritta «Pastore tedesco, lasciaci in Pacs», potranno sempre tirare i coriandoli al prossimo passaggio di D’Alema. Che chiederà subito la convocazione di un tavolo per una franca discussione fra tutti gli interessati.